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Condominio e appalto: il contratto, le garanzie ed il ruolo dell'amministratore

Lavori di manutenzione in condominio, le nozioni fondamentali.
Avv. Alessandro Gallucci 

Il condominio, da una parte, e l'impresa, dall'altra, addivengono alla stipula del contratto d'appalto per la riparazione delle parti comuni dell'edificio.

Questo il fine pratico dell'accordo. Quanto causa giuridica del contratto, invece, "costituiscono elementi tipizzanti del contratto non solamente le prestazioni essenziali oggetto del rapporto sinallagmatico, ovvero il pagamento di un'opera o la prestazione di un servizio dietro corrispettivo ma anche l'organizzazione dei mezzi necessari e la gestione a proprio rischio." (Caringella - De Marzo, Manuale di diritto civile parte III Il contratto, Giuffré, 2007).

In questo contesto, ai fini catalogativi, è stato evidenziato che il contratto d'appalto

rientra nella categoria dei "contratti d'impresa", quelli cioè stipulati nell'esercizio dell'attività economica o in via ad essa strumentale. I caratteri dell'appalto richiamano infatti, anche letteralmente, la nozione di imprenditore ex art. 2082 c.c.: l'appaltatore è di regola un imprenditore poiché deve disporre di un'organizzazione ed esercita un'attività di cui si assume il rischio e quindi la possibilità ricavi superiori ai costi sostenuti, sopportandone il peso (Caringella, De Marzo, 2007, 1247).

In sostanza, qualora l'esecutore dell'opera fosse da ritenersi un nudus minister, vale a dire mero esecutore dell'opera, a rigor di logica non si potrebbe parlare di un contratto d'appalto vero e proprio; mancherebbe la gestione a proprio rischio e di conseguenza la responsabilità dell'impresa.

Contratto di appalto, nessun obbligo di forma scritta

La nascita del vincolo contrattuale, almeno secondo le indicazioni della consolidata giurisprudenza, non è soggetta a particolari formalità.

È opinione diffusa, infatti, quella secondo cui la stipulazione del contratto di appalto non richiede quale requisito la forma scritta né "ad substantiam" né "ad probationem" (così, ex multis, Cass. 06 giugno 2003 n. 9077).

Sebbene le cose stiano in tal modo è prassi che il condominio e l'impresa stipulino un contratto ben dettagliato con l'indicazione precisa di tempi, tipologia d'interventi da realizzare, ecc. Sorto il vincolo e quindi perfezionatosi il contratto, nascono anche le obbligazioni delle parti.

Quella del committente (condominio) è molto semplice: pagare il prezzo pattuito per la realizzazione dell'opera. Quanto al corrispettivo è stabilito che se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo né hanno stabilito il modo di determinarla, essa è calcolata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice (art. 1657 c.c.).

Molto spesso le parti convengono delle tranche di pagamento corrispondenti alla verifica della regolarità dell'opera in corso di realizzazione (art. 1666 c.c.). In sostanza si conviene il pagamento alla verifica dello stato di avanzamento dei lavori (detto anche S.A.L.). Insomma quella del condominio è la classica obbligazione pecuniaria.

Quando si può dire che sono stati deliberati lavori in condominio?

Contratto di appalto, conta il risultato finale

Quanto all'appaltatore, anche per lui sorgono pochi dubbi: si tratta di un'obbligazione di facere, ossia realizzare l'opera o prestare il servizio. Nell'ambito del genus appena citato si collocano le così dette obbligazioni di mezzo e quelle di risultato. Come distinguerle?

Secondo la Corte di Cassazione "a differenza dell'obbligazione di mezzi, la quale richiede al debitore soltanto la diligente osservanza del comportamento pattuito, indipendentemente dalla sua fruttuosità rispetto allo scopo perseguito dal creditore, nell'obbligazione di risultato, nella quale il soddisfacimento effettivo dell'interesse di una parte è assunto come contenuto essenziale ed irriducibile della prestazione, l'adempimento coincide con la piena realizzazione dello scopo perseguito dal creditore, indipendentemente dall'attività e dalla diligenza spiegate dall'altra parte per conseguirlo.

Pertanto, l'obbligazione di risultato può considerarsi adempiuta solo quando si sia realizzato l'evento previsto come conseguenza dell'attività esplicata dal debitore, nell'identità di previsione negoziale e nella completezza quantitativa e qualitativa degli effetti previsti, e, per converso, non può ritenersi adempiuta se l'attività dell'obbligato, quantunque diligente, non sia valsa a far raggiungere il risultato previsto". (Cass. 10 dicembre 1979 n. 6416 in Giust. civ. Mass. 1979, fasc. 12).

La prestazione che l'appaltatore s'impegna ad eseguire rientra nel novero di quelle così dette di risultato. In tal senso, era il 2011, quando la Corte di Cassazione ha ribadito che "costituisce principio consolidato l'affermazione che l'appaltatore, il quale assume un'obbligazione di risultato e non di mezzi, (Cass. n. 12995 del 2006; Cass. n. 7092 del 1990)." (così Cass. 18 maggio 2011 n. 10927).

