L'amministratore del condominio in cui vivo non risponde mai alle mie richieste!
Ho scritto tantissime volte all'amministratore e risponde sempre in ritardo e senza risolvere i dubbi che gli pongo!
L'amministratore del mio condominio, quando risponde lo fa a tempo suo, anche settimane dopo le mie lettere!
Queste, solitamente, le lamentele che ci giungono relativamente alle corrispondenze intrattenute con l'amministratore del proprio condominio.
Una delle criticità di maggior rilievo per molti condòmini è rappresentata dalle richieste inevase, o corrisposte intempestivamente dal proprio amministratore.
Certamente chi lavora in uno studio di gestione immobiliare sa benissimo che la gestione della corrispondenza è sicuramente un punto critico: lettere e comunicazioni ne arrivano in continuazione e non solo dai condòmini: ci sono anche i fornitori, gli avvocati dei condòmini e dei fornitori, ecc.
Già solamente leggerle e catalogarle per comprenderne il grado di urgenza è lavoro che può portare via molto tempo ed energia.
Ciò nondimeno è evidente che rispondere in tempi consoni è un'esigenza ed in alcuni casi non un vero e proprio obbligo.
In uno degli ultimi quesiti che ci sono giunti ci viene chiesto se l'amministratore ha un termine per rispondere alle raccomandate o alle pec dei condòmini.
Per rispondere a questa domanda, il primo documento a cui guardare è il regolamento di condominio; esso, ricordare il primo comma dell'art. 1138 c.c., può contenere norme circa l'amministrazione della cosa comune, ergo può disciplinare determinati aspetti della corrispondere intra condominiale.
In sostanza può esistere ed anzi rispetto alla richiesta di documentazione è bene che esista una sorta di procedimento amministrativo interno alla compagine che garantisca ai condòmini risposte in tempi certi e di conseguenze consenta/imponga all'amministratore di evadere le pratiche seguendo delle tempistiche precise.
E se il regolamento condominiale non dice nulla?
È opinione diffusa ed errata che quando si scrive ad una persona questa abbia sette, massimo quindici giorni di tempo per rispondere.
Il riferimento, probabilmente, è alla diffida ad adempiere e cioè all'art. 1454 c.c. dedicato alla diffida ad adempiere, che recita:
Alla parte inadempiente l'altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s'intenderà senz'altro risoluto.
Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore.
Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto.
Il condomino, evidentemente, non ha autonomo potere di risolvere il contratto, ma al massimo ha il potere di chiedere ad un giudice la revoca dell'incarico (azione nella sostanza equipollente ad un risoluzione contrattuale) per gravi irregolarità nella gestione.
La norma, s'è visto, contiene un riferimento ad un congruo termine che non può essere inferiore a quindici giorni. È prassi comune considerare questo termine obbligatorio, ma nelle lettere che non rappresentano una diffida ad adempiere, questo può essere anche inferiore.
In buona sostanza la materia della tempistica della risposta dell'amministratore non ha contorni certi, in assenza di clausole regolamentari che la disciplino. Quindici giorni rappresentano un termine indicativo, ma non per questo vincolante.
È comunque preferibile indicare nella lettera entro quanto tempo ci si attende una risposta e parametrarlo sempre all'importanza della richiesta medesima (un conto è chiedere copia di un verbale, altro quella dei giustificativi di uno o più anni di gestione o parti di esse).
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