La Cassazione torna sul tema dei contratti di locazione con canone 'parzialmente' in nero con una bella pronuncia (sentenza n. 22126 del 13 ottobre 2020) dove l'estensore ripercorre l'evoluzione delle norme e della giurisprudenza, anche costituzionale, circa la nullità del contratto non registrato e le conseguenze sui rapporti tra locatore e conduttore.
Controversia su affitto e canoni non registrati
Tizia chiede lo sfratto per morosità di Caio, deducendo di aver stipulato con lui un contratto di locazione ad uso commerciale, regolarmente registrato il 04 aprile 2006, per un canone mensile di € 775,00 e che Caio è moroso nel pagamento dei canoni da giugno a settembre.
Caio si oppone allo sfratto, affermando che tra lui e Tizia esisteva altro contratto di locazione (sempre ad uso diverso) stipulato il 1° febbraio 2000, non registrato, per una durata di 6 anni (dunque fino al febbraio 2006) senza rinnovo alla scadenza, con un canone di € 361,51. Deduce ancora Caio che Tizia aveva sempre preteso, sin dall'avvio del contratto del 2000, il pagamento di un canone di € 775,00 anziché di € 361,51 e che, giunti alla scadenza indicata nel contratto del 2000, Tizia aveva imposto la stipula di un nuovo contratto (quello registrato il 04 aprile 2006) che prevedeva il 'nuovo' canone di € 775,00.
Caio si lamentava anche del fatto che il contratto del 2006 imponesse un aggiornamento ISTAT del canone pari al 100%.
Pertanto, Caio riteneva che il contratto del 2000 fosse l'unico valido tra lui e Tizia, così da chiedere l'accertamento del suo vigore e la condanna di Tizia a restituire i canoni versati in eccedenza (ricordiamo che l'unico canone registrato - quello del 2000 - era di € 361,51, mentre Tizio aveva sempre pagato € 775,00) nonché le somme pagate a titolo di aumento ISTAT 100%.
Mentre il Tribunale di Roma rigetta la domanda di sfratto, dichiara che il contratto valido è quello del 2000, che si è rinnovato al canone di € 361,51, che nulle sono le pattuizioni di un canone superiore (quello del 2006) e l'aggiornamento ISTAT, condannando la locatrice Tizia a restituire i canoni versati in più da Caio, la Corte d'Appello, cui si rivolge Tizia, locatrice soccombente, ribalta la pronuncia di I°, affermando che il contratto (quello del 2006, come vedremo) si è risolto per inadempimento del conduttore Caio al pagamento del canone di locazione, condannandolo a pagare la morosità dei 4 mesi dedotti in sfratto, al netto degli aumenti ISTAT superiori al 75% (illegittimi secondo la Corte), nonché a pagare un'ulteriore somma a titolo di indennità di occupazione, avendo Caio rilasciato l'immobile nel luglio 2014.
La Corte d'Appello infatti ha ritenuto che, siccome anche Caio, nelle sue difese, aveva riconosciuto che sin dal 2000 il canone effettivamente pagato era pari ad € 775,00, tale canone doveva «certamente» essere stato concordato tra le parti e che pertanto il contratto del 2006 non violava l'art. 79 della Legge 27 luglio 1978, n. 392 (che prevede la nullità di pattuizioni su canoni maggiori rispetto a quello previsto in contratto), né gli poteva essere applicato l'art. 13 della Legge 09 dicembre 1998, n. 431 (che prevede la nullità di pattuizioni di canoni superiori a quello indicato nel contratto scritto e registrato), perché norma rivolta unicamente alle locazioni ad uso abitativo.
Infine, sostiene la Corte che il contratto del 2006 ebbe natura novativa del contratto del 2000 e del rapporto tra Tizia e Caio, perché regolamentò aspetti non marginali del contratto in modo nuovo e difforme rispetto all'accordo precedente - infatti il contratto del 2006 prevedeva la risoluzione automatica in caso di ritardato pagamento, l'aggiornamento ISTAT e modificava la durata.
La Corte di Cassazione, cui si rivolge Caio, emette una pronuncia ulteriormente diversa.
Quando sussiste novazione del contratto di locazione
La Corte innanzitutto ritiene che il contratto del 2006 non costituisse novazione del contratto del 2000.
La novazione del contratto di locazione non si realizza solamente quando varia la misura del canone o il termine di scadenza, essendo invece ed ulteriormente necessario mutare l'oggetto o il titolo della prestazione ed individuare l'animus novandi e la causa novandi. Ha allora errato la Corte d'Appello, secondo i giudizi di Piazza Cavour, deducendo la novazione dall'inserimento, nel contratto del 2006, di elementi che, non rappresentando il mutamento dell'oggetto del contratto (come la risoluzione automatica per il ritardato pagamento) non potevano determinare l'aliquid novi necessario per riconoscervi una novazione.
Anche la variazione della durata contrattuale tra il 2000 (solo 6 anni) ed il 2006 (6+6? non è dato inferirlo con certezza dalla narrativa della sentenza) non è elemento novativo.
Nemmeno l'aggiornamento ISTAT vale a provare la novazione - peraltro, rammentiamo che ai sensi dell'art. 32 L. 392/78, comma 2°, l'aggiornamento può essere al massimo del 75% per i contratti 6+6 o comunque stipulati ai sensi dell'art. 27 stessa legge.
Lo stato dell'arte sulla nullità del canone (in tutto o in parte) in nero
La parte più interessante della pronuncia in commento è data dall'analisi dell'accordo simulatorio circa la misura del canone.
