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Gatti in condominio, le sentenze in materia

Gatti in condominio, dal diritto delle colonie, allo stalking: una rassegna della giurisprudenza in materia.
Avv. Eliana Messineo - Foro di Reggio Calabria 

Gatti in condominio? A volte son gioie ed a volte son liti. Sì, perché se da un lato gli animali domestici sono sempre più considerati, dalla legge e dal comune sentire, membri della famiglia e della società, è pur vero che, soprattutto in condominio, non mancano le liti tra coloro che li amano e li difendono e coloro che, invece, pochi fortunatamente, non tollerano la loro presenza.

Ecco, quindi, che diventa necessario ed assolutamente indispensabile contemperare i diritti e gli interessi di tutti: dei condomini che non hanno animali d'affezione e che, come tutti, hanno diritto a godere del bene comune senza turbative che potrebbero limitare i loro diritti nonché, del pari, dei proprietari degli animali o di coloro che se ne occupano, pensiamo ai quei condòmini che accudiscono i randagi nelle aree condominiali.

In materia, è fondamentale fare una distinzione poiché se è vero che non vi sono divieti nel possedere o detenere animali domestici nella propria abitazione all'interno di un condominio, è pur tuttavia necessario rispettare determinate regole quando gli animali stessi vengono tenuti (curati e fatti rifugiare) o condotti negli spazi comuni.

Ricordiamo, infatti, che con la L. 220/2012 - Riforma del Condominio - è stato aggiunto all'art. 1138 cod. civ. rubricato "Regolamento di condominio", il disposto di cui all'ultimo comma secondo cui "le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici".

La suddetta disposizione deve ritenersi applicabile a tutte le disposizioni con essa contrastanti indipendentemente dalla natura dell'atto che le contiene (regolamento condominiale contrattuale o assembleare) e indipendentemente dal momento dell'introduzione del regolamento stesso (prima o dopo la novella 2012).

Nessuna norma condominiale può vietare di detenere animali domestici in condominio, indipendentemente dalle previsioni contrattuali dell'edificio in cui il proprietario dell'animale domestico risiede (Trib. Cagliari, ord. n. 7170/2016).

L'eventuale norma regolamentare difforme da tale precetto è inficiata da nullità poiché contraria ai principi di ordine pubblico ravvisabili nella necessità, oramai consolidata nel diritto vivente e al livello di legislazione nazionale e europea, di valorizzare il rapporto uomo- animale (in tal senso, Tribunale civile di Cagliari, Sez. II, 22 luglio 2016 n. 93118).

In quest'articolo di approfondimento ci occuperemo preliminarmente della disciplina civilistica di riferimento in caso di contrasti tra condòmini derivanti dalla presenza di animali domestici nelle aree condominiali, per poi soffermarci sul caso specifico dei gatti che, come è noto, sono animali sociali che vivono in libertà e spesso si radunano in gruppi, le c.d. colonie feline.

Animali domestici nelle aree condominiali: La disciplina civilistica applicabile

Com'è noto, quando un cortile, o in generale, uno spazio è comune e manca una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari, il relativo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale.

In particolare, l'utilizzo di parti comuni viene disciplinato dall'art. 1102, comma 1, c.c., in base al quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri partecipanti secondo il loro diritto.

Il pari uso della cosa comune non è da intendersi nel senso di un utilizzo necessariamente identico e contemporaneo da parte di tutti i compartecipanti ben potendo essere anche più intenso da parte di alcuni.

Infatti, come statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, in tema di condominio, è legittimo, ai sensi dell'art.. 1102 c.c., sia l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione - purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini - sia l'uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (Cass. n. 5753/2007).

Colonie feline, salute dei condomini e l'ordinanza del Comune di Formia

In considerazione dei limiti imposti dall'art. 1102 c.c., dunque, l'utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condòmino, pensiamo ad esempio alla costruzione di piccoli rifugi temporanei per gatti, è consentita quando la stessa non alteri l'equilibrio tra concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti di costoro.

Sì, dunque, agli animali domestici nelle aree condominiali purché la detenzione ed il possesso degli amici a quattro zampe avvenga nel rispetto dei coesistenti diritti degli altri condomini e non rechi disturbo oltremodo intollerabile.

Si parla di limite della normale tollerabilità nell'ambito del tema delle immissioni di cui all'art. 844 c.c. I condomini hanno il diritto ad opporsi a tutte le propagazioni, compreso quindi il rumore e l'odore provocato dall'animale, solo se superano la normale tollerabilità.

Vediamo nello specifico, cosa ha statuito la giurisprudenza con riferimento ai gatti in condominio.

