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I diritti del conduttore sono tutelati nel caso il contratto di locazione è antecedente al pignoramento?

Con la sentenza in disamina la Corte di Cassazione approfondisce alcuni aspetti inerenti la tutela del conduttore.
Avv. Nicola Frivoli 

Con sentenza emessa in data 27 luglio 2022, n. 23508 la Corte di Cassazione, Sezione III, si è pronunciata su sei motivi di censura in virtù dell'azione intentata da una società creditrice assegnataria ex art. 590 c.p.c. di un immobile pignorato, in forza di decreto di trasferimento, intimando atto di precetto per il rilascio dell'immobile stesso ad una società (S) che lo deteneva in virtù di contratto di sublocazione, nonché alla conduttrice dell'immobile ad uso affittacamere (R). La società R propose opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c. dinanzi al Tribunale di Roma, (nel giudizio interveniva la S), l'opponente chiedeva di dichiararsi l'inopponibilità del contratto di locazione, nonché della sublocazione, in quanto non trascritto prime della trascrizione del pignoramento e comunque perché stipulati a canone "vile", ex art. 2923, comma 3, c.c. Il giudicante decideva per cessazione della materia del contendere perché la sublocatrice (S) aveva rilasciato l'immobile in favore della società creditrice assegnataria, con compensazione delle spese di giudizio.

La società-conduttrice propose gravame, che venne respinto dalla Corte d'appello di Roma con pronuncia n. XX/2015, che venne però cassata dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. XXX/2017, con rinvio dinanzi alla stessa Corte capitolina in quanto il rilascio dell'immobile era avvenuto non già spontaneamente o per accordo tra le parti, ma a seguito dell'esecuzione del rilascio avviata dalla società-assegnataria, perciò non era possibile dichiarare cessata la materia del contendere, occorrendo invece pronunciarsi sul merito dell'opposizione Nel giudizio di rinvio la Corte romana, con sentenza n. YY del 12.9.2019, accoglieva l'appello del R (conduttrice), dichiarando l'inesistenza del diritto della creditrice assegnataria di procedere all'esecuzione forzata per il rilascio dell'immobile in questione e condannando la stessa al risarcimento del danno patito dall'intimata, liquidato in euro 553.316,36, comprensivi di interessi e spese del procedimento.

In particolare, il giudice del rinvio accertava che il contratto di locazione tra G (società riconducibile ai debitori esecutati, già proprietari dell'immobile) e R era opponibile all'assegnataria-creditrice. ai sensi dell'art. 2923 c.c., giacché esso:

  1. aveva data certa anteriore al pignoramento;
  2. s'era automaticamente rinnovato ex lege, alla prima scadenza del 31.8.2011, per un ulteriore novennio, senza necessità di autorizzazione del giudice dell'esecuzione ex art. 560 c.p.c., né di trascrizione nei RR.II.; ed infine
  3. non poteva comunque dirsi regolato da prezzo inferiore di un terzo a quello giusto o a quello risultante da precedenti locazioni, di cui peraltro non v'era traccia nel processo; di conseguenza, la Corte accertò e dichiarò anche l'insussistenza del diritto della creditrice di procedere ad esecuzione forzata per rilascio dell'immobile, condannandola al risarcimento ex art. 96, comma 2, c.p.c., nei termini suddetti, per non aver usato la necessaria prudenza.

Avverso detta sentenza ricorreva per cassazione la creditrice assegnataria, sulla base di sei motivi, illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso R, che proponeva anche ricorso incidentale, affidato ad un motivo; S. Non svolgeva difese.

I motivi del ricorso

Con il primo motivo, si lamentava violazione e falsa applicazione degli artt. 615, 605 ss., 81 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Rilevava la ricorrente principale che, nel giudizio di rinvio, avrebbe dovuto porsi in primo luogo la questione - rilevabile d'ufficio e comunque sollevata da essa ricorrente - della legittimazione attiva della R, giacché il precetto le era stato notificato solo ad abundantiam, l'esecuzione per rilascio essendo stata invece minacciata nei confronti della sola S, che deteneva ed occupava, in via esclusiva, l'immobile. Solo quest'ultima, quindi, avrebbe potuto proporre l'opposizione all'esecuzione.

