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Dispensa di azione per recupero crediti e piano di rientro per morosità: poteri decisionali dell'assemblea

Come si esplica il potere dell'assemblea condominiale di deliberare in merito all'ammissione di un piano di rientro del debito.
Avv. Michele Orefice - Foro di Catanzaro 

In tema di recupero dei contributi condominiali il legislatore riconosce all'assemblea di condominio una specifica competenza ad elargire decisioni indulgenti in favore dei condòmini morosi.

Più precisamente l'art. 1129 comma 9 c.c. dispone un obbligo dell'amministratore ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dai condòmini morosi, entro il termine di sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale sia compreso il credito esigibile, salvo che non venga espressamente dispensato dell'assemblea.

Tale esplicita, per quanto oscura, competenza dell'assemblea a dispensare l'amministratore dall'obbligo di rivolgersi all'Autorità giudiziaria per l'emissione di un decreto ingiunto immediatamente esecutivo nei confronti del condomino moroso, rappresenta una novità assoluta introdotta dalla legge 220/12 di riforma della materia condominiale, che non detta, però, alcuna indicazione circa le cause e soprattutto le maggioranze necessarie per deliberare in merito all'esonero in questione.

In proposito ci si chiede quali motivazioni possano essere ritenute legittime ai fini dell'approvazione della delibera assembleare, che dispensi l'amministratore dall'agire per la riscossione forzosa delle quote condominiali scadute.

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Argomentando alla luce di una lettura sistematica delle norme condominiali riferite al recupero del credito, si evince chiaramente che il potere assembleare di dispensare l'amministratore non possa che essere inteso come residuale e di natura del tutto eccezionale rispetto all'obbligo di recupero forzoso delle quote scadute.

In effetti è lo stesso art. 1129 c.c., a stabilire che l'aver omesso di "curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva" rappresenta una delle "gravi irregolarità", che possono giustificare la revoca dell'amministratore.

Pertanto, al fine di non incorrere in ipotesi di mala gestio, è necessario che l'amministratore dimostri di aver notificato almeno il decreto ingiuntivo e l'atto di precetto al condomino moroso, in quanto "il non avere intrapreso la procedura esecutiva vera e propria può giustificarsi sulla base della non sicura solvibilità dei condomini" (Cass. Ord. Sez. III, n. 20100 del 02.09.2013).

D'altro canto l'art. 72 disp. att. c.c. prescrive l'inderogabilità dell'art. 63 disp. att. c.c., che al comma 1 disciplina il potere di agire dell'amministratore, per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, e senza alcun bisogno di essere autorizzato in proposito dalla stessa assemblea.

Ragion per cui l'esonero dall'azione potrebbe riguardare soltanto i condòmini morosi che versino in situazioni di difficoltà economiche manifeste, ovvero che siano debitori di somme esigue, per le quali non risulterebbe congruo il recupero coattivo del credito.

In questi casi l'assemblea condominiale potrebbe far slittare il termine semestrale, per il recupero dei contributi condominiali scaduti, concedendo all'amministratore un tempo più lungo, per agire.

Probabilmente l'assemblea potrebbe spingersi a prolungare di un ulteriore semestre tale termine, facendolo combaciare con la competenza di gestione condominiale annuale, ma certamente non potrebbe decidere di esonerare espressamente ed illegittimamente l'amministratore dal recuperare il credito nei confronti dei morosi, anche perché una simile decisione comporterebbe, di contro, l'obbligo dei condòmini solventi di anticipare i soldi al posto degli stessi morosi.

E poi si sa che è pressoché impossibile trovare condòmini disposti a coprire i debiti dei propri vicini, seppur bisognosi, in quanto la vera ed unica "solidarietà", riconosciuta e condivisa da tutti in condominio, è soltanto quella "passiva" nel debito condominiale.

Per non dire che la costituzione di un fondo cassa speciale, rivolto a fare fronte alle morosità di alcuni condomini, sarebbe possibile soltanto con l'unanimità di tutti i partecipanti al condominio (Trib. Milano sentenza del 18.09.2017).

È noto che, salvo diversa convenzione, le spese condominiali, ai sensi dell'art. 1123 c.c., devono essere proporzionalmente ripartite tra i condòmini, in ragione del valore della proprietà di ciascuno.

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Ma il termine semestrale per il recupero del credito può essere disatteso?

In ogni caso, anche quando l'assemblea avesse deciso di posticipare, di ulteriori sei mesi, l'azione di recupero nei confronti del moroso, la legittimazione dell'amministratore ad agire non verrebbe meno, per mancato rispetto del termine semestrale dalla chiusura dell'esercizio, in quanto il decorso del tempo non assurgerebbe a vicenda estintiva del credito, sempre che la stessa azione venga promossa nell'ambito dei termini prescrizionali delle quote condominiali.