Colonie feline negli spazi condominiali

La legge 281/91, dettata a prevenzione del randagismo e a tutela degli animali d'affezione, definisce "colonia felina", un gruppo più o meno numeroso di gatti che vivono in un determinato e circoscritto territorio.

La predetta legge sancisce la territorialità delle colonie feline quale caratteristica etologica del gatto, riconoscendo loro la necessità di avere un riferimento territoriale o habitat dove svolgere le funzioni vitali quali cibo, rapporti sociali, cure, riposo.

Il legislatore ha ritenuto che i gatti, animali sociali che si muovono liberamente su un determinato territorio (radunandosi spesso in gruppi, per l'appunto denominati "colonie feline"), pur vivendo in libertà, sono stanziali e frequentano abitualmente lo stesso luogo pubblico o privato, creandosi così un loro "habitat" ovvero quel territorio o porzione di esso, pubblico o privato, urbano e non, edificato e non, nel quale vivono stabilmente.

Nessuna norma di legge, né statale né regionale, proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat cioè nei luoghi pubblici e privati in cui trovano rifugio.

Gatti in condomino, le regole

L'art. 2 della L. 281/1991, commi 7-10, così recita: 7. È vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà; 8.

I gatti che vivono in libertà sono sterilizzati dall'autorità sanitaria competente per territorio e riammessi nel loro gruppo; 9.

I gatti in libertà possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o incurabili; 10.

Gli enti e le associazioni protezioniste possono, d'intesa con le unità sanitarie locali, avere in gestione le colonie di gatti che vivono in libertà, assicurandone la cura della salute e le condizioni di sopravvivenza.

Ne deriva che i gatti che stazionano e o vengono alimentati nelle zone condominiali non possono essere allontanati o catturati per nessun motivo, a meno che non si tratti di interventi sanitari o di soccorso motivati.

Infatti l'art. 2 comma 9 della suddetta legge, prevede che i gatti in libertà possono essere soppressi soltanto "se gravemente malati o incurabili".

Pertanto, soltanto in caso di gravi motivazioni sanitarie o per la tutela dei gatti stessi, l'ASL competente può valutare di spostare la colonia, previa verifica e controllo di un luogo alternativo.

Un'importante sentenza in materia, la n. 23693 del 2009 del Tribunale di Milano, ha stabilito che dare da mangiare e prendersi cura di gatti randagi nelle aree condominiali non è vietato, a patto che questo non costituisca danno per gli altri condomini, nel rispetto della normativa posta a tutela della comunione nonché del diritto alla salute costituzionalmente garantito.

Recentemente ha fatto notizia il caso di una condòmina che teneva troppi gatti in casa i quali, essendo poco curati, erano diventati fonte di pericolo. I condòmini, avevano presentato un esposto al Comune per chiedere di verificare il corretto rispetto delle norme a tutela dell'igiene e della sanità pubblica; all'esposto seguiva l'emissione da parte del Sindaco di un'ordinanza contingibile e urgente mediante la quale veniva disposto di allontanare subito dall'appartamento i gatti, di spostarli in un cortiletto privato con idonea recinzione atta a impedire lo sconfinamento e di provvedere, giornalmente, al nutrimento e all'accudimento. La condòmina presentava ricorso al Tar Sicilia, sede di Catania, che di recente, con sentenza n. 1299 del 23 aprile 2021, ha confermato l'ordinanza del Sindaco.

Gatti e stalking condominiale.

I gatti di proprietà, a volte, possono rendersi, loro malgrado, protagonisti di episodi molesti nei confronti di altri condòmini. La condotta della condòmina proprietaria dell'animale, lasciato libero di imbrattare parti comuni dell'edificio condominiale, è qualificabile come molestia di fatto, consistendo in una turbativa che può interferire negativamente con il sereno godimento da parte degli altri condomini (nella specie trattavasi di molestia nei confronti della conduttrice di un immobile locato in condominio; cfr. Corte d'Appello di Milano n. 366 del 3 marzo 2021).

In alcuni casi, può configurarsi addirittura lo stalking c.d. condominiale che consiste nel compimento di comportamenti molesti e persecutori nei confronti dei vicini di casa, nell'ambito del condominio.

A tal proposito ricordiamo la sentenza n. 25097 del 5 giugno 2019 con la quale la Cassazione ha stabilito che, allorquando un condòmino, volutamente, continui a liberare i gatti nelle parti comuni dell'edificio nell'evidente consapevolezza delle conseguenze che ciò comporta sul piano igienico e delle molestie che in tal modo si arrecano ai vicini, tale comportamento è riconducibile all'art. 612 bis c.p. (reato di "atti persecutori", comunemente noto come stalking).

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