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Superbonus: sequestro preventivo dei crediti di imposta

Non è possibile sequestrare l'intero cassetto fiscale di un'impresa: la misura cautelare reale può riguardare solo i crediti effettivamente fraudolenti.
Avv. Mariano Acquaviva 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7021 del 16 gennaio 2024, ha affrontato il delicato tema delle operazioni illecite effettuate per beneficiare delle agevolazioni del Superbonus.

Il caso ha riguardato il sequestro preventivo dei crediti d'imposta, disposto dal Gip perché ritenuti apparentemente ceduti al solo fine di ottenere i benefici del d.l. n. 34 del 2020 (c.d. "decreto Rilancio"). Approfondiamo la questione.

Sequestro dei crediti d'imposta Superbonus: fatto e decisione

Il ricorso prende le mosse dall'ordinanza con cui il Tribunale confermava il decreto del Gip.

Quest'ultimo aveva disposto il sequestro preventivo di alcuni crediti d'imposta, solo apparentemente ceduti alla ditta, in relazione al contestato reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all'art. 316-ter c.p.

Nello specifico, l'autorità giudiziaria riteneva che i lavori non fossero stati eseguiti per almeno il 30% alla data del 30 settembre 2022, termine perentorio per beneficiare del c.d. Superbonus 110%.

In buona sostanza, secondo la tesi accusatoria, sarebbero state emesse fatture false attestanti lavori non eseguiti, al solo fine di beneficiare delle agevolazioni legate al Superbonus.

Insomma: il Gip aveva ritenuto l'apparenza dei crediti di imposta, in quanto generati dall'emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, relative ad interventi edilizi ammessi agli incentivi in realtà mai eseguiti.

Da tali condotte sarebbero poi derivate le operazioni di cessione dei crediti di imposta maturati dai clienti committenti.

Avverso il provvedimento veniva proposto ricorso per Cassazione, accolto dalla Suprema Corte.

Secondo la Corte di Cassazione, il giudice del merito ha omesso di argomentare in ordine al nesso di pertinenzialità tra detti crediti e le contestate condotte di falso.

L'ordinanza impugnata si è infatti limitata a considerare decisive le dichiarazioni di alcuni committenti in merito alla mancata esecuzione dei lavori o, in ogni caso, al mancato completamento del 30% delle opere alla data dei 30 settembre 2022.

Dalle sintetiche argomentazioni del Tribunale - dalle quali sembrerebbe evincersi la falsità della documentazione attestante la realizzazione del 30% dei lavori commissionati - non è emersa, tuttavia, alcun elemento che consenta di correlare causalmente tali dichiarazioni ai crediti fiscali oggetto di sequestro.

Peraltro, anche a voler presumere che i soggetti escussi rappresentino i cedenti dei crediti di imposta, il Giudice del merito ha omesso di motivare sulle ragioni per cui ha ritenuto che da tali dichiarazioni possa desumersi la falsità della totalità delle operazioni sottostanti ai crediti di imposta vantati dalla società ricorrente, posto che, come affermato dalla stessa ordinanza impugnata, i proprietari escussi a sommarie informazioni rappresenterebbero solo una parte «dei cantieri» ove avrebbe dovuto operare l'appaltatrice.

Altra lacuna motivazionale atterrebbe, infine, alla ritenuta mancata esecuzione del 30% dei lavori commissionati, genericamente esclusa sulla base delle dichiarazioni rese da alcuni dei committenti, senza alcuna valutazione delle deduzioni difensive relative alle diverse attività effettuate nei singoli cantieri, della possibile rilevanza delle attività non agevolate documentate dai ricorrenti e, soprattutto, delle asseverazioni sottoscritte dai direttori dei lavori.

La Suprema Corte ha pertanto concluso esprimendo un principio così riassumibile: in materia di truffa derivante da indebita percezione di bonus edilizi, serve un preciso nesso di pertinenzialità tra i crediti Superbonus "maturati" in maniera fraudolenta e le contestate condotte di falso.

Non è quindi possibile sequestrare l'intero cassetto fiscale di un'impresa, dovendo il sequestro riguardare solamente i crediti effettivamente fittizi.

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Sequestro dei crediti d'imposta: considerazioni conclusive

Pur avendo ritenuto illegittimo la cautela reale emessa dal Gip, la sentenza della Corte di Cassazione consente di rimarcare la pericolosità insita nelle operazioni economiche poco chiare effettuate per beneficiare delle agevolazioni fiscali inerenti al Superbonus 110%.

È appena il caso di ricordare una recente pronuncia (Cass., 12 settembre 2023, n. 37138) che, in un caso del tutto analogo a quello sinora affrontato, ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo - ai fini della confisca obbligatoria - di un importo pari al profitto del reato di cui all'art. 316-ter c.p., in via diretta a carico della società beneficiaria del credito acquisito ed anche per equivalente, in denaro o beni, a carico dei co-indagati cui era contestata la percezione di somme relative ai vari cantieri.

La Corte di Cassazione ha affermato che all'illecita operazione oggetto del processo si sarebbero collegati, «sotto un diverso profilo, sia il sequestro del credito di imposta generato illecitamente, quale profitto direttamente derivato dalla condotta di cui all'art. 316-ter c.p. e sottoposto a vincolo reale in via diretta e impeditiva, sia il sequestro preventivo per equivalente del successivo profitto che dalla cessione di tale credito è stato realizzato nel patrimonio dell'indagato e nelle società coinvolte».

La Cassazione ha richiamato - in senso adesivo - le affermazioni dell'ordinanza del Tribunale del riesame (oggetto del ricorso), la quale aveva sostenuto potersi procedere al sequestro «sia del prodotto (consistente nel credito illecitamente creato) che del profitto (consistente nella cessione dello stesso)».

Questa duplicazione del credito sequestrabile non è andata tuttavia esente da critiche: che si tratti del credito o del corrispettivo per la sua cessione, il beneficio indebitamente percepito ex art. 316-ter c.p. sarebbe sempre unico, con conseguente unicità del sequestro e della conseguente confisca, in via diretta o per equivalente, là dove esso si trova (in capo al primo beneficiario ovvero in capo a successivi cessionari) e in solido in capo agli ulteriori concorrenti nel reato (ma sempre per un importo unico).

Sentenza
Scarica Cass. 16 gennaio 2024 n. 7021
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