In tema di condominio negli edifici, è illegittimo il comportamento di uno dei comproprietari che appone un cancello all'ingresso di una parte comune, anche se convinto che quella parte dell'edificio debba essa considerata di sua esclusiva pertinenza.
In questi casi è da ritenersi legittima l'azione giudiziale dell'amministratore volta ad ottenere la reintegrazione nel possesso (art. 1168 c.c.) in favore della compagine amministrata.
Questa, in sintesi, la decisione resa dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5215 del 5 marzo 2015, al termine di una causa iniziata con un'azione di reintegrazione nel possesso.
Possesso delle cose comuni, spoglio e poteri dell'amministratore.
Il condominio e quindi i condomini unitariamente considerati sono i possessori delle parti comuni dell'edificio.
Ciascuno di essi può utilizzarle nel modo che ritiene più opportuno ma pur sempre nel rispetto dei diritti degli altri, così come stabilito dall'art. 1102 c.c.Il diritto all'uso della cosa comune in condominio: l'art. 1102 letto dalla giurisprudenza di legittimità
Chi attrae un bene comune nella sfera di sua esclusiva disponibilità, impendendo agli altri l'esercizio del possesso, può essere intimato, eventualmente anche per via giudiziale, di cessare quell'uso illegittimo.
Il codice civile, nell'ambito delle azioni di manutenzione del possesso, prevede uno specifico rimedio per queste fattispecie.
Si tratta dell'azione di reintegrazione, disciplinata dall'art. 1168 c.c., che recita:
Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.
L'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di ospitalità.
Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.
La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione.
In dottrina (cfr. Branca, Comunione Condominio negli edifici, Zanichelli, 1982) e giurisprudenza (cfr. tra le tante, Cass. 24 novembre 2005 n. 24764) non vi sono dubbi sul fatto che, ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., l'amministratore possa esercitare tale azione giudiziale anche senza il preventivo consenso dei condomini.
Pensare d'essere proprietari non legittima comportamenti scorretti.
Nel caso risolto dalla Cassazione con la sentenza n. 5215, un condomino aveva apposto un cancello ad una parte di edificio comune ed in uso a tutti i condomini, ma da egli ritenuta di sua esclusiva pertinenza. (» Installazione di un cancello condominiale gravata da una servitù di passaggio.)
Per i giudici di merito, prima, e per gli ermellini, poi, questo comportamento era ingiustificabile ed il cancello andava rimosso.
Si legge in sentenza che "è passibile di azione di reintegrazione, ai sensi dell'art. 1168 cod. ci(...), colui che, consapevole di un possesso in atto da parte di altro soggetto, anche se ritenuto indebito, sovverta, clandestinamente o violentemente, a proprio vantaggio la signoria di fatto sul bene nel convincimento di operare nell'esercizio di un proprio diritto reale, essendo, in tali casi, "l'animus spoliandi in re ipsa", e non potendo invocarsi il principio di legittima autotutela, il quale opera soltanto "in continenti", vale a dire nell'immediatezza di un subito ed illegittimo attacco al proprio possesso (Cass. n. 13270 del 09/06/2009)" (Cass. 5 marzo 2014 n. 5215).
In questo contesto è lecito domandarsi: e chi non solo è consapevole, ma ha per di più chiaramente ragione