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Contratto di locazione a canone convenzionato. L'ultima interpretazione legislativa. Un breve focus

Contratto di locazione a canone convenzionato: analisi delle ultime novità legislative e della loro influenza sulla durata e sul rinnovo dei contratti, con focus sulle recenti interpretazioni normative.
Avv.to Maurizio Tarantino - Foro di Bari 
5 Ago, 2019

Il contratto di locazione. Il legislatore ha inteso disciplinare l'intera materia del contratto di locazione nel Libro IV delle obbligazioni, Titolo III, Singoli Contratti, Capo VI, negli artt.1571 e ss. del codice civile.

Comunque va, senza dubbio, considerata la rilevanza della legislazione speciale che si è susseguita nel corso degli anni per la disciplina del rapporto locatizio ad uso abitativo, in particolare la L. 27 luglio 1978 n.392 (c.d.

Legge sull'equo canone), nonché la L. 9 dicembre 1998 n.431, ove quest'ultima ha comportato tutta una serie di modifiche sostanziali nell'ambito del citato contratto di locazione, rendendolo libero ed in forma scritta.

Premesso quanto esposto, la locazione è un contratto consensuale che si perfeziona con l'accordo delle parti, sì che la consegna della cosa non rientra nella fase formativa del rapporto, ma costituisce il primo ed ineliminabile obbligo del locatore, che condiziona la nascita degli obblighi e delle responsabilità ulteriori, nonché il consolidarsi della posizione del conduttore quale titolare di un diritto personale di godimento.

Secondo quando dispone l'art.1571 c.c., la locazione è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a far godere all'altra (conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo.

In altre parole, come risulta dalla norma definitoria del citato art.1571 c.c., è necessario, affinché un diritto personale di godimento sia qualificato come locazione, che a fronte della prestazione del concedente vi sia la previsione di un corrispettivo a carico del concessionario. Elemento essenziale del contenuto di ogni rapporto di locazione è senza dubbio anche la durata della concessione in godimento.

Già dalla nozione stessa del contratto delineata dal codice, si evince che il godimento della cosa oggetto di locazione, può essere concesso solo per un tempo determinato.

Pertanto, nella locazione lo scambio reciproco delle prestazioni, vale a dire il godimento della res ed il versamento del corrispettivo, non può protrarsi sine die, ma deve necessariamente avere un termine ultimo.

Se la durata è elemento essenziale del contratto di locazione, le parti nel determinare il contenuto nel rapporto locatizio devono indicare la durata del rapporto.

Risulta evidente che obbligazione del locatore del godimento pieno e pacifico del bene, si estende nel tempo e che la misura del corrispettivo da pagare da parte del conduttore è in funzione della durata del contratto, che ha un inizio ed un termine.

Rispetto agli altri due elementi essenziali del contratto di locazione (consegna del corrispettivo), la cui assenza determinerebbe la nullità del contratto (il combinato disposto degli artt.1346 e 1418 c.c.), il requisito della durata non comporta la nullità del rapporto locatizio, perché la legge, come avviene in tutti i contratti ad esecuzione continuata e periodica, interviene in supplenza, stabilendo una durata legale.

Contratto di comodato senza determinazione di durata

Tipologie. Preliminarmente, in tema di contratti di locazione ad uso abitativo, giova ricordare che il nostro legislatore, con la legge n. 431/1998, ha previsto in tema di durata.

a) Durata ordinaria (art. 2 comma 1). Canone libero con durata anni 4+4;

b) Durata concordata (art. 2 comma 3 e 4). Canone convenzionato anni 3+2.

A ben vedere, i due distinti tipi di locazione sono ulteriormente caratterizzati dalla diversa disposizione in ordine al canone di locazione: in quella ordinaria il canone è liberamente determinabile; in quelle concordate (o, come si dice, anche convenzionate), il canone deve essere quello stabilito dalle convenzioni territoriali tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative.

Tale sistema, come introdotto dalla citata normativa, tuttavia, non esaurisce le tipologie delle locazioni abitative. Difatti, sono anche ricompresi i due seguenti tipi di rapporti:

A) Studenti universitari, ai sensi degli artt. 4-bis e 5 l. n. 431/98 e art. 3 d.m. Infrastrutture e Trasporti del 16 gennaio 2017 (da 6 a 36 mesi, canone convenzionato);

B) Transitorie, ai sensi dell'art. 2 e art. 3 l. n. 431/1998 (da 6 a 36 mesi, canone convenzionato).

Ogni contraria pattuizione volta a stabilire un aumento del canone di locazione deve considerarsi palesemente nulla.

Le novità introdotte dal D.M. 16.01.2017. Nuove regole sono state introdotte per i canoni c.d. "concordati" che, dopo 18 anni, cambiano a seguito del decreto Infrastrutture del 16 gennaio 2017, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale serie Generale n.62 del 15.3.2017, in vigore dal 30.3.2017.

Tale normativa contiene novità sia per i contratti a canone concordato, sia i contratti di locazione transitori che i contratti di locazione per studenti universitari. Infatti si dettano nuovi criteri per la determinazione dei canoni di locazione nelle contrattazioni territoriali, nonché aggiornata la modulistica da utilizzare per la stipula degli stessi.

Novità che hanno interessato anche la validità civilistica dei contratti:

  • non vi è più l'obbligo di essere assistiti dalle associazioni delle proprietà edilizie e degli inquilini.
  • i contratti "3+2" non sono più limitati ai comuni ad alta tensione abitativa ma possono avere ad oggetto le abitazioni di tutti i comuni italiani.
  • i contratti concordati devono essere stipulati con il modello contrattuale stabilito nell'allegato A, del citato D.M. 16.01.2017.

