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Il condomino che attiva cause senza validi motivi deve risarcire i danni

Il risarcimento danni per lite temeraria: quando un condomino, agendo senza validi motivi, è costretto a risarcire le spese legali e subire una condanna per la mancanza di diligenza nel contenzioso.
Avv.to Maurizio Tarantino - Foro di Bari 
11 Lug, 2017

Un condomino ha trascinato sino in Cassazione un contenzioso del tutto pretestuoso, subendo gli effetti di una grave condanna (10 mila euro) sull'insostenibilità dell'impugnazione e sulla mancanza di diligenza nel valutare la tesi sostenuta.

“Secondo la Corte, o il condomino era in malafede, conoscendo l'insostenibilità delle sue tesi, oppure (riferendosi esplicitamente all'avvocato del condòmino) ha tenuto una condotta gravemente colposa per non aver usato la «exacta diligentia» esigibile.

Ne consegue che il risarcimento per lite temeraria deve essere liquidato dal giudice in via equitativa sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa”.

Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16482 del 5 luglio 2017 in merito al risarcimento danni da lite temeraria.

I fatti di causa. Nel 2010 Sempronio conveniva in giudizio Tizio e Caio innanzi al Tribunale di Novara in quanto, a suo dire, i convenuti nel redigere il verbale di assemblea condominiale, avevano adottato espressioni lesive del suo onore e della sua reputazione: «Il controllo dei documenti da parte del sig… si dilunga oltre ogni ragionevole tempo» e «sorge, come sempre, la solita animata discussione tra il sig… e l'amministratore» e infine «il sig… giustifica il suo voto contrario con le solite motivazioni di tutti gli anni».Per tali ragioni, l'attore chiedeva la condanna dei convenuti al risarcimento del danno.

In primo grado, il Tribunale adito rigettava la domanda attorea con conseguente condanna di quest'ultimo per lite temeraria (art. 96 terzo comma c.p.c.). In secondo grado, l'appello veniva dichiarato inammissibile.

Per tali ragioni, l'attore proponeva ricorso per cassazione evidenziando che il Tribunale avrebbe violato l'art. 101 c.p.c., perché avrebbe deciso la causa senza previamente sottoporre alle parti la questione, rilevata d'ufficio, del "contesto agitato in cui venne scritto il verbale di condominio"; inoltre la sentenza avrebbe violato l'art. 2 Cost. e la CEDU, perché ha escluso il carattere diffamatorio di uno scritto che ha leso i suoi diritti della persona, avendolo discriminato in quanto minoranza nell'assemblea condominiale.

Compensazione delle spese di lite.

La responsabilità aggravata ex art.96 c.p.c. La norma in analisi sanziona quel comportamento illecito della parte, poi risultata soccombente nel giudizio, che dia luogo alla c.d. lite temeraria.

Si tratta del comportamento della parte che nonostante sia consapevole dell'infondatezza della sua domanda o eccezione (mala fede), la propone ugualmente, costringendo la controparte a partecipare ad un processo immotivato.

Inoltre, viene sanzionata la mancanza di quel minimo di diligenza richiesta per l'acquisizione di tale consapevolezza (colpa grave).

Invero, la legge configura in tale comportamento una responsabilità aggravata, ossia una responsabilità che si aggrava in quanto, essendo fondata su un illecito, comporta l'obbligo di risarcire tutti i danni che conseguono all'aver dovuto partecipare ad un processo privo di fondamento alcuno.

In giurisprudenza è ormai pacifico che l'art. 96 c.p.c. disciplina una responsabilità in capo al soccombente che, all'interno del processo, abbia compiuto un'attività qualificabile quale "illecito processuale", quando il comportamento assume modalità illecite sostanziandosi nell'abuso del diritto di agire o resistere in giudizio.

Una responsabilità speciale rispetto alla generale norma di cui all'art. 2043 c.c. e devoluta al giudice cui spetta conoscere il merito della controversia (Cass. n. 17523 del 2011).

Il ragionamento della Corte di Cassazione. Quanto al principio del contraddittorio (art 101 c.p.c.),secondo i giudici di legittimità, il Tribunale di Novara venne chiamato a stabilire se il verbale dell'assemblea condominiale svoltasi il 28.9.2010 fosse o no diffamatorio, e tale questione è stata decisa nel merito.

Resta quindi escluso che la sentenza sia fondata su questioni sulle quali le parti non abbiano potuto discutere.

Difatti, il giudice del merito, nella propria sentenza spiega come l'assemblea condominiale si sia svolta in un clima "teso"e che non solo non ha alcun peso nell'economia della decisione, “ma in ogni caso costituisce una mera valutazione delle prove documentali raccolte, addotta in sentenza ad colorandum, non una questione posta a base della decisione”. A tal proposito è pacifico il principio giurisprudenziale secondo cui “l'obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d'ufficio, rafforzato dall'aggiunta del secondo comma all'art. 101 c.p.c., si estende solo alle questioni di fatto, che richiedono prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti, o alle eccezioni rilevabili d'ufficio, e non anche ad una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito” (In tal senso Cass. Civ. n. 10353 del 19 maggio 2016). Quanto all'altro motivo di censura (artt. 10 e 14 CEDU), secondo i giudici di legittimità il motivo è manifestamente infondato, non esistendo norma divenuta nell'ordinamento nazionale o sovranazionale che tuteli i diritti delle minoranze condominiali. Con riferimento alla questione della responsabilità aggravata, la Corte ha già evidenziato che proporre un ricorso per cassazione malgrado la conoscenza o l'ignoranza gravemente colposa della sua insostenibilità, è fonte di responsabilità dell'impugnante ex art. 96, comma 3, c.p.c., per avere questi agito - e, per lui, il suo legale, del cui operato il primo risponde verso la controparte processuale ex art. 2049 c.c. - sapendo di perorare una tesi infondata, oppure per non essersi adoperato con la exacta diligentia esigibile in relazione ad una prestazione professionale altamente qualificata come è quella dell'avvocato, in particolare se cassazionista (Cass. Civ. Sez.3 -, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016). Difatti il ricorrente ha proposto un ricorso in parte manifestamente infondato, ed in parte manifestamente inammissibile.

Da ciò deriva che delle due l'una: o il ricorrente ben conosceva l'insostenibilità della propria impugnazione, ed allora ha agito sapendo di sostenere una tesi infondata (condotta che, ovviamente, l'ordinamento non può consentire); ovvero non ne era al corrente, ed allora ha tenuto una condotta gravemente colposa, consistita nel non essersi adoperato con la exacta diligentia esigibile (in virtù del generale principio desumibile dall'art. 1176, comma 2, c.c.).

Il ricorrente va, dunque, condannato di ufficio ai sensi dell'art. 96, comma terzo, c.p.c., al pagamento in favore delle parti intimate, in aggiunta alle spese di lite, d'una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno

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Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha respinto il ricorso di Sempronio, per l'effetto ha confermato la pronuncia di merito con ulteriore risarcimento del danno di 10 mila euro (calcolato in via equitativa ex art. 1226 c.c.) a favore di Tizio e Caio.

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione con la n. 16482 del 5 luglio 2017
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