Che cosa deve fare l'amministratore di condominio che vuole liberarsi dalla gestione di una compagine senza commettere errori?
Qui per errori s'intendono tanto violazioni di legge in relazione alle norme che disciplinano il rapporto di mandato - norme applicabili ai rapporti condominiali dato il rimando ad esse contenuto nell'art. 1129 c.c. - quanto inosservanza delle specifiche regole condominiali dettate in materia di nomina dell'amministratore e cessazione dell'ufficio in esame.
Prendiamo spunto dal quesito di un nostro lettore, che ci domanda: «Da molti anni, dieci per l'esattezza, amministro un condominio; adesso però a causa delle enormi difficoltà nella gestione dovute al disinteresse dei condomino ho deciso di dare le dimissioni. Prima che entrasse in vigore la riforma mi pare che non fosse possibile farlo ma adesso ho letto che posso dimettermi. Che cosa devo fare per "togliermi di dosso" quest'edificio in breve tempo?»
Rispondiamo alla domanda dell'amministratore nostro lettore partendo dal passato: è vero, la normativa precedente alla legge n. 220/2012 non parlava espressamente di dimissioni dall'incarico di amministratore. Ciò, tuttavia, non voleva significare che al mandatario dei condomini non fosse possibile prendere una simile decisione.
Le dimissioni dell'amministratore sono le dimissioni di un mandatario
Come abbiamo appena detto, infatti, l'amministratore era (ed è) da considerarsi un mandatario, con conseguente applicazione a quel rapporto giuridico delle norme sul mandato e quindi con la possibilità di rinunciare all'incarico.
La norma di riferimento è rappresentata dall'art. 1727 c.c., rubricata per l'appunto Rinuncia del mandatario, che recita:
«Il mandatario che rinunzia senza giusta causa al mandato deve risarcire i danni al mandante. Se il mandato è a tempo indeterminato, il mandatario che rinunzia senza giusta causa è tenuto al risarcimento, qualora non abbia dato un congruo preavviso.
In ogni caso la rinunzia deve essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa provvedere altrimenti, salvo il caso d'impedimento grave da parte del mandatario.»
Come dire: le dimissioni erano possibili, ma se non erano presentate in modo tale da non recar danno al condominio e se non v'era una giusta causa, ricorreva il rischio di azione risarcitoria. Si badi: il risarcimento del danno dev'essere sempre provato da chi lo richiede. Se alle dimissioni non segue disinteresse nella gestione transitoria del condominio ovvero se i disservizi sono causati dal disinteresse dei condòmini e non dall'operato dell'amministratore dimissionario, allora ogni pretesa risarcitoria non potrà che essere considerata pretestuosa.
In passato, cioè prima della entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, nei condomini in cui la nomina dell'amministratore era obbligatoria senza la nomina di un successore sembrava che il dimissionario dovesse rimanere in carica, in regime di prorogatio imperii, se l'assemblea non provvedeva a sostituirlo poiché non gli era data possibilità di ricorrere al giudice la ottenere la nomina di un suo sostituto.
La legge di riforma del condominio ha decisamente posto rimedio alla situazione d'empasse appena descritta.
Da non perdere: Le dimissioni dell'amministratore non evitano la richiesta di risarcimento
Dimissioni dell'amministratore e sostituzione, le cose da fare per liberarsi dal condominio
Partiamo dalle situazioni immutate: le dimissioni senza giusta causa ed improvvise possono sempre portare ad una richiesta di risarcimento del danno da parte dei condomini. Insomma l'amministratore non può dimettersi oggi e già domani disinteressarsi della gestione del condominio.
D'altra parte è lo stesso art. 1129, ottavo comma, c.c. a spiegare che:
«Alla cessazione dell'incarico l'amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi».
In questo contesto, per rassegnare correttamente le proprie dimissioni volontarie l'amministratore deve:
a) comunicare ai condomini la propria decisione e contestualmente convocare un'assemblea per la propria sostituzione (le dimissioni sono atto unilaterale recettizio e si perfezionano al momento del recapito dell'avviso di convocazione dell'assemblea, ove ivi contenute ed esplicitate);
b) continuare nell'incarico di gestione fintanto che non si sia provveduto a nominare un suo sostituto.
È qui che subentra la il rimedio posto rispetto al passato, di cui si parlava poco sopra. Il nuovo primo comma dell'art. 1129 c.c., infatti, specifica che nei condomini in cui la nomina dell'amministratore è obbligatoria (quelli con almeno nove partecipanti) anche il mandatario dimissionario può ricorrere all'Autorità Giudiziaria per la nomina del suo sostituto. Unica condizione dell'azione: l'assemblea convocata per decidere in merito non vi sia riuscita. Trattandosi di procedimento in camera di consiglio, così detto in sede di volontaria giurisdizione, deve ritenersi che il ricorso in esame sia esente dal preventivo esperimento del tentativo di mediazione di cui al combinato disposto dell'art. 71-quater disp. att. c.c. e d.lgs n. 28/2010 (art. 5 d.lgs n. 28/2010).
In tal caso, ad avviso di chi scrive, l'amministratore dimissionario può anche ottenere la condanna alla refusione delle spese processuali anche se, giova evidenziarlo, la natura del procedimento tenderebbe ad escludere tale possibilità.
E se l'amministratore si dimette in un condominio rispetto al quale la nomina non è obbligatoria? Ad avviso di chi scrive l'amministratore dovrà continuare nel proprio incarico fino all'assemblea convocata per la ratifica delle dimissioni ed in quel momento consegnare le carte ai condomini.