Con il secondo motivo, si lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2923, comma 2, c.c., nonché 28 e 29 della legge n. 392/1978, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Osservava la ricorrente che, posto che né la locazione, né la sublocazione erano state trascritte prima del pignoramento, le stesse non avrebbero comunque potuto eccedere, ai fini dell'opponibilità, il novennio dall'inizio della locazione, giacché la giurisprudenza di legittimità che esclude la necessità dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 560 c.p.c., configurando l'automaticità del rinnovo ai sensi degli artt. 28 e 29 della legge n. 392/1978.

Con il terzo motivo si lamentava la violazione e falsa applicazione dell'art. 2923, comma 3, c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Osservava ancora la ricorrente che la prima locazione tra l'originaria locatrice (società riconducibile agli esecutati, proprietari dell'immobile) e la R prevedeva un canone annuo di € 46.481,16, mentre la sublocazione tra quest'ultima e la S ne prevedeva uno di € 120.000,00 annui; conseguentemente, il primo canone era inferiore di due terzi rispetto a quello della sublocazione, ma la Corte d'appello, pur avendo correttamente escluso che il canone locativo fosse inferiore di un terzo in relazione al secondo criterio dettato dalla disposizione in epigrafe (ossia, quello che richiama precedenti locazioni, non note), non altrettanto aveva fatto rispetto al primo criterio (canone inferiore di un terzo rispetto a quello "giusto"): detto parametro di raffronto, infatti, emergeva in modo palese dal contratto di sublocazione, pressoché coevo a quello originario, giacché il relativo canone era pari a quasi tre volte quello del primo contratto; né poteva diversamente opinarsi, come invece ha fatto la Corte d'appello, a cagione del fatto che la sublocazione aveva ad oggetto una estensione più ampia dell'appartamento (una camera in più), non essendosi proceduto ad alcuna valutazione parametrica o proporzionale, ed ancora non necessariamente occorrendo dimostrare aliunde la "viltà" del canone.

Con il quarto motivo si lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 394 c.p.c., nonché degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e dei principi del giudicato interno, e ancora dell'art. 92, comma 2, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.

Secondo la ricorrente, la Corte del merito aveva violato il principio per cui il giudizio di rinvio è un giudizio "chiuso", in cui le parti conservavano la loro originaria posizione processuale e non potevano introdurre nuovi temi d'indagine.

Sosteneva, infatti, la società che, a seguito della cassazione della sentenza d'appello, la Corte territoriale avrebbe nuovamente dovuto decidere l'appello e, quindi, la questione della pretesa propria responsabilità processuale aggravata ex art. 96, comma 2, c.p.c., per aver ingiustamente ed imprudentemente intrapreso l'esecuzione, ma sulla base delle originarie allegazioni.

Con il quinto motivo, in subordine, si denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 96, comma 2, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. In particolare, la ricorrente principale evidenziava che l'ingiustizia dell'esecuzione e la correlata mancanza di prudenza del procedente, ai fini del risarcimento previsto dalla disposizione rubricata, andassero correlati alla esecuzione concretamente minacciata o intrapresa, nonché al relativo destinatario.

Al contrario, la Corte d'appello aveva ritenuto di dover parametrare il danno in relazione alla posizione di un soggetto estraneo all'esecuzione minacciata, ossia a R, laddove invece il precetto era stato intimato ai precedenti già proprietari dell'immobile e a S., che lo deteneva.

Con il sesto motivo, infine, si denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 96, comma 2, c.p.c., 2056, 1223 e 1227 c.c., 41, comma 2, c.p., ed ancora omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.

La ricorrente principale si duoleva della decisione d'appello nella parte in cui aveva ritenuto sussistente il nesso causale tra l'opposizione minacciata e il danno asseritamente subito da R, pari alla differenza tra i canoni che avrebbe dovuto ricevere da S, se questa non fosse stata costretta al rilascio, e i canoni che essa avrebbe dovuto versare alla neo-proprietaria creditrice assegnataria (e quindi, € 73.518,84 annui, con decorrenza dalla data di rilascio spontaneo, avvenuta l'11.3.2013, fino alla seconda scadenza contrattuale, ossia al 2.4.2020).

