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Appalto privato: natura del termine decennale per fare valere la responsabilità dell'appaltatore

Il committente che chiede il risarcimento dei danni all'appaltatore deve fornire la prova dei vizi e dei difetti relativi al bene di proprietà esclusiva.
Avv. Adriana Nicoletti 

La Corte di appello di Salerno, con la sentenza n. 686 in data 24 maggio 2023, nel modificare la decisione di primo grado ha puntualmente motivato l'accezione del termine di dieci anni che il legislatore, con l'art. 1669 c.c., ha previsto per il permanere della responsabilità dell'appaltatore per l'esecuzione dell'opera a lui commissionata.

La norma, che ha carattere generale, si applica anche in materia condominiale con i necessari distinguo derivanti dalla tipicità dell'istituto.

Domanda di risarcimento danni per gravi difetti di costruzione dell'edificio. Fatto e decisione

Il Tribunale di Salerno, in sede di giudizio di primo grado, accoglieva la domanda degli attori e condannava l'appaltatore a risarcire gli stessi per i danni subiti dalle unità immobiliari di loro proprietà e derivanti da gravi difetti di costruzione, oltre a rimborsare agli stessi una somma per interventi di adeguamento alla normativa vigente e di ripristino da questi eseguiti. Il tutto con spese di CTU e di lite poste a carico del soccombente.

La sentenza veniva impugnata dall'appaltatore/convenuto in primo grado sulla base di vari motivi di gravame, dei quali il primo veniva dichiarato assorbente dei successivi e, per la sua fondatezza, l'appello veniva accolto.

Il motivo riguardava il punto della sentenza nel quale si asseriva che il primo giudice aveva erroneamente ritenuto che l'odierno appellante, in sede di udienza di comparizione, fosse decaduto dalla facoltà di formulare eccezioni ai sensi dell'art. 167, comma 2, c.p.c., senza avere considerato che il termine decennale, previsto dall'art. 1669, comma 1, c.c., non è un termine di prescrizione, riguardando il rapporto sostanziale di responsabilità dell'appaltatore.

E l'oggetto dell'eccezione si riferiva al fatto che, in questo lasso di tempo, non si erano manifestati i gravi difetti di costruzione che avrebbero provocato i danni oggetto del giudizio.

Tanto più che gli attori non avevano dimostrato che quei danni si erano verificati nel termine decennale dalla ultimazione dei lavori, avendoli verificati, invece, circa due mesi dopo tale scadenza.

La complessa motivazione della sentenza ne richiede una lettura che segua un differente iter logico rispetto a quello adottato dalla Corte del merito.

In primo luogo, va considerato il profilo processuale: nel giudizio di primo grado l'attuale appellante si era costituito oltre il termine di cui all'art. 166 c.p.c. (secondo la versione antecedente alla riforma c.d. Cartabia) contestando la mancata denunzia dei gravi vizi da parte degli attori nei termini di cui all'art. 1669 c.c. La Corte del merito - a differenza del Tribunale - ha ritenuto tale contestazione ammissibile, configurando attività meramente difensiva e tendente a paralizzare la domanda attorea attraverso la negazione di un fatto costitutivo della domanda stessa.

In secondo luogo, e quanto al merito della questione (in via preliminare secondo la motivazione), la Corte ha richiamato il quadro delineato dall'art. 1669 c.c. avente ad oggetto la rovina ed i difetti degli immobili destinati a lunga durata, rispetto al quale sono previsti tre termini di diversa natura: a) la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, per le ipotesi previste dalla norma stessa, permane per dieci anni dal compimento dell'opera; b) un anno dalla scoperta dei vizi è il termine di decadenza necessario per la relativa denunzia e c) un ulteriore anno da questa è, infine, il termine di prescrizione concesso al committente per far valere il proprio diritto.

Quanto alla prima ipotesi normativa, la Corte ha affermato che "il termine di dieci anni dal compimento dell'opera riguarda le condizioni di fatto che danno luogo alla responsabilità dell'appaltatore e non anche l'esercizio dell'azione di cui all'art. 1669 c.c., che può essere promossa anche dopo la scadenza di tale lasso temporale, purché entro un anno dalla denunzia dei vizi, che, a sua volta, deve essere effettuata entro un anno dalla loro scoperta".

Gravi difetti e responsabilità dell'appaltatore nudus minister.

Mentre per quanto concerne i tre termini qui richiamati ne è stata evidenziata la loro interdipendenza, nel senso che ove solo uno degli stessi venga meno la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente non può essere fatta valere (Cass., sez. 2, 30 luglio 2004, n. 14561; Cass., sez. 2, 14 febbraio 1989, n. 903).

Altro punto preso in considerazione dalla Corte di appello per accogliere il gravame è il fatto che gli attori, onerati dell'obbligo di dimostrare i propri assunti ai sensi dell'art. 2967, comma 1, c.c., non avevano dato prova né della data di ultimazione del fabbricato ai fini dell'operatività dell'art. 1669, comma 1, c.c., né della circostanza che nel decennio erano emersi i gravi difetti che avrebbero determinato la responsabilità dell'appaltatore.

Essendo a tale fine del tutto estraneo il momento in cui era stata rilasciata la certificazione di abitabilità dello stabile, trattandosi di un provvedimento amministrativo che, vista la sua funzione, viene necessariamente consegnato in epoca successiva (e spesso non poi tanto immediata) al compimento dell'opera.

Considerazioni conclusive

La complessa ed articolata sentenza della Corte di appello tratta una questione molto diffusa, che riguarda i rapporti tra committente ed appaltatore e che assumono particolare rilevanza anche quando il primo soggetto sia rappresentato da un condominio.

In questo caso, l'impresa che si sia aggiudicata l'appalto dei lavori e che non li abbia eseguiti a regola d'arte ha una potenziale doppia responsabilità, tanto verso i singoli condomini, quanto nei confronti del condominio quando la cattiva esecuzione ricada sulle parti comuni del fabbricato.

È pacifico che per fare valere la responsabilità dell'appaltatore ai sensi dell'art. 1669 c.c., la legittimazione dell'amministratore si ferma ai vizi ed ai difetti che interessano le parti comuni, senza potere, quindi, promuovere un'azione risarcitoria per i danni subiti dagli immobili di proprietà esclusiva, per i quali occorre un mandato espresso dei condomini (Cass., sez. 2, 17 febbraio 2020, n. 3846; Cass. sez. 2, 8 novembre 2010, m. 22656).

La Corte di cassazione, tuttavia, pur mantenendo fermo tale principio di base, ha progressivamente ampliato l'interpretazione dell'art. 1130, n. 4) c.c. fino ad affermare che la legittimazione dell'amministratore del condominio a promuovere l'azione di cui all'art. 1669 c.c. può avere ad oggetto la tutela indifferenziata dell'edificio nella sua unitarietà, talchè la tutela attraverso l'azione di responsabilità nei confronti dell'appaltatore si può estendere anche alle proprietà private quando i danni da vizi e difetti siano connessi a mancanze che interessano i beni comuni (Cass., sez. 2, 27 aprile 2015, n. 8512).

Va da ultimo ricordato che il campo di applicazione dell'art. 1669 c.c. si è allargato anche alla proponibilità, nei confronti dell'appaltatore, di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, il cui esito sia utilizzabile nel giudizio di merito introdotto con la domanda di cui alla norma citata, posto che tale accertamento è strumentale all'esercizio dell'azione di responsabilità in questione (Cass., sez. 2, 9 novembre 2009, n. 23693).

Sentenza
Scarica App. Salerno 24 maggio 2023 n. 686
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