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Nella prassi, peraltro, capita spesso che l'assemblea approvi le ragioni sottese all'inerzia ultra semestrale dell'amministratore. Tali ragioni, quasi sempre, vengono valutate nel corso dell'assemblea ordinaria annuale, cioè di quella riunione che l'amministratore convoca, ai sensi dell'art. 1129 comma 12 c.c., entro centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio, per la presentazione del rendiconto condominiale.

In quella sede sarà compito dell'amministratore illustrare ai presenti l'opportunità della mancata azione nei confronti dei morosi, che si presume venga, espressamente, indicata nella nota di gestione acclusa al rendiconto di gestione.

È noto che l'amministratore, nella prassi, agisce per i debiti più rilevanti, anche perché in condominio è diventato raro trovare chi onora le scadenze del piano rateale di riparto approvato dall'assemblea condominiale e di conseguenza rispettare alla lettera il dettato del codice civile, significherebbe intentare azioni legali contro almeno ¾ dei condòmini presenti nel fabbricato, quasi fosse un uno contro tutti.

Sotto tale profilo il termine stringente dei sei mesi, previsto per il recupero del credito, di questi tempi, risulta essere assolutamente anacronistico. Peraltro non basta agire ma bisogna anche valutare la solvibilità del condomino moroso.

Basti pensare che anche il precetto relativo al decreto ingiuntivo emesso nei confronti del debitore, ai sensi dell'art. 480, comma 2°, c.p.c., deve contenere l'avvertimento, della possibilità di poter porre rimedio alla sua eventuale situazione di sovraindebitamento.

Vale a dire che, a seguito di precetto, il condòmino-debitore potrebbe o concludere con il condominio-creditore un accordo di composizione della crisi, o proporre allo stesso un piano del consumatore, con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice. Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 6 comma 2 lett.

B legge 3/2012, il condomino è il consumatore, ossia il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

È consumatore anche il coniuge che ha prestato fideiussione all'altro coniuge per agevolarlo nell'avvio della propria attività (Ex multis Cass. n. 1869/2016; Trib. Milano 16/05/2016; Trib. Rovigo 13/12/2016).

Inoltre il piano del consumatore non richiede il consenso dei creditori per essere omologato ma solo una valutazione in ordine alla meritevolezza dello stesso consumatore.

Per non parlare del fatto che lo Stato e gli enti pubblici sono creditori privilegiati per la riscossione dei vari crediti tributari, anche nei confronti del condominio, che non sia munito di apposita garanzia ex art. 2808 secondo comma, c.c., ovvero l'ipoteca, con tutte le spese annesse e connesse.

Quindi altro che termini perentori per il pagamento delle quote condominiali e termine semestrale per intentare l'azione di recupero del credito condominiale.

In effetti è meglio valutare, caso per caso, se e quando intentare un'azione di recupero del credito, valutando in via propedeutica la possibilità di stipulare un piano di rientro concordato con il condomino moroso.

Ma come si esplica il potere dell'assemblea di deliberare in merito all'ammissione di un piano di rientro del debito, per morosità nel pagamento dei contributi condominiali?

Innanzitutto occorre specificare cosa si intenda per piano di rientro delle quote condominiali scadute. Di certo non ci si riferisce ad un tentativo di chiudere il debito condominiale, con un saldo e stralcio del dovuto, ma si tratta del pagamento periodico, in un determinato lasso di tempo, di una cifra concordata, fino a totale soddisfazione del credito, con reciproci vantaggi per il condominio ed il condomino moroso.

Al condominio si riconosce il vantaggio di recuperare il dovuto, senza anticipare spese legali per il procedimento monitoro e soprattutto senza incorrere nel rischio di dover rinunciare ad intervenire in una procedura di pignoramento immobiliare già promossa da un terzo creditore, che agisce per recuperare una cifra notevole su un immobile, con un valore di vendita insufficiente a coprire il debito.

Mentre al condomino si riconosce il vantaggio di poter pagare una rata sostenibile in un tempo ragionevole, senza il rischio di dover incorrere in vertenze giudiziarie.

Dal punto di vista contenutistico, dunque, la scrittura privata sottoscritta dal condominio, in persona dell'amministratore pro-tempore, e dal condomino moroso indicherà, oltre ai tempi ed agli importi rateali dovuti, anche le modalità di versamento, cioè bonifici, assegni, bollettini, contanti, con l'espresso avvertimento che il mancato rispetto, anche di una sola rata, comporterà la decadenza dal beneficio accordato dall'assemblea condominiale al debitore.

Per quanto attiene alle maggioranze necessarie ad assumere la delibera di approvazione del piano di rientro, occorre evidenziare che l'assemblea condominiale, quando non si tratta di diritti reali, può deliberare a maggioranza, in quanto l'unanimità dei partecipanti al condominio è necessaria solo quando la transazione abbia ad oggetto i diritti reali comuni (Ex multis Cass. n. 7201/2016 e Cass. n. 821/2014).

Di conseguenza, per poter deliberare in merito al piano rientro del debito, basterà il quorum deliberativo ordinario di cui all'art. 1136 c.c., che in seconda convocazione prevede la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.

Avv. Michele Orefice

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