Con il ricorso incidentale il controricorrente, con l'unico motivo, denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2924 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La ricorrente incidentale si duoleva della decisione impugnata per non essere stato rilevato il giudicato interno sulle eccezioni sollevate da creditrice assegnataria nel giudizio di primo grado (ed oggetto dei primi tre motivi del ricorso principale), tutte disattese dal Tribunale e non oggetto né di impugnazione incidentale, né di riproposizione ex art. 346 c.p.c.

Tutto ciò, per quanto dette eccezioni fossero state comunque disattese dal giudice del rinvio, in quanto infondate.

La Corte di legittimità poneva l'accento, in via preliminare, sull'unico motivo del ricorso incidentale attesa la sua proprietà logica rispetto ai motivi del ricorso principale. Detto motivo veniva dichiarato infondato.

Pronuncia di rito per la cessazione della materia del contendere

Infatti, il Tribunale di Roma, con la sentenza poi confermata dalla Corte d'appello, aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere, per effetto del rilascio dell'immobile eseguito dalla subconduttrice S in favore della creditrice assegnataria.

Tuttavia, è noto che la dichiarazione di cessazione della materia del contendere è una pronuncia in rito, giacché con essa si constata il venir meno dell'interesse delle parti ad una decisione sul merito (per tutte, Cass., Sez. Un., 28 settembre 2020 n. 1048), ed è insuscettibile di determinare il giudicato circa le questioni controverse (tanto da non precluderne la riproposizione in un diverso giudizio: Cass. civ. sez. III, 31 agosto 2015, n. 17312; Cass. civ. SEz. V-VI, 24 gennaio 2018, n. 1695), che solo si consolida in relazione alla questione del venir meno dell'interesse, ex art. 100 c.p.c.

Ne discendeva che nessuna preclusione può ipotizzarsi in relazione all'esame delle stesse questioni controverse, ove in seguito la pronuncia di cessazione della materia del contendere venga riformata o cassata, come appunto avvenuto nella specie, riguardo alla prima sentenza d'appello.

Le stesse eccezioni originariamente sollevate dalla società creditrice assegnataria, dunque, sono state correttamente esaminate, nel merito, dal giudice del rinvio a seguito della cassazione della prima sentenza d'appello, perché al riguardo non s'era formata, né operava alcuna preclusione.

La Suprema Corte riteneva, invece, che il terzo motivo di censura del ricorso principale fosse fondato ed assorbiti i motivi quattro, quinto e sesto, relativi all'accessorietà della domanda, rigettati il primo e secondo motivo.

La tutela dell'acquirente di immobile locato.

L'art. 2923, ai primi 3 commi, chiarisce che le locazioni consentite da chi ha subito l'espropriazione sono opponibili all'acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento, salvo che, trattandosi di beni mobili, l'acquirente ne abbia conseguito il possesso in buona fede. Le locazioni immobiliari eccedenti i nove anni che non sono state trascritte anteriormente al pignoramento non sono opponibili all'acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione.

In ogni caso, l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni. La Cassazione ha rilevato che, nel caso di specie, il contratto di locazione era precedente rispetto al pignoramento, pertanto, l'acquirente avrebbe potuto attivare tutela se il canone di locazione fosse stato inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni.

Perciò, la Corte d'appello ha ritenuto erroneamente che non sussista neanche la condizione di inopponibilità di cui all'art. 2923, comma 3, c.c.

La quantificazione del giusto prezzo quale elemento di confronto e quantificazione della quota di un terzo può avere come riferimento il canone di locazione riportato nel contratto di locazione successivo (relativo allo stesso immobile) che, hanno chiarito i giudici, può essere elemento idoneo a dar conto della giustezza del prezzo della locazione, benché successivo, se adeguatamente considerato e rapportato al contesto in cui è avvenuta la prima stipula. La stessa prova può essere data mediante esibizione di contratti di locazioni di immobili similari.

