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Il contratto di locazione per uso abitativo, equo canone e canone libero

La legge n. 392/78 “il nero” e la svolta, La legge n. 431/98 e il canone libero.
Avv. Alessandro Gallucci 

Contratto di locazione ad uso abitativo, le norme

Una tra le prime modalità di utilizzo del contratto di locazione riguarda sicuramente quella che ha finalità abitative. Tizio affitta a Caio la propria unità immobiliare poiché quest'ultimo ne necessita per destinarla a propria abitazione.

Le locazioni abitative sono disciplinate, fondamentalmente da tre leggi: il codice civile, la legge n. 392 del 1978 (la così detta legge sull'equo canone) e la legge n. 431/98.

Dall'equo compenso all'equo ribasso?

La lettura coordinata delle tre fonti normative ci permette di affermare quanto segue: forma, durata, quantificazione del canone e modalità di recesso dei contratti sono stabiliti dalla legge n. 431/98, la disciplina riguardante successione nel contratto ed altri aspetti (es. spese di registrazione, partecipazione alla vita condominiale, ecc.) sono normati dalla legge 392/78, mentre l'individuazione di obblighi connessi all'esecuzione del contratto (es. riparazioni, ecc.) è contenuta nel codice civile.

Non vanno tralasciati di decreti ministeriali attuativi della citata legge del 1998 che assicurano la piena attuazione delle norme afferenti alla locazione con canone concordato, transitoria e per studenti universitari.

Fino al 1998, data di emanazione della legge 431, la "parte del leone" era svolta dalla legge sull'equo canone. A far data da quell'anno, invece, il legislatore ha inteso lasciare maggiore libertà di contrattazione alle parti.

Prima di entrare nel merito della situazione attuale vale la pena capire perché si è arrivati a decidere, sia pur entro determinati vincoli, di deregolamentare il mercato delle locazioni abitative.

La legge n. 392/78 "il nero" e la svolta

Equo canone. È stata questa locuzione in voga per un ventennio in Italia quando si parlava di locazioni destinate all'uso abitativo.

L'art.12 della legge n. 392/78 (poi abrogato prima parzialmente, nel 1991, e poi totalmente, nel 1998) recitava:

"Il canone di locazione e sublocazione degli immobili adibiti ad uso di abitazione non può superare il 3,85% del valore locativo dell'immobile locato.

Il valore locativo è costituito dal prodotto della superficie convenzionale dell'immobile per il costo unitario di produzione del medesimo.

Il costo unitario di produzione è pari al costo base moltiplicato per i coefficienti correttivi indicati nell'art. 15.

Gli elementi che concorrono alla determinazione del canone di affitto, accertati dalle parti, vanno indicati nel contratto di locazione.

Se l'immobile locato è completamente arredato con mobili forniti dal locatore e idonei, per consistenza e qualità, all'uso convenuto, il canone determinato ai sensi dei commi precedenti può essere maggiorato fino ad un massimo del 30%.

Elemento fondamentale per il sorgere del rapporto locatizio è "la durata"

Le suddette modalità si applicano fino alla attuazione della riforma del catasto edilizio urbano.

L'abrogazione parziale del 1991 riguardava quest'ultimo comma. Nella sostanza la legge n. 392 prevedeva un complesso meccanismo di determinazione del canone con lo scopo di renderlo, per l'appunto, equo.

Risultato? È storia conosciuta da molti quella dei contratti "in nero", ossia degli accordi scritti e completamente slegati dalla disciplina legale.

Motivo: i canoni locatizi determinati in base alla legge venivano ad essere considerati completamente fuori mercato, insomma troppo bassi per i locatori.

Ed allora? Allora si sceglieva la strada dell'illegalità, con mancanza di garanzie e diritti e contestualmente anche con un incremento esponenziale del contenzioso in materia di locazioni. Un cambiamento, dunque, era necessario.

Emersione dei contratti in nero anche attraverso maggiore libertà delle parti di concordare, in un regime di libero mercato, il costo dell'affitto.

Le leggi successive alla n. 431/98, si pensi su tutte a quella sulla cedolare secca (cfr. d.lgs n. 23/2011), dimostrano che lo scopo è stato raggiunto solamente in parte.

La legge n. 431/98 e il canone libero

Nella legge n. 431 del 1998, almeno per quanto riguarda i così detti contratti 4+4 (si veda più avanti, ossia quelli che rappresentano la forma più utilizzata "per chi vive in affitto" la determinazione del canone è rimessa alla libera contrattazione delle parti. Fu questa la novità più attesa quando venne approvata quella legge.

A distanza di qualche anno si può dire che sebbene ciò abbia avuto l'effetto di rendere più trasparente il mercato degli affitti, tuttavia non ha risolto del tutto il problema dell'emersione dei contratti "in nero".

Anche le successive norme, quale ad esempio quella che prevede la nullità dei contratti non registrati (vedi più avanti), non sono state risolutive di una problematica, quella degli affitti in nero, difficile da sradicare.

La legge n. 431/98 ed il canone concordato

Una via mediana tra predeterminazione del canone e canone libero è quella del così detto canone concordato, ovvero sarebbe meglio dire calmierato.

Questa disciplina, anch'essa prevista dalla legge n. 431/98 e poi attuata dai succitati decreti ministeriali (l'ultimo del 2017) prevede un complesso meccanismo di calcolo, che tiene conto della tipologia d'immobile, dell'ubicazione, ecc. e che individua un range entro il quale le parti sono libere di concordare il canone.

È utile inoltre rammentare che la locazione a canone concordato con adesione al regime della cedolare secca consente di pagare un'imposta pari al 10% del canone.

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