Infatti, Caio solleva nel suo ricorso l'eccezione relativa alla condotta della Corte d'Appello che, di fronte ai due contratti ad ai due canoni diversi e dinnanzi alle affermazioni di entrambe le parti circa l'effettivo pagamento, sin dall'inizio del rapporto, di € 775,00, ha dedotto automaticamente che sussistesse tra loro un accordo di simulazione relativa del contratto.
In base ai principi in materia di prove e simulazione dei contratti, in presenza di un contratto redatto per iscritto (quale quello del 2000), laddove si si assuma un patto coevo (cioè contemporaneo) a detto contratto, volto a modificarne una parte (simulazione relativa), è necessario che la prova venga data tramite controdichiarazioni, non essendo ammissibile altro mezzo.
La Corte di Cassazione rileva quindi come la Corte d'Appello non abbia svolto questa indagine e non abbia chiesto a Caio di produrre una controdichiarazione scritta e firmata da Tizia, laddove costei richiedeva il canone di € 775,00, sebbene poi si affermi che un principio di prova può essere dato dalle poche ricevute recanti la somma di € 775,00 che occasionalmente Tizia rilasciò a Caio, in quanto comunque documenti scritti provenienti da colei contro la quale si affermava il fatto e riferibili in qualche modo all'accordo simulatorio.
A questo punto, la Corte avrebbe già disposto di tutti gli elementi argomentativi e di motivazione per cassare la sentenza dei giudici d'appello e rinviarla all'ufficio per l'applicazione del principio di diritto enucleato; tuttavia, i giudici di Piazza Cavour approfittano per ripercorrere l'evoluzione normativa e giurisprudenziale sul contratto di locazione non registrato ed il canone in nero pattuito tra le parti.
Per farlo, citano la pronuncia delle Sezioni Unite n. 23601 del 2017 con la quale si cercò di porre fine alla diatriba nata circa il canone 'in nero', cioè concordato e pagato extra contratto e superiore a quello pattuito, a prescindere dalla registrazione del contratto.
In quella sentenza, le Sezioni Unite statuirono che «è nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo. a prescindere dall'avvenuta registrazione». e qui, aggiungiamo, anche laddove la registrazione avvenga tardivamente per tentare di 'sanare' il canone maggiore richiesto.
Rammenteranno forse i lettori come, a partire dagli anni 2000, il legislatore operò alcune modifiche ed inserimenti nella disciplina delle locazioni tali per cui le regole di diritto tributario hanno in certo senso 'sconfinato' fino a divenire presupposti della validità civilistica; così, l'art. 13, comma 1, della Legge n. 431/98, sopra citato, l'art. 1, comma 346, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005), il quale stabilì che «i contratti di locazione… sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati» ed infine, l'art. 3, commi 8 e 9, del D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (c.d.
Cedolare Secca), dove di prevedeva una procedura di 'denunzia' del locatore da parte del conduttore in caso di omessa registrazione della locazione, con la possibilità di permanere per un ulteriore periodo nella disponibilità dell'immobile ad un canone pari alla rendita catastale.
La Corte costituzionale più volte 'salvò' le norme in parola, in particolare l'art. 13 della Legge n. 431/98 e l'art. 1, comma 346 della Finanziaria 2005, sostenendo che dette disposizioni avessero avuto come intenzione ed effetto di «elevare la norma tributaria a rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell'art. 1418 c.c.»; attenzione, osservano i giudici di legittimità, perché tale affermazione da parte della Consulta potrebbe esser intesa sia nel senso che la locazione non registrata e con canone 'reale' difforme rispetto a quello contrattuale sia nulla in quanto sussiste una norma specifica che commina detta nullità (i due articoli appena citati, ai sensi dell'art. 1418, 3° comma, c.c.) sia nel senso che la nullità di una simile locazione è da intendersi come nullità virtuale, cioè nullità derivante dalla violazione di norme imperative (come prescritto dall'art. 1418, 1° comma, c.c.).
La Corte di Cassazione ha per molto tempo negato l'ingerenza delle norme tributarie sull'efficacia e la validità degli atti civilistici, ma, con la pronuncia a Sezioni Unite n. 18123 del 2015, detto orientamento è cambiato, sposando la tesi della nullità virtuale appena esposta ed affermando così che la nullità di cui all'art. 13 della Legge n. 431/98 intende sanzionare solamente il patto occulto di maggiorazione del canone e non è possibile sanare tale contratto con la registrazione tardiva, trattandosi di un contratto la cui causa è illecita e, pertanto, nullo - la causa del patto occulto è infatti l'elusione fiscale, che non può essere tutelata dall'ordinamento tanto da approntarle la tutela di una disciplina contrattuale e di una sanatoria.
Quanto poi al caso, come quello concreto esaminato dalla Corte nella pronuncia che abbiamo commentato, relativo alla c.d. 'doppia pattuizione' del canone, cioè un canone minore indicato in contratto simulato e registrato ed uno maggiore oggetto di un atto dissimulato e non registrato, il vizio che affligge il secondo contratto è genetico, perché la sua causa è illecita e ne determina la nullità, motivo assorbente rispetto alla violazione dell'obbligo di integrale registrazione posto dalla legge.
Così, anche se l'art. 13 della Legge n. 431/98 non è applicabile alle locazioni ad uso diverso, laddove ricorrano i presupposti visti nel caso concreto, la pattuizione di un canone maggiore e diverso rispetto a quello derivante dal contratto cade sotto la scure dell'art. 79 della Legge n. 392/78 e in virtù dell'interpretazione costituzionalmente orientata data dalla Corte di Cassazione delle norme in materia di nullità virtuale del contratto di locazione.