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Lavori Superbonus non eseguiti: c'è diritto al risarcimento?

Il committente deve dimostrare il nesso tra l'inadempimento dell'appaltatore e l'impossibilità di reperire altre imprese costruttrici.
Avv. Mariano Acquaviva 

Il Tribunale di Padova, con la sentenza n. 2266 del 2023, ha accolto l'azione di risoluzione promossa dall'attore per inadempimento dell'appaltatore. Al committente spetta dunque la restituzione degli acconti versati. Va invece rigettata la richiesta risarcitoria per mancato godimento dei benefici legati al Superbonus. Analizziamo più nel dettaglio la vicenda.

Risoluzione appalto per lavori non eseguiti: fatto e decisione

Il committente citava in giudizio l'appaltatore chiedendo - previa dichiarazione di risoluzione - la restituzione delle somme versare e il risarcimento dei danni derivanti dal mancato adempimento delle obbligazioni contrattuali.

Nel caso di specie l'attore rappresentava di aver conferito incarico all'impresa affinché realizzasse alcuni interventi di edilizia rientranti nel cosiddetto Superbonus.

A fronte degli acconti iniziali, tuttavia, l'appaltatore non eseguiva le opere pattuite, impedendo così al committente di accedere alle agevolazioni fiscali.

L'attore agiva pertanto in giudizio per ottenere non solo la restituzione degli acconti versati ma anche il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della mancata conclusione delle opere di ristrutturazione dell'immobile e dell'impossibilità di usufruire del bonus 110%.

Il Tribunale di Padova ha accolto la domanda attorea, limitatamente alla richiesta di accertamento dell'intervenuta risoluzione del contratto e del diritto alla ripetizione di quanto pagato in esecuzione del medesimo.

Dall'istruttoria, infatti, era emerso pacificamente come i lavori inizialmente pattuiti non fossero stati eseguiti se non in minima parte; l'inadempimento aveva avuto, quale logica conseguenza, la perdita della possibilità di godere delle agevolazioni fiscali legate al Superbonus.

Secondo il giudice veneto, il contratto di appalto è caratterizzato essenzialmente da due distinte e reciproche obbligazioni:

  • da un lato, il committente si obbliga a pagare un corrispettivo all'appaltatore;
  • dall'altro, l'appaltatore si obbliga ad eseguire le opere o i servizi assunti con il contratto (art. 1655 c.c.).

Nel caso di specie, il committente ha offerto prova del suo adempimento rispetto all'obbligazione di pagamento del corrispettivo per l'appalto, nonché del titolo contrattuale per cui è causa, allegando poi l'inadempimento dell'impresa.

Ad abundantiam, Il legale rappresentante dell'impresa aveva emesso nota di credito in favore dell'attore per la somma, pari all'importo che questi aveva complessivamente versato a titolo di acconto per le opere di ristrutturazione, non altrimenti spiegabile se non con l'ammissione di un obbligo restitutorio derivante dall'inadempimento.

Dalla pronuncia di risoluzione del contratto discende la fondatezza della domanda di restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo (art. 2033 c.c.).

È, invece, infondata la domanda di risarcimento in relazione ai danni asseritamente patiti in conseguenza dell'impossibilità di fruire dell'agevolazione fiscale del Superbonus 110% a seguito dello scioglimento del contratto di appalto sottoscritto.

Parte attrice, infatti, non ha dimostrato né l'impossibilità di reperire altre imprese costruttrici cui conferire l'incarico di tali lavori al fine di fruire delle agevolazioni fiscali del 110% nel rispetto dei termini via via prorogati per legge; né il collegamento causale tra inadempimento dell'appaltatrice e definitiva impossibilità di reperire tali altri imprese, né infine ha specificamente chiarito le modalità di calcolo del quantum (unilateralmente quantificato nella somma di euro 150.000,00).

Superbonus al 110%: la misura della detrazione

Risoluzione appalto per lavori non eseguiti: considerazioni conclusive

La sentenza in commento ha fatto corretta applicazione della normativa in materia di appalto e, in generale, di quella che disciplina la responsabilità contrattuale.

È appena il caso di ricordare che, sulla scorta della più recente giurisprudenza (Cass., sent. n. 421 dell'8 gennaio 2024), il committente che intende chiedere la risoluzione del contratto non deve aver già esercitato il diritto di recesso ex art. 1671 c.c.

In caso di recesso, infatti, il contratto si scioglie per l'iniziativa unilaterale dell'appaltante, senza necessità di indagini sull'importanza e sulla gravità dell'inadempimento, le quali sono rilevanti soltanto quando il committente abbia preteso anche il risarcimento del danno dall'appaltatore per l'inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso.

L'esercizio dello ius poenitendi che la legge attribuisce al committente, tuttavia, non fa venir meno il suo diritto a chiedere la restituzione di quanto pagato e il risarcimento, da esercitarsi entro il consueto termine prescrizionale decennale (e non in quello ridotto di cui all'art. 1667 c.c.).

Sicché, il rigetto della domanda di risoluzione all'esito dell'accertamento dell'intervenuto scioglimento dell'appalto in conseguenza dell'esercizio del diritto potestativo di recesso ex art. 1671 c.c., non vieta al committente di far valere le correlate domande restitutorie e risarcitorie, in ragione dell'inadempimento dell'appaltatore.

Sentenza
Scarica Trib. Padova 15 novembre 2023 n. 2266
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