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Condominio minimo, per la nomina dell'amministratore serve il consenso di entrambi i comproprietari

Nel condominio minimo le decisioni che ai sensi dell'art. 1136 co.2 c.c. richiedono l'applicazione del criterio della maggioranza vanno assunte all'unanimità. Se così non è si va dal giudice.
Avv. Valentina Papanice 

Decisioni assembleari nel condominio minimo, unanimità e ricorso al giudice

Il principio è costantemente ripetuto dai giudici di Legittimità, ma evidentemente non abbastanza.

Nel giudizio in commento quest'oggi, una condomina patisce il passaggio dei due primi gradi di giudizio per sentirselo finalmente dire in Cassazione: nel condominio minimo, cioè quello composto da due condomini, le decisioni che secondo le norme del condominio vanno assunte con la maggioranza dei partecipanti al condominio, ai sensi dell'art. 1136 co.2 c.c., vanno assunte con il consenso di entrambi.

Se non si riesce, si deve ricorrere all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1105 c.c.

Approfittiamo dunque della decisione in commento per rispolverare brevemente la posizione della giurisprudenza di Legittimità sul punto.

Condominio minimo e nomina dell'amministratore: serve l'unanimità

Nella fattispecie specifica il giudizio trae origine dalla impugnazione della delibera di nomina dell'amministratore compiuta in assenza di uno delle due condomine. Quella assente, precisamente per essersi allontanamento nel corso dell'assemblea, contesta, appunto l'assenza di unanimità.

Delibere del condominio minimo nulle se non si è entrambi d'accordo

Come detto, sia il Tribunale che la Corte d'Appello non accolgono la domanda. In particolare il Tribunale ritiene irrilevante la circostanza che nel verbale di assemblea non si sia riportato il voto contrario di una delle due condomine, dal momento che l'altra deteneva la maggioranza dei millesimi.

Mentre la Corte d'Appello risponde distinguendo i casi in cui le due quote millesimali siano uguali da quelli in cui siano diseguali, ritenendo comunque non applicabile l'art. 1136 c.c.; ciononostante, i giudici ritengono comunque irrilevante l'allontanamento volontario della condomina in quanto titolare di una quota millesimale minoritaria. In entrambi i gradi la ricorrente viene condanna per lite temeraria.

Conclusioni ben diverse per la Corte di Cassazione, che nella sentenza qui in commento, la n. 16337 pubblicata il 30 luglio 2020, richiama il principio a cui si è già accennato.

Nel condominio minimo le decisioni vanno assunte con il consenso di tutti, altrimenti decide il giudice

Il motivo di ricorso, che viene quindi accolto deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1136 c.c. e l'erronea applicazione degli artt. 1105, 1106 e 1139 c.c. dal momento che si verte su di un condominio minimo con quote non paritarie. Il motivo è ritenuto dai giudici "manifestamente fondato".

E così i giudici statuiscono che deve essere ribadito l'orientamento giurisprudenziale già più volte affermato per cui ove vi sia un condominio minimo, cioè composto da due partecipanti, nella specie aventi peraltro quote diseguali e dunque non aventi diritti di comproprietà paritari sui beni comuni, operano le norme in tema di organizzazione (ad es. quelle sulle innovazioni, sulle attribuzioni dell'amministratore, sulle competenze dell'assemblea, etc.) e specialmente quelle procedimentali sul funzionamento dell'assemblea "restando tuttavia impedito il ricorso al principio di maggioranza assoluta sotto il profilo dell'elemento personale".

E, dunque, l'assemblea del condominio minimo si costituisce correttamente se si presentano entrambi i condomini: il quorum costitutivo di cui all'art. 1136 co.1 c.c. è raggiunto con la presenza di entrambi, così come per il quorum deliberativo di cui all'art. 1136 co.2 c.c.

è richiesto il consenso di entrambi; ove tale consenso non vi sia, o per assenza di uno dei due o per mancato accordo, l'unica soluzione è quella del ricorso all'autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c. (qui si richiamano le decisioni di Cass. SS. UU. n. 2046/2006; Cass. n. 5329/2017 e Cass. n. 16075/2017).

Ricordiamo infatti che l'art. 1105 co.4 c.c., in tema di comunione, prevede che "Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere alla autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore".

Mentre, l'art. 1139 c.c. chiude le norme del codice civile sul condominio prevedendo, per quanto lì non è espressamente previsto, un rinvio alle norme sulla comunione in generale.

Dunque sul punto la Corte conclude enunciando il principio di diritto alla luce del quale nel condominio minimo, anche qualora le quote non siano uguali, ove si debba procedere all'approvazione di deliberazioni che, come quella di nomina dell'amministratore, richiedano l'approvazione della maggioranza degli interventi ai sensi dell'art. 1136 co.2 c.c., la regola è quella dell'unanimità, non potendosi fare ricorso a quella della maggioranza.

L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento del secondo ed ultimo, con cui la parte contesta la condanna per temerarietà della lite: è chiaro che essendo tale motivo riferito ad una statuizione accessoria di una decisione destinata ad essere travolta dall'annullamento della sentenza, deve ritenersi assorbita: sarà il giudice del merito a cui è rinviata la causa a valutare anche il comportamento delle parti nelle precedenti fasi del giudizio alla luce dell'esito del giudizio medesimo.

Come si costituisce un "condominio minimo" ?

Sentenza
Scarica Cass. 30 luglio 2020 n. 16337
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