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Recesso, risoluzione e rescissione del contratto: quali differenze?

Cosa si intende per recesso, per risoluzione e per rescissione? Quale è la rispettiva disciplina e quali le conseguenze?
Avv. Anna Nicola - Foro di Torino 

La conservazione del contratto

Il nostro sistema giuridico è volto alla conservazione del contratto, nel rispetto dei principi di buona fede che ne caratterizzano le varie fasi, a partire dal momento delle trattative.

Ove il legislatore intravveda una qualche iniquità a che il contratto permanga in piedi, concede alla parte potenzialmente o effettivamente lesa la facoltà di sciogliere il vincolo contrattuale.

Si è nel momento in cui l'accordo è già stato concluso, spiegando tutta la sua efficacia e validità.

Il nostro ordinamento è contrario ai vincoli perpetui e permette lo svincolo contrattuale in determinate circostanze.

Si tratta dell'esercizio di un diritto potestativo, non di un dovere della parte né tanto meno di un dictat legislativo di invalidità.

In questi termini è infatti corretto parlare di scioglimento del contratto: il vincolo c'è, è valido ed efficace ma può essere sciolto perché non più nel rispetto dell'equilibrio sinallagmatico.

Quanto fin qui detto vale per tutti e tre gli istituti in oggetto.

Gli istituti in questione sono il recesso unilaterale, disciplinato dall'art. 1373 c.c.; la risoluzione a sua volta esercitabile per inadempimento, ai sensi dell'art. 1453 c.c., ma che può essere anche per impossibilità sopravvenuta e per eccessiva onerosità, ed infine la rescissione. Nel presente scritto si analizza solo la risoluzione per inadempimento.

Questi istituti spesso vengono confusi nella prassi, sebbene abbiano proprie caratteristiche autonome e effetti non identici

Recesso, risoluzione e rescissione del contratto: effetti in generale

In generale si può dire che comportano l'inefficacia del contratto concluso e potenzialmente in grado di spiegare effetti.

Recesso unilaterale

Il recesso unilaterale è disciplinato dall'art. 1373 c.c.: esso permette ad una delle parti la facoltà di spezzare il vincolo contrattuale per mezzo della manifestazione unilaterale della volontà, ovvero senza l'intervento della controparte; quest'ultima a fronte della ricezione della comunicazione di recesso non ha alcun potere di obiettare o replicare.

Il recesso può essere stabilito da una clausola del contratto ovvero nei casi specificati dalla legge.

I tipici casi di recesso legale sono quelli previsti dal Codice del Consumo (d.lgs. n. 206 del 2005) secondo il quale tutti i contratti (fatte salve alcune eccezioni specifiche) conclusi da un consumatore con un professionista, all'infuori dei locali commerciali, sono sottoposti ex lege al recesso entro 14 giorni dalla loro conclusione.

Gravi motivi di recesso dal contratto di locazione

Ove ricorra questa fattispecie, il diritto di recesso è imposto dalla legge; ove venga correttamente esercitato, il professionista-venditore non può eccepire alcunchè.

Come detto, il recesso può derivare anche da una previsione contrattuale determinata dalle parti contraenti: queste hanno la libertà contrattuale sulla cui base possono stabilire di vincolare l'accordo a determinate condizioni.

Risoluzione per inadempimento

Fattispecie analoga al recesso, nel senso che anch'essa implica lo scioglimento del contratto, è la risoluzione del contratto per inadempimento.

È diversa dall'annullamento e dalla rescissione perché questi ultimi attengono allo scioglimento del rapporto contrattuale in ragione di un vizio congenito dell'atto costitutivo o in caso di rilevante sproporzione tra le prestazioni.

Si distingue altresì dal recesso perchè quest'ultimo è conseguente ad una manifestazione di volontà unilaterale.

Si ha quando elementi patologici sopraggiungono: qui si ha l'inefficacia dell'accordo per fatti successivi alla sua conclusione, tali da non pregiudicare la validità del negozio (nei termini di nullità o annullabilità), ma comportanti la sua inefficacia.

Gravi motivi di recesso dalla locazione commerciale, un caso concreto.

La relativa azione può essere esercitata nei contratti con prestazioni corrispettive, come, a titolo esemplificativo, la compravendita. In simili casi, la parte adempiente può domandare alla controparte inadempiente - a sua scelta - o l'adempimento o la risoluzione, appunto, per inadempimento. In ogni caso è fatto salvo il diritto al risarcimento del danno.

Al fine di conseguire la risoluzione, la parte adempiente non deve necessariamente rivolgersi all'Autorità giudiziaria, essendo previsti dal legislatore strumenti alternativi quali la diffida ad adempiere con contestuale dichiarazione che in caso di mancato adempimento nei termini di legge (15 giorni) il contratto si intenderà risolto, oppure la clausola risolutiva espressa ed il termine essenziale, comportanti, tutti, la risoluzione contrattuale. Per queste fattispecie si parla di risoluzione di diritto.

In questi tre casi, il giudizio che viene radicato è volto a far accertare l'avvenuta risoluzione per la ricorrenza di una delle tre cause di diritto. Lo scioglimento è dalla data dell'operatività dell'evento risolutorio e la sentenza ha meramente valore di accertamento, in quanto la sentenza ha efficacia ex tunc.

Ove invece si tratti di risoluzione per inadempimento, nell'eventualità che si vada in giudizio, l'autorità giudiziaria deve accertare la sussistenza della gravità dell'inadempimento tale da legittimare la richiesta di risoluzione. Qui lo scioglimento si ha dal momento della decisione giudiziaria perché la sentenza ha efficacia costitutiva, con effetto ex nunc.

Rescissione

Anche la rescissione, similmente ai precedenti istituti, implica lo scioglimento del contratto. A differenza, però, del recesso e della risoluzione per inadempimento, essa si può ottenere solo in caso di vizio iniziale del sinallagma contrattuale. Gli artt. 1447-1452 c.c. prevedono i casi generali di rescissione, ovvero quello del contratto concluso in stato di pericolo o quello del contratto contenente una sproporzione tra le prestazioni dovuta dallo stato di bisogno.

Si tratta dell'alterazione del sinallagma contrattuale iniziale sulla cui base un contraente approfitta della posizione debole dell'altro e questi non avrebbe concluso il contratto ove non ci fossero state le condizioni patologiche che lo hanno costretto a concludere l'accordo, il pericolo o il bisogno.

Il primo caso è dato dal contratto che un soggetto conclude a condizioni inique per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé stesso o altri da una situazione di pericolo attuale di danno grave alla persona.

Il contratto costituisce il rimedio per scongiurare la situazione di pericolo attuale di un danno grave alla persona.

Il secondo caso concerne le ipotesi in cui uno dei contraenti si determina a concludere il contratto per fare fronte ad uno stato di bisogno.

Il soggetto in questione ha bisogno di concludere il contratto per evitare una determinata situazione pregiudizievole. È per evitare un pregiudizio di carattere patrimoniale o un pregiudizio di carattere personale non tanto grave da integrare la fattispecie della rescissione del contratto concluso in stato di pericolo.

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