Ciò, si ribadisce, in quanto l'impresa s'impegna a realizzare l'opera. Naturalmente tale impegno non può spingersi fino a gravare oltremodo sull'appaltatore qualora per cause estranee alla sua volontà si rendano necessarie variazioni (art. 1660 c.c.) o la realizzazione dell'opera diviene impossibile (art. 1672 c.c.).

È in questo contesto, pertanto, che devono essere lette le norme relative alla garanzia per la difformità ed i vizi dell'opera (art. 1667 c.c.) e quella per la rovina ed i difetti di cose immobili (art. 1669 c.c.).

La garanzia ed la legittimazione ad agire

L'obbligazione dell'appaltatore, quindi, altro non è che un impegno giuridicamente vincolante a raggiungere un determinato risultato, id est la realizzazione dell'opera commissionatagli, assumendosi interamente il rischio dell'impresa.

In questo contesto vanno lette le norme poste a tutela del committente. Detta diversamente: ogni difformità dell'opera che possa essere ricondotta ad un'esecuzione difforme rispetto alle regole dell'arte ed alle indicazioni del committente dev'essere considerata alla stregua di un inadempimento.

Ergo: se le cose non vanno come devono il committente, nel caso che ci occupa il condominio, ha diritto al risarcimento del danno ed agli altri rimedi previsti dall'ordinamento.

Con riferimento alla garanzia per il contratto d'appalto è stato affermato che "la fisionomia essenziale della garanzia di diritto interno è senz'altro nota. La figura esprime una situazione di soggezione dell'appaltatore ad un ampio ventaglio di rimedi, che diviene attuale nel momento in cui l'opus, il cui processo esecutivo sia stato completato, presenti difformità e/o vizi, espressioni con le quali, nel linguaggio comune, si allude alla mancanza di qualità che all'opera devono inerire in base, rispettivamente, alle determinazioni del committente e alle regole dell'arte." (Federico Cappai, La natura della garanzia per vizi nell'appalto Volume 344 di Quaderni di Giurisprudenza commerciale Giuffré, 2011).

Ciò detto è bene comprendere chi, nell'ambito del condominio, abbia il potere di agire per l'accertamento dell'inadempimento e, di conseguenza, per l'ottenimento del risarcimento del danno.

È utile ricordare, infatti, che il condominio non è considerato una persona giuridica ma, al massimo, un centro d'imputazione d'interessi distinto da quelli dei singoli partecipanti. Nel caso dell'appalto, tuttavia, gli interessi coincidono perfettamente. Ogni singolo condomino e la collettività hanno l'interesse, rectius il diritto, a vedere eseguita correttamente l'opera commissionata.

È pacifico in giurisprudenza che il singolo condomino possa agire (o intervenire autonomamente in un giudizio promosso dall'amministratore) a tutela dei diritti esclusivi e comuni sulle parti comuni dell'edificio (Cass. 21 gennaio 2010, n. 1011). In tale contesto, quindi, è stato affermato che i singoli condomini sono attivamente legittimati ad azionare la garanzia per i vizi, ex art. 1667 c.c., relativa a lavori di restauro eseguiti sull'immobile condominiale (Trib. Roma 20 luglio 2000).

Appalto, garanzie e ruolo dell'amministratore

Al fianco dei condomini, naturalmente, c'è il potere del loro mandatario e legale rappresentante: l'amministratore. L'azione di quest'ultimo non è subordinata all'autorizzazione assembleare.

Secondo la Cassazione, infatti, rientra fra i poteri dell'amministratore il compimento degli atti conservativi delle parti comuni dell'edificio; tra gli atti conservatici va annoverata l'azione ex art. 1667 c.c.(cfr. Cass. 18 maggio 1996 n. 4619).

Si badi, però, che tale azione deve avere ad oggetto difetti inerenti lavori commissionati dal condominio.

In sostanza se la difformità è relativa all'appalto originario, committenti devono essere considerati i singoli condomini.

È stata sempre la Cassazione, nel 2009, ad evidenziare tale differenza, affermando che, l'azione di cui all'art. 1667 c.c. spetta "trattandosi di azione di natura contrattuale, solo al committente del contratto di appalto, e non, nel caso che ad agire sia il condominio, all'amministratore; a meno che il condominio non sia anche il committente dei lavori." (Cass. 9 febbraio 2009 n. 3040).

Nessun dubbio sulla possibilità di agire ai sensi dell'art. 1669 c.c. tanto per i condomini, quanto per l'amministratore (cfr. Cass. 8 novembre 2010 n. 22656). Sulla natura di quest'azione, anche in relazione all'oggetto di questa trattazione, ci si soffermerà più avanti.

Lavori in condominio: anche il singolo condomino può chiedere la risoluzione del contratto d'appalto

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