A proposito della responsabilità da cose in custodia, a molti lettori, è già noto che si verte in materia di danno provocato da un bene materiale. Ebbene, è scontato che sebbene trattasi di qualcosa di inanimato o inerte, esso può, comunque determinare dei danni a carico di terzi, in ragione della sua cattiva e/o omessa manutenzione «la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura, cioè per suo intrinseco potere, in quanto anche in relazione alle cose prive di un proprio dinamismo il danno può verificarsi in conseguenza dell'insorgere in esse di un processo dannoso provocato da elementi esterni (cfr. Cass. n°4480.2001; Cass. n°14606.2004)».
In virtù di ciò, accade di frequente, ad esempio in ambito condominiale, che un bene sia motivo di responsabilità per il suo proprietario/custode.
In effetti, è ciò che è successo in questo fabbricato in provincia di Novara, dove un terzo ha avanzato una domanda risarcitoria nei riguardi dell'ente, per essersi fatto male a seguito di una caduta provocata da un bene comune maltenuto.
Ne è, quindi, scaturita una lite culminata con la sentenza n. 170 del 28 marzo 2022 del Tribunale di Novara.
Passiamo, perciò, ad approfondire meglio il caso concreto.
Danni da cose in custodia e corresponsabilità del danneggiato: il caso concreto
In un condominio piemontese, uscendo dal bar ubicato nei locali al pian terreno del fabbricato, un signore inciampava in una grata posta sul marciapiede a copertura delle cantine dell'edificio.
In particolare, secondo la versione fornita dal danneggiato, la caduta era determinata da un lembo della griglia che risultava, imprevedibilmente, rialzato rispetto alla restante superficie.
A seguito dell'evento, il signore de quo accusava delle lesioni per le quali invocava il legittimo ristoro.
Non essendo intervenuto alcun accordo stragiudiziale, la questione si spostava in Tribunale. In tale sede, l'attore invocava la responsabilità del condominio per i danni da cose in custodia, ex art. 2051 c.c., e, in subordine, quella generica, di natura extracontrattuale, di cui all'art. 2043 c.c.
Il condominio, costituitosi regolarmente, contestava il fondamento della pretesa attorea sulla base del fatto che non c'era alcun nesso eziologico tra il bene in custodia e l'evento lesivo. Secondo la versione fornita dal convenuto, il danneggiato avrebbe potuto facilmente evitare ogni caduta con un minimo di prudenza.
Insomma, per questa tesi difensiva, il comportamento colpevole dell'attore rappresentava una sorta di caso fortuito, perciò in grado di escludere ogni responsabilità del custode della grata.
La causa era, quindi istruita con l'escussione di alcuni testimoni, che confermavano le circostanze narrate in citazione, e con l'espletamento di un CTU. A questa era, infatti, affidato il compito di valutare e quantificare, anche al fine dell'eventuale liquidazione finale del risarcimento, il danno biologico patito dall'attore.
Al termine del procedimento, il Tribunale di Novara accoglieva la domanda, condannando il condominio a risarcire le lesioni patite dall'attore.
Risarcimento danni da cose in custodia: quali prove per il danneggiato?
In corso di giudizio, il danneggiato da una cosa in custodia ha il dovere di dimostrare il cosiddetto fatto storico, cioè che è, effettivamente, avvenuto quanto è stato oggetto di denuncia. Ottenuto ciò, in genere attraverso delle dichiarazioni testimoniali, l'attore avrà, di solito, provato il nesso causale tra l'evento lesivo e il bene maltenuto.
Secondo una parte della giurisprudenza, però, è, altresì, necessario dimostrare l'obiettiva pericolosità della cosa nonché che il danneggiato abbia avuto un comportamento prudente e diligente, tale da evitare l'evento allorché prevedibile «in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità (come in sé una sede stradale), dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l'ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (Cass. n.11526 del 2017, che ben definisce il bilanciamento tra la responsabilità dell'ente tenuto alla custodia del bene per le situazioni di pericolo create dal o sul bene stesso, e l'obbligo di cautela che grava comunque sul fruitore del bene)».
Solo a questo punto, l'accoglimento della domanda dovrebbe essere inevitabile, visto che sarebbe da escludere ogni caso fortuito.
Risarcimento da cose in custodia e pericolosità del bene
In materia di risarcimento danni, la norma che regola la responsabilità del custode del bene prevede l'opportunità di scagionarsi provando il cosiddetto caso fortuito e, cioè, una circostanza tale da escludere ogni nesso causale tra la cosa e il fatto lesivo. Per ipotesi, un eccezionale evento atmosferico oppure la stessa condotta colpevole ed imprudente del danneggiato.
Secondo il Tribunale di Novara, però, ciò non è assolutamente possibile, se il bene era in una condizione tale da essere prevedibile la sua pericolosità.
Ad esempio, nel caso in commento, la grata era deformata e rialzata, perciò temibile in quanto favoriva l'impatto e la caduta degli eventuali passanti. Tale circostanza ha reso il bene pericoloso ed ha escluso ogni possibilità di invocare il caso fortuito per il custode del bene «la evidente assenza di adeguata manutenzione della rete posta a copertura della grata rendeva assolutamente prevedibile la creazione della situazione di pericolo, ciò che vale in ogni caso ad escludere la configurabilità del caso fortuito, il quale deve comunque presentare le già evidenziate caratteristiche di imprevedibilità ed eccezionalità».