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Il giudice può vietare di adibire un deposito ad abitazione

Il giudice può proibire al proprietario di utilizzare i suoi immobili in un certo modo, ordinando di vendere gli arredi e di chiudere la fornitura del gas.
Avv. Mariano Acquaviva 

Il Tribunale di Genova, con la sentenza n. 2499 del 17 ottobre 2023, ha stabilito che legittimamente il giudice può vietare di adibire un locale deposito ad abitazione, elencando anche gli obblighi che occorre rispettare affinché tale ordine possa dirsi correttamente eseguito.

Per la precisione, il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., può specificare in cosa consiste l'obbligo di non facere contenuto nella sentenza posta in esecuzione, individuando le modalità che consentano di poter dire ottemperato il provvedimento giudiziario oggetto di precetto. Approfondiamo la questione.

Divieto di abitazione: fatto e decisione

La vicenda prende le mosse dall'azione giudiziaria promossa dal condominio affinché uno dei condòmini non impiegasse il magazzino sito al pianterreno come immobile ad uso abitativo.

A seguito di sentenza favorevole, il condominio proponeva ricorso ex art. 612 c.p.c. affinché il giudice stabilisse le concrete modalità di esecuzione del provvedimento giudiziario: quest'ultimo, infatti, si limitava ad affermare che il convenuto non dovesse utilizzare l'immobile quale abitazione, bensì come locale deposito, nel rispetto della sua destinazione d'uso.

La portata del decisum, essendo piuttosto generica, necessitava quindi del ricorso al giudice dell'esecuzione, in ossequio a quanto disposto dall'art. 612 c.p.c., a mente del quale «Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione che siano determinate le modalità dell'esecuzione».

Così adito, il giudice dell'esecuzione indicava le concrete modalità attuative dell'obbligo di non fare, individuate sia nella rimozione degli arredi e nella relativa custodia (fatto salvo lo spostamento in diverso locale eventualmente offerto dagli esecutati), sia nella piombatura o chiusura dell'utenza gas, il tutto a cura dell'ufficiale giudiziario.

Il condomino obbligato proponeva opposizione, deducendo di aver già ottemperato all'obbligo stabilito dal giudice di cognizione, cioè di non abitare il locale di cui era proprietario.

Per la precisione, il convenuto depositava un contratto con cui dimostrava di aver concesso in locazione non abitativa l'immobile oggetto d'esecuzione, oltre a un diverso contratto con cui era stata ceduta al conduttore la proprietà di alcuni dei beni mobili ivi presenti, deducendo che tali contratti avrebbero fatto venir meno la materia del contendere dell'esecuzione.

Il condominio si opponeva in ragione del fatto che i contratti stipulati non provavano affatto che il locale non fosse più utilizzato come abitazione e che la locazione aveva lasciato in ogni caso inalterata la situazione fattuale.

Il Tribunale di Genova, con la sentenza n. 2499 del 17 ottobre 2023, ha respinto l'opposizione del condomino, dando ragione alla compagine.

In effetti, il proprietario del locale in precedenza adibito ad abitazione non ha ottemperato all'ordine contenuto nel provvedimento giudiziario, almeno non secondo le modalità individuate dal giudice dell'esecuzione.

Il mero contratto di locazione ad uso non abitativo non può infatti costituire elemento idoneo a dare puntuale esecuzione al titolo azionato che richiede, invece, la non utilizzazione concreta del locale ad uso abitazione, e che per essere eseguito necessita dell'eliminazione dei beni che consentono l'abitazione del locale.

Stesso discorso sia per la vendita degli arredi che per la chiusura della fornitura gas per il solo servizio di riscaldamento.

Nemmeno ci si può dolere della presunta "ingerenza" del giudice dell'esecuzione, il quale correttamente è intervenuto, su ricorso dell'interessato, a precisare in che modo il provvedimento avrebbe dovuto essere portato a compimento.

Locazione non abitativa transitoria, alcune precisazioni

Divieto di abitazione: considerazioni conclusive

Quanto appena detto trova piena corrispondenza nella giurisprudenza pregressa.

Gli obblighi di non facere possono essere eseguiti ex art. 612 c.p.c. non solo quando devono essere distrutte opere costruite in violazione degli obblighi «ma anche consentendo l'utilizzazione di determinate cose per un determinato scopo, ottenibile rompendo il rapporto che lega quelle cose tra loro o quelle stesse cose con un determinato luogo, quando proprio l'esistenza di tale rapporto costituisca l'attività vietata o il mezzo attraverso il quale viene svolta» (Cass., n. 2519/1974).

Poiché, quindi, rientra nell'ambito dei poteri del giudice dell'esecuzione, adito ai sensi dell'art. 612 c.p.c., determinare le modalità di esecuzione dell'inibitoria (cfr. Cass., n. 12263/2009) imponendo al debitore comportamenti idonei a conseguire il risultato vietato dal titolo esecutivo, non può ritenersi ultronea l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che determini tali modalità privando l'immobile delle dotazioni di servizi e di beni normalmente necessari per il suo impiego abitativo.

Sentenza
Scarica Trib. Genova 17 ottobre 2023 n. 2499
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