Condominio Web: Il portale N.1 sul condominio
Iscriviti alla
Newsletter
chiudi
Inviaci un quesito

Appalto: il recesso non esclude il risarcimento dei danni

Se l'appaltatore non porta a termine l'esecuzione dell'opera, la disciplina applicabile è quella generale in materia di inadempimento contrattuale.
Avv. Mariano Acquaviva 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 421 dell'8 gennaio 2024, ha affermato l'importante principio in ragione del quale, in tema d'appalto, il recesso del committente non esclude il risarcimento dei danni.

In buona sostanza, l'esercizio dello ius poenitendi ex art. 1671 c.c. non fa venir meno il diritto dell'appaltante a chiedere la restituzione di quanto pagato e il risarcimento, da esercitarsi entro il consueto termine prescrizionale decennale e non in quello ridotto di cui all'art. 1667 c.c. Approfondiamo la pronuncia in commento.

Recesso dall'appalto e diritto al risarcimento: fatto e decisione

L'impresa appaltatrice conveniva in giudizio il committente chiedendo il pagamento dei lavori bruscamente interrotti a seguito di recesso esercitato dal convenuto.

Quest'ultimo si costituiva a propria volta domandando, in via riconvenzionale, che venisse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento dell'appaltatrice, con conseguente risarcimento dei danni a proprio favore.

Soccombente (anche se solo parzialmente) in primo e in secondo grado, il committente dei lavori proponeva ricorso per Cassazione, lamentando che non gli fosse stato riconosciuto il risarcimento sulla scorta del presunto contrasto con l'esercitato diritto di recesso, oltre che dell'asserita prescrizione per applicazione dei termini di cui all'art. 1667 c.c.

Secondo la Suprema Corte, quanto al rapporto tra recesso e risoluzione per inadempimento, il committente non può invocare la risoluzione giudiziale del contratto dopo l'esercizio del diritto di recesso, che importa lo scioglimento, con effetti ex nunc, dell'appalto.

In caso di recesso, infatti, il contratto si scioglie per l'iniziativa unilaterale dell'appaltante, senza necessità di indagini sull'importanza e sulla gravità dell'inadempimento, le quali sono rilevanti soltanto quando il committente abbia preteso anche il risarcimento del danno dall'appaltatore per l'inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso.

Pertanto, al committente che manifesta la sua volontà di recedere è preclusa la proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento dell'appaltatore, poiché il rapporto è ormai venuto meno per altro titolo, ossia a seguito del recesso.

Simmetricamente, il committente che chiede la risoluzione non può poi invocare il recesso.

La domanda di risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento, infatti, è diretta a ottenere una pronuncia di carattere costitutivo, idonea a far retroagire la cessazione degli effetti al momento della stipulazione del contratto.

Per converso, il recesso rappresenta l'esercizio di una facoltà consentita dalla legge che determina lo scioglimento del negozio solo dal momento di esternazione di detta facoltà.

Con il corollario che l'accoglimento della risoluzione inibisce l'esame delle altre cause di scioglimento del medesimo rapporto contrattuale.

Nondimeno, per altro verso, benché l'esercizio del recesso impedisca al committente di invocare, in seconda battuta, la risoluzione per inadempimento dell'appalto, la circostanza che l'appaltante si sia avvalso dello ius poenitendi non impedisce di esercitare, in favore del medesimo, il diritto alla restituzione degli acconti versati e al risarcimento dei danni che sono derivati dall'inadempimento dell'appaltatore.

Per la Cassazione, l'esercizio del diritto di recesso riservato al committente non priva il recedente del diritto di richiedere il risarcimento per l'inadempimento in cui l'appaltatore sia già incorso al momento del recesso, anche ove esso sia imputabile a difformità o vizi dell'opera.

Sicché, il rigetto definitivo della domanda di risoluzione, come accaduto nel caso di specie, all'esito dell'accertamento dell'intervenuto scioglimento dell'appalto in conseguenza dell'esercizio del diritto potestativo di recesso ex art. 1671 c.c., non vieta al committente di far valere le correlate domande restitutorie e risarcitorie, in ragione del contestato inadempimento dell'appaltatore.

Orbene, secondo la Suprema Corte le domande restitutorie e risarcitorie, contrariamente all'assunto della pronuncia impugnata, non sottostanno alla disciplina speciale sulla garanzia per i vizi e al conseguente regime decadenziale e prescrizionale ex art. 1667 c.c.

Infatti, la responsabilità speciale per difformità o vizi non è invocabile nel caso di mancata ultimazione dei lavori, anche se l'opera, per la parte eseguita, risulti difforme o viziata, o di rifiuto della consegna o di ritardo nella consegna rispetto al termine pattuito. In ipotesi del genere è invocabile piuttosto la generale responsabilità per inadempimento contrattuale ex art. 1453 c.c.

Da ciò deriva che, anche ove il rapporto si sia sciolto sulla scorta dello ius poenitendi attuato dal committente, la pretesa di quest'ultimo di ottenere la riparazione dei danni conseguenti a fatti di inadempimento addebitati all'assuntore e accaduti in corso d'opera, prima che fosse fatto valere il recesso, ricade nella cornice normativa generale di cui all'art. 1453 c.c., sicché non trova applicazione la disciplina speciale sulla garanzia per le difformità e i vizi, anche con riferimento ai termini di decadenza e prescrizione.

Vizi e difformità nell'appalto d'opera: termini della denuncia ex art. 1667 c.c.

Recesso e diritto al risarcimento del committente: considerazioni conclusive

La pronuncia della Suprema Corte sinora analizzata non sembra scostarsi dalla prevalente giurisprudenza di legittimità.

Nel caso in cui l'appaltatore non abbia portato a termine l'esecuzione dell'opera commissionata, restando inadempiente all'obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine, ma presenti dei difetti (così Cass., ord. n. 7041 del 09/03/2023; Cass., sent. n. 35520 del 02/12/2022).

L'integrativa garanzia speciale per le difformità e i vizi dell'opera appaltata, infatti, postula la definitività della distonia rispetto alle prescrizioni pattuite o alle regole tecniche cui essa avrebbe dovuto conformarsi, ossia la realizzazione e consegna dell'opera commissionata, mentre, a fronte di "difformità" o "vizi" rilevati in corso d'opera quali mere lacune in procedendo (ossia, non ancora definitive e, quindi, astrattamente sanabili nell'ipotetico prosieguo dell'esecuzione), il committente può avvalersi delle facoltà di cui all'art. 1662 c.c. e, ove si cristallizzi la definitiva interruzione dell'appalto, indipendentemente dall'imputazione al committente o all'assuntore di detta interruzione, può essere invocata la tutela riparatoria secondo il regime ordinario (Cass., sent. n. 6931 del 22/03/2007).

Sentenza
Scarica Cass. 8 gennaio 2024 n. 421
  1. in evidenza

Dello stesso argomento