In primo luogo si rileva che il D.M. 16.01.2017, sostituisce le disposizioni del D.M.30.12.2002, ridefinendo i criteri generali e le condizioni per stipulare un contratto a canone concordato ed aggiornando la relativa modulistica.

In particolare, le parti contrattuali, nella definizione del canone effettivo, possono essere assistite (in passato era un obbligo) dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori.

In mancanza, i contratti sono validi e le parti possono far attestare, anche successivamente, la rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all'accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali. Il decreto disciplina poi gli accordi territoriali tra associazioni di proprietari e inquilini.

Per quanto riguarda i contratti 3+2, art.2, comma 3, l. n. 431/1998, si fa presente che questi possono riguardare le abitazioni site in tutti i comuni italiani: si tratta sia degli accordi territoriali sottoscritti dai comuni ad "alta tensione abitativa" (art.1 D.L. 551/1988) che quelli sottoscritti negli altri comuni.

In caso di inesistenza di accordo a livello locale, i valori di riferimento sono quelli definiti dalle condizioni previste dal D.M. 14.7.2004, a norma del quale i contratti agevolati possono essere stipulati anche in mancanza di accordo tra inquilini e proprietari ai sensi del D.M. 30.12.2002.

Gli accordi territoriali stabiliscono fasce di oscillazione del canone di locazione. All'interno di tali fasce di oscillazione, secondo le caratteristiche dell'edificio e dell'unità o porzione di unità immobiliare, è concordato, tra le parti, il canone per i singoli contratti.

Problema interpretativo. Decorsi i primi 5 anni del contratto (3 anni iniziali e prima proroga biennale), secondo opinione di molti, non era chiaro quale fosse la portata del rinnovo tacito al termine del quinto anno, ossia biennale o triennale.

Difatti, l'art. 2, comma 5, l. n. 431/1998 prevede che «alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto si rinnova alle medesime condizioni».

In sostanza, il contratto si rinnova a nuove condizioni oppure si rinnova alle medesime condizioni: in tale ultimo caso trovava applicazione la proroga triennale (prima opzione del 3+2) o la proroga biennale? La questione ha investe due distinti motivi di interesse: quello squisitamente civilistico in relazione, appunto, alla durata e scadenza contrattuale ma anche l'altrettanto importante aspetto fiscale.

Proprio su tale ultimo aspetto si è assistito ad una evidente disomogeneità del trattamento all'interno dei diversi Uffici dell'Agenzia delle Entrate, i quali hanno ritenuto che dopo la prima proroga biennale, le successive proroghe non potevano avere una durata biennale.

Interpretazione giurisprudenziale. Abbiamo già precisato, in tema di durata dei contratti a canone concordato, che gli stessi sono caratterizzati nella misura minima di anni 3 più 2; questi, sono assoggettati al canone di cui alle convenzioni territoriali e, come detto, sulla base dei tipi di contratti predisposto a livello nazionale.

La durata e, particolarmente, la scadenza, la prosecuzione ed il rinnovo di tali rapporti, hanno dato origine a differenti interpretazioni.

In argomento, i giudici di legittimità hanno osservato che il secondo inciso dell'articolo 2, comma 5°, della legge 431/1998 deve interpretarsi nel senso che la locazione si intende prorogata di un biennio alla scadenza del triennio di durata previsto dalla legge, sempre che il locatore non abbia in relazione a essa dato la prevista disdetta motivata, soltanto qualora il conduttore abbia anteriormente manifestato l'intenzione di rimanere nell'immobile e, quindi, se egli abbia proposto la conclusione di un rinnovo ed essa sia stata rifiutata dal locatore oppure se una simile proposta l'abbia fatta il locatore al conduttore sempre anteriormente e questi l'abbia rifiutata.

In mancanza di una di tali eventualità, cioè sostanzialmente se non sia intervenuta una trattativa per il rinnovo non perfezionatasi, la locazione si deve, invece, intendere automaticamente cessata alla scadenza del triennio senza necessità di disdetta da parte dello stesso conduttore, trovando applicazione la disciplina del primo comma dell'articolo 1596 del c.c.

Naturalmente, qualora si sia verificato l'operare della fattispecie dell'articolo 1596 del c.c. ne deriverà anche l'eventuale operare del primo e del secondo comma dell'articolo 1597 del c.c. e correlativamente dell'articolo 1574, nn. 1 e 2, del codice civile (Cass., civ. sez. III, 4 agosto 2016, n. 16279).

Dunque, seguendo tale orientamento, il contratto si intende prorogato di un biennio - ex art. 2, comma 5, della l. n. 431 del 1998 - alla scadenza del triennio legale, sempre che il locatore non abbia comunicato la sua intenzione adibitoria ed impeditiva del rinnovo con atto motivato scritto e preavviso semestrale, solo se il conduttore abbia anteriormente manifestato la volontà di rimanere nell'immobile, proponendo la stipulazione di un rinnovo rifiutato dalla controparte, oppure, se sia stata quest'ultima a formulare una richiesta in tal senso, respinta dal primo.

L'ultima interpretazione legislativa. L'articolo 19-bis del Dl 34/2019 (convertito dalla legge 58/2019) chiarisce che, allo scadere del periodo di proroga biennale di un contratto a canone concordato, scatta il rinnovo di due anni in due anni, a meno che non intervenga la disdetta.

Per meglio dire, il legislatore, in sede di conversione del Dl 34/2019 (legge 58/2019), ha inserito l'articolo 19 bis, qualificandolo come "norma di interpretazione autentica in materia di rinnovo dei contratti di locazione a canone agevolato".

Così è stato stabilito che il quarto periodo del comma 5 dell'articolo 2 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, si interpreta nel senso che, in mancanza della comunicazione ivi prevista, il contratto è rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio.

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