Non è raro che in un regolamento si legga che il costruttore è esonerato totalmente dal partecipare a qualsiasi spesa condominiale, per la quota riguardante eventuali unità immobiliari rimaste invendute e per i periodi che tali unità immobiliari resteranno vuote o comunque inutilizzate.
La giurisprudenza di merito ha notato che la clausola che prevede l'esonero dalle spese per il costruttore deve essere qualificata come vessatoria, incontrandone i relativi limiti. Essa, infatti, comporterebbe innegabilmente uno "squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi in senso sfavorevole al contraente consumatore in relazione al concreto assetto degli interessi raggiunto tra le parti".
In particolare tale tipo di liberatoria si ritiene vessatoria quando è prevista per un periodo illimitato. Per motivare la nullità di tali clausole, si è messo in rilievo che un criterio di ripartizione così congegnato, e caratterizzato dalla causa di esclusione consistente nella condizione soggettiva della società costruttrice, non poggia su una razionale ragione economica.
In ogni caso si è fatto presente che l'esonero della stessa impresa costruttrice/venditrice dall'obbligo del pagamento delle spese condominiali fino alla vendita delle unità immobiliari restanti, comporta l'aggravio delle spese per la gestione condominiale, dovute in relazione agli anzidetti appartamenti invenduti, in capo ai condomini già proprietari delle altre unità immobiliari e per ciò stesso, quello squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi in senso sfavorevole al contraente consumatore in relazione al concreto assetto degli interessi raggiunto tra le parti.
Recentemente la Cassazione ha messo in evidenza però come la clausola in questione contenuta nel regolamento di condominio possa essere valutata ai fini dell'art. 33 del Codice del Consumo qualora provochi un significativo squilibrio non degli obblighi di contribuzione derivanti dagli artt. 1118 e 1123 c.c., ma dei diritti e degli obblighi derivanti, ai sensi degli artt. 1476 e 1498 c.c., dal contratto di compravendita concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente.
In particolare la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell'edificio e richiamato nel contratto di vendita della unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi dell'art. 33, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, solo se sia fatta valere dal consumatore o rilevata d'ufficio dal giudice nell'ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo (cioè il costruttore o originario unico proprietario dell'edificio nello svolgimento dell'attività imprenditoriale o professionale e condomino acquirente dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva che rivesta lo status di consumatore).
In ogni caso è possibile che questa clausola di esonero contenuta nel regolamento non sia tenuta in considerazione nella ripartizione delle spese ed il condominio pretenda il pagamento delle spese anche dal costruttore. Quest'ultimo se vuole far valere la clausola deve reagire nel modo corretto. Tale situazione è stata recentemente esaminata dal Tribunale di Roma nella sentenza n. 18699 del 20 dicembre 2022.
Ripartizione delle spese e clausola di esonero dalle spese a favore del costruttore ignorata: vicenda e decisione
Un costruttore proponeva opposizione avverso il decreto provvisoriamente esecutivo con cui il Tribunale gli aveva ingiunto di pagare al ricorrente condominio un rilevante importo (oltre interessi e spese), a titolo di oneri condominiali dovuti in forza di riparti approvati con tre delibere assembleari regolarmente approvate e mai impugnate.
La società costruttrice eccepiva la nullità di tali delibere poste a fondamento del decreto, sostenendo che i riparti approvati violavano una clausola del regolamento contrattuale del condominio che prevedeva l'esonero del costruttore per dieci anni da tutte le spese condominiali; di conseguenza pretendeva la revoca del decreto - previa sospensione ex art. 649 c.p.c. della sua provvisoria esecuzione - e la condanna del condominio opposto al risarcimento dei danni per lite temeraria ex art. 96, primo comma, c.p.c. Il Tribunale, però, ha dato ragione al condominio.
Lo stesso giudice ha ricordato che sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, secondo comma, cod. civ (Cass., sez. un., 14/04/2021, n. 9839).
Nel caso esaminato quindi il costruttore avrebbe dovuto necessariamente dedurre la violazione della clausola di esonero in sede di opposizione al decreto (non in via di eccezione, ma) "in via di azione", con apposita domanda di annullamento proposta, in via riconvenzionale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., secondo comma.
Il Tribunale ha rigettato l'opposizione e confermato il decreto (in ragione della perdurante validità ed efficacia delle delibere poste a suo fondamento).