Il contratto di locazione per uso abitativo, equo canone e canone libero

Gli ermellini ritengono, in sostanza, che la Corte territoriale abbia errato in iure perché il contratto di sublocazione è certamente utilizzabile (anche quale unica fonte del convincimento del giudice) ai fini che interessano, ossia quale parametro per giungere alla valutazione circa la giustizia o meno del canone della prima locazione, contrariamente a quanto dalla Corte opinato, sia pure una volta adeguatamente rapportato al contesto in cui è avvenuta la prima stipula.

Inoltre, la comparazione deve essere effettiva e non superficiale od apparente (come invece ha comunque fatto la Corte d'appello) e deve procedere o coeteris paribus, oppure (ove ciò non sia possibile, come nella specie) con i necessari adeguamenti, occorrendo approfondire la relativa valutazione anche al lume dei principi di estimo: non solo, dunque, mediante raffronto meramente percentuale (riferito cioè, riguardo al caso che occupa, alla metratura della camera in più, oggetto del contratto di sublocazione, in rapporto con l'estensione dell'immobile come originariamente locato), ma in termini prospettici sulla incidenza della diversa estensione, ai fini dell'impiego dell'immobile secondo l'uso contrattuale pattuito (nella specie, a destinazione alberghiera)

Il principio di diritto.

La Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: «ai sensi dell'art. 2923, comma 3, c.c., l'acquirente della cosa pignorata può liberarsi dall'obbligo di rispettare la locazione stipulata anteriormente al pignoramento ove dimostri che il canone locativo è inferiore di un terzo al giusto prezzo, oppure a quello risultante da precedenti locazioni; nello scrutinio del primo tra i due suddetti parametri, in particolare, il giudice ben può far ricorso a qualsiasi argomento di prova offerto dalle parti, compresi le presunzioni, nonché gli elementi ricavabili dal raffronto del canone della locazione con quello di una successiva sublocazione del medesimo immobile».

Per completezza, si disaminano anche i due motivi rigettati dalla Suprema Corte.

Il primo motivo è stato dichiarato infondato, per quanto la motivazione della qui gravata sentenza debba essere integrata o corretta ex art. 384, ult. comma, c.p.c., risultando conforme a diritto il dispositivo.

Al riguardo, la Corte del rinvio aveva desunto la sussistenza della legittimazione attiva dell'opponente dalla circostanza che il precetto le fosse stato notificato ad istanza della creditrice assegnataria.

Infatti, riteneva la Corte di dover esplicitamente respingere la doglianza del ricorrente sul punto, essenzialmente corretta essendo la valutazione del giudice del rinvio: l'odierna controricorrente era legittimata attiva alla proposizione dell'opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c., perché la stessa creditrice assegnataria le aveva tout court notificato il precetto, senza alcuna specificazione circa la sua limitazione ad una pretesa litis denuntiatio.

Anche il secondo motivo è del pari infondato. Esso, infatti, si fondava sulla tesi per cui - posto che il contratto di locazione ad uso diverso, ex artt. 28 e 29 della legge n. 392/1978, si rinnova automaticamente alla prima scadenza novennale, salve bene specifiche eccezioni, non collegate alla mera volontà negoziale delle parti - nella specie si sarebbe al cospetto non già di due distinti periodi di locazione novennali (come accertato dal giudice del rinvio), bensì di una unica locazione della durata di diciotto anni, suscettibile di ridursi in dette eccezionali ipotesi.

Secondo la Cassazione la tesi propugnata dal ricorrente era insostenibile, perché la rinnovazione del contratto (benché automatica - Cass. civ., S.U., 15 maggio 2013, n. 11830) presuppone pur sempre la preesistenza di un contratto da rinnovare, all'evidenza perfetto in tutti i suoi elementi, durata novennale compresa, come appunto correttamente accertato dal giudice del rinvio.

In conclusione, è stato rigettato il primo motivo del ricorso incidentale, accolto il terzo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbiti i motivi quarto, quinto e sesto, rigettati il primo e secondo motivo, cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinviata la causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.

Sentenza
Scarica Cass 27 luglio 2022 n. 23508
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