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Delibere assembleari ed atto di conciliazione giudiziale

Un verbale di conciliazione giudiziale è vincolante per il Condominio anche se alcuni condòmini recedono successivamente.
Avv. Eliana Messineo 

La conciliazione giudiziale è un istituto previsto dall'art. 185 c.p.c. che consente alle parti, grazie all'intervento del giudice, di comporre la lite addivenendo ad una convenzione. Invero, un accordo transattivo, se raccolto nel verbale di udienza, costituisce titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.

In ambito condominiale, un accordo transattivo con un terzo deve prima perfezionarsi in assemblea condominiale per poi essere trasfuso nella conciliazione giudiziale con la sottoscrizione dell'accordo delle parti.

Il verbale di conciliazione giudiziale, dunque, avrà valore di contratto avente forza di legge tra le parti e costituirà titolo esecutivo.

È importante, allora, chiedersi quale sia il rapporto tra l'efficacia e la validità delle delibere assembleari ed un verbale di conciliazione giudiziale. Segnatamente, se sia possibile recedere unilateralmente dalla transazione con successive delibere assembleari.

Sull'argomento si è pronunciata una recente sentenza del Tribunale di Taranto n. 463 del 22 febbraio 2022.

Delibere assembleari: l'atto di conciliazione giudiziale. Il caso

Una società azionava in via monitoria nei confronti di un Condominio domanda per il pagamento di una somma derivante da un verbale di conciliazione giudiziale sottoscritto dalle parti a definizione del procedimento esecutivo intrapreso dalla società.

Il Condominio proponeva opposizione all'ingiunzione contestando l'esistenza del debito in quanto alcuni condòmini, in due riunioni assembleari successive alla sottoscrizione dell'atto di transazione, avevano ritenuto di recedere da esso.

Il Tribunale di Taranto, con la sentenza in esame, ha affermato che l'assemblea condominiale successiva "non poteva autoannullare la deliberazione (validamente) formatasi circa un anno prima né quella successiva poteva ratificarne l'operato e disporre il recesso dalla transazione".
Tali iniziative sarebbero in contrasto sia con il dettato dell'articolo 1137 Codice civile, con l'attitudine esecutiva delle delibere vincolanti per tutti i condomini sia con le regole poste dagli articoli 1372 -1373 Codice civile in ambito negoziale,
che consentono il recesso unilaterale dal contratto (qual è l'intesa transattiva) solo a determinate condizioni.

Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ha pertanto rigettato l'opposizione proposta dal condominio con condanna al pagamento delle competenze di lite.

Ancora sull'impugnazione delle delibere assembleari

Delibere assembleari ed atto di conciliazione giudiziale. Il riferimento normativo

Ai sensi dell'art. 1137 c.c. primo comma, le deliberazioni prese dall'assemblea sono obbligatorie per tutti i condòmini.

A meno che non sia il Condominio stesso a cambiare idea circa il deliberato, annullando la propria precedente decisione (con la stessa maggioranza adottata per l'approvazione) l'unico modo per caducare una delibera è quello di adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti (art. 1137 secondo comma c.c.).

In mancanza di impugnazione tempestiva le delibere diventano vincolanti per tutti i condòmini divenendo esecutive. Ciò a maggior ragione nel caso in cui il deliberato del consesso condominiale venga trasfuso, come nel caso di specie, in una conciliazione giudiziale.

L'intesa transattiva, infatti, è un contratto per il quale vigono le regole poste dagli artt. 1372 -1373 c.c. che consentono il recesso unilaterale dal contratto solo a determinate condizioni.

Il recesso è l'atto con il quale una delle parti può sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale, in deroga al principio sancito dall'art. 1372 c.c. secondo il quale il contratto può essere sciolto solo per mutuo consenso o per le altre cause ammesse dalla legge.

Secondo la giurisprudenza, il diritto di recesso, data la sua natura di eccezione, "non può essere svincolato da un termine preciso o, quanto meno, sicuramente determinabile, in assenza del quale l'efficacia del contratto resterebbe indefinitamente subordinata all'arbitrio della parte titolare di tale diritto, con conseguente irrealizzabilità delle finalità perseguite con il contratto stesso".

Lo stesso art. 1373 c.c. stabilisce due condizioni e limiti di tempo per il recesso unilaterale, a seconda che il contratto dal quale recedere sia ad esecuzione immediata o differita oppure ad esecuzione continuata o periodica: nel primo caso, la facoltà di recesso può "essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione" (art. 1373 comma 1 c.c.); nel secondo caso, il recesso può "essere esercitato anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione" (art. 1373, comma 2, c.c.).

Il recesso unilaterale dal contratto ex art. 1373 c.c., lungi dal costituire una facoltà normale per i contraenti, presuppone "che essa sia specificamente attribuita per legge o per clausola contrattuale" (Cass. n. 987/1990).

Nel caso di specie mancavano, dunque, tutte le condizioni per poter validamente ritenere possibile il recesso dalla transazione. La società creditrice, infatti, era pienamente legittimata ad azionare il titolo contro il debitore moroso nel pagamento delle prime due rate scadute.

Invero, le delibere assembleari aventi ad oggetto l'accordo transattivo erano state trasfuse nella conciliazione giudiziale, quindi non revocate o sostituite, e non essendo state impugnate nel termine di legge erano divenute esecutive e vincolanti per tutti i condòmini.

A nulla poteva valere, dunque, il recesso manifestato da alcuni condòmini nelle riunioni assembleari successive.

Tardività dell'impugnazione, modifica dei criteri di ripartizione e onere della prova al vaglio del Tribunale di Roma

Sentenza
Scarica Trib. Taranto 22 febbraio 2022 n. 463
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