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Clausola di esonero del costruttore dalle spese condominiali per gli immobili invenduti nei contratti di compravendita, è vessatoria?

Descrizione: Convezione di esonero dagli oneri di gestione per le unità invendute, modifica a maggioranza, clausola vessatoria, legittimità
Avv. Laura Cecchini 

La controversia di cui si è occupata la Suprema Corte di Cassazione (ordinanza n. 5139 del 27 febbraio 2024) interessa la questione giuridica in ordine alla vessatorietà della clausola, contenuta negli atti di acquisto di immobili ubicati in condominio, che esonera espressamente il costruttore/venditore dal versamento degli oneri condominiali afferenti alle spese di gestione per gli immobili invenduti fino al momento della loro alienazione.

L'argomento in esame impone una disamina puntuale della normativa e degli arresti giurisprudenziali in materia e appare di certa rilevanza stante la ricorrenza della previsione di detta clausola negli atti di compravendita.

La vicenda

La vertenza ha avuto origine dal giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avente ad oggetto il pagamento di contributi condominiali, promosso da un condomino verso il condominio ed alcuni proprietari, nel quale è stata dedotta ed eccepita la nullità della delibera assembleare che ha ripartito a maggioranza, tra tutti i condomini, le spese di gestione in violazione della clausola di esonero contenuta negli atti di acquisto relativamente agli unità immobiliari rimaste invendute.

Il Giudice di Pace adito in primo grado ha accolto l'opposizione e tale decisione è stata confermata anche in sede di appello dal Tribunale sul presupposto della inapplicabilità delle disposizioni previste nel Codice del Consumo in merito alle clausole vessatorie, essendo la sua entrata in vigore successiva alle compravendite.

Al contempo, il Tribunale ha ulteriormente motivato che la clausola de qua non poteva assumersi come predisposta dal costruttore/venditore ex art. 1341 Cod. Civ. motivo per cui, anche qualora fosse stata ritenuta vessatoria, non abbisognava della doppia sottoscrizione.

Ritenuta ingiusta la decisione, i singoli condomini hanno presentato ricorso per cassazione denunciando (i) la violazione degli articoli 1469 bis e ss. Cod. Civ., (ii) l'omessa pronuncia sulla nullità della clausola inserita nei contratti di compravendita e (iii) la violazione dell'art. 1341 Cod. Civ. in quanto mai sollevata.

Si è costituito anche il condominio proponendo ricorso incidentale, in particolare, sulla sussistenza del contraddittorio di tutti condomini.

Clausola convenzionale di esonero dalle spese di gestione

Nelle ipotesi di compravendita di immobile dal costruttore occorre prestare attenzione alla apposizione di clausole che possono rappresentare, o meglio configurare, uno squilibrio nelle obbligazioni reciproche tra le parti.

Sul punto, non possiamo esimerci dal sottolineare come, sovente, la redazione del contratto avvenga tramite un testo "standard" con clausole predisposte dal costruttore, nella veste di venditore professionista e dell'acquirente, quale consumatore.

In particolare, come nel caso, la clausola che prevede l'esonero dal pagamento delle spese condominiali predisposta dal costruttore/venditore dell'edificio può qualificarsi come vessatoria e, quindi nulla, configurando espressa violazione dell'art. 33 del Codice di Consumo, salvo assolvimento dell'onere della prova da parte del medesimo costruttore/venditore, ovvero la dimostrazione che la stessa clausola sia stata oggetto di specifica trattativa e dalla stessa sia derivato un analogo vantaggio in favore degli altri condòmini.

In proposito, occorre, ulteriormente, acquisire che, anche prima della entrata in vigore del Codice del Consumo, la normativa dettata dal Codice Civile all'art. 1469 bis riconosceva come vessatorie <le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto>.

Pertanto, seppur i contratti di compravendita di cui si discute erano stati stipulati prima della entrata in vigore del Codice del Consumo, possiamo affermare che la legislazione richiamata, ratione temporis applicabile, già prevedeva una tutela del compratore, quale consumatore, nei rapporti con il costruttore/venditore, al ricorrere di clausole vessatorie.

A conferma, è stata resa un'importante pronuncia dai Giudici di Legittimità, con la quale è stato sancito che <La clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell'edificio e richiamato nel contratto di vendita dell'unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi dell'art. 33, comma 1, d.lgs. n. 206 del 2005, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d'ufficio dal giudice nell'ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall'alienante, o sull'obbligo di pagamento del prezzo gravante sull'acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l'obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano> (Cassazione civile sez. VI, 21/06/2022, n. 20007).

Dalla analisi illustrata, ne deriva, dunque, che il Giudicante investito della causa avrebbe dovuto verificare la vessatorietà o meno della clausola di esonero dalla spese di gestione per gli appartamenti invenduti, apposta in tutti i contratti di compravendita ritenuta la sussistenza, all'epoca dei rogiti, dell'arr. 1469 bis c.c.

Alla luce di quanto sopra, quindi, la Suprema Corte ha accolto il primo motivo del ricorso, ritenendo assorbiti il secondo ed il terzo.

Quorum costitutivi, deliberativi e annullabilità delle delibere

Nullità e annullabilità delle delibere che modificano i criteri generali di ripartizione

Posto ciò, per quanto attiene al ricorso incidentale promosso dal condominio, rigettato il primo motivo sul difetto del necessario contraddittorio, in quanto parte del rapporto per la lite sulla riscossione delle spese dedotta con la opposizione a decreto ingiuntivo unitamente alla nullità della delibera, la Corte ha accolto le ulteriori censure sollevate.

A tal riguardo, è stato evocato il principio di diritto enunciato con la sentenza n. 9839/2021, in aderenza al quale si ravvisano nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la suddivisione, di fatto, tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi.

In conseguenza, il condomino che ha opposto il decreto ingiuntivo avrebbe dovuto impugnare la delibera contestata nel termine di trenta giorni, trattandosi di ipotesi di annullabilità, proponendo mediante domanda riconvenzionale e non in via di eccezione.

Per tale ragione, è da ritenersi inammissibile l'eccezione avanzata dal condomino con il giudizio di opposizione in assenza di una pronuncia di annullamento.

La sentenza resa dal Tribunale è stata, per l'effetto, cassata con rinvio.

Sentenza
Scarica Cass. 27 febbraio 2024 n. 5139
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