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Il vicino di casa che utilizza i gatti per dare fastidio risponde di stalking

Quando un condomino ha l'intenzione di usare i propri animali per infastidire gli altri può essere denunciato per stalking.
Avv.to Maurizio Tarantino - Foro di Bari 

I gatti di proprietà. Sappiamo che la legge di riforma n. 220/2012 ha fornito un'apertura verso quei condomini che vogliono tenere gli animali in appartamento. Difatti, l'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. prevede che "le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici".

In argomento, ai fini di una corretta interpretazione della norma, è importante precisare che nella stesura finale del nuovo testo dell'art. 1138 c.c., il termine animali "da compagnia" è stato sostituito con quello di animali "domestici" dai confini più incerti sotto il profilo del relativo inquadramento, al fine di estenderne la definizione ad un più ampio genus di animale "di affezione".

Infatti, sebbene la legge non definisca la nozione di animale domestico, in mancanza di una precisazione normativa, ai fini dell'applicazione della nuova norma, per animale domestico va inteso l'animale che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive.

Ad ogni modo, il proprietario del gatto è responsabile dei danni cagionati dall'animale di sua proprietà sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito salvo che provi il caso fortuito.

La responsabilità incorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale da un fatto proprio dell'animale, a prescindere dall'agire dell'uomo (ad es. il gatto ha distrutto le piante del vicino).

In tema, l'art. 2052 c.c. stabilisce a carico del proprietario dell'animale una presunzione di colpa, sicché non è sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza ma occorre la prova del caso fortuito, cioè imprevedibile, inevitabile, assolutamente eccezionale.

Qualora il gatto causi dei danni mentre è affidato a terzi per es. ad amici, parenti, conoscenti, ne risponde comunque il proprietario [1].

La vicenda. Con la sentenza impugnatala Corte d'appello di Trento confermava, anche agli effetti civili, la condanna di Tizia per il reato di atti persecutori commesso ai danni di Sempronia.

In pratica, i giudici del merito avevano addebitato a Tizia una incuria colposa nel governo dei propri animali, evidenziando come, nonostante le ripetute lamentele, questa aveva volontariamente continuato a liberarli nelle parti comuni dell'edificio abitato anche dalla persona offesa, nell'evidente consapevolezza delle conseguenze sul piano igienico che ciò comportava e della molestia che in tal modo arrecava alla propria vicina.

Avverso la sentenza, in cassazione, l'imputata ha eccepito che gli episodi relativi alle deiezioni dei gatti erano stati occasionali e comunque dovuti ad incuria nella loro custodia, difettando dunque tanto il requisito dell'abitualità della condotta, quanto il dolo richiesto per la sussistenza del reato.

Quanto invece all'esposizione all'interno del condominio di scritte e cartelli riportanti minacce ed insulti nei confronti della persona offesa, alcuna prova sarebbe emersa in merito alla loro attribuibilità all'imputata.

Il ragionamento della Cassazione. Secondo i giudici di legittimità, il comportamento di Tizia era certamente riconducibile a quello tipizzato dall'alt. 612-bis c.p. (atti persecutori), tanto più che lo stesso non poteva essere considerato disgiuntamente dagli ulteriori atti contestati, soprattutto ai fini della prova dell'elemento soggettivo del reato e dell'abitualità della condotta, requisiti entrambi motivatamente ritenuti sussistenti dalla Corte territoriale.

Del resto, dall'istruttoria di causa era emerso che anche gli agenti della polizia municipale allertati dalla persona offesa avevano riferito della presenza di escrementi animali ovvero del persistente olezzo delle loro deiezioni. Per quanto riguarda, poi, l'attribuibilità all'imputata delle scritte e dei cartelli contenenti insulti e minacce, questa è stata logicamente desunta dal giudice dell'appello dal contesto della vicenda, ma, soprattutto, dal fatto che l'edificio teatro dei fatti era una villetta bifamiliare, le cui parti comuni servivano esclusivamente, oltre che l'abitazione della vittima, quella dell'imputata, ritenendo dunque escluso che altri potessero essere stati protagonista di tali comportamenti o avere interesse a porli in essere.

Quanto infine all'evento del reato, generica e manifestamente infondata è stata l'obiezione circa l'inconferenza della certificazione rilasciata dalla psicologa che aveva visitato la persona offesa, posto che la ricorrente non evidenziava i motivi di tale assertiva affermazione, peraltro sorvolando sul fatto che lo stato di prostrazione e di ansia in cui versava la vittima era stato provato in sentenza anche facendo riferimento al contenuto delle dichiarazioni di alcuni dei testimoni, rimaste dunque incontestate. In conclusione, il ricorso è stato rigettato.

Massima:"Nonostante le ripetute lamentele, il comportamento volontariamente e deliberatamente tenuto dalla proprietaria che lasci i gatti incustoditi tanto da recare molestia agli altri, configura un comportamento certamente riconducibile a quello tipizzato dall'art. 612 bis c.p." Cass. pen., sez. V., 5 giugno 2019, n. 25097


[1] M. TARANTINO "Animali in condominio. Tutele e responsabilità", Edizioni Condominioweb, Catania,2019, p. 54 ess

Sentenza
Scarica Cass. pen. sez. V. 5 giugno 2019 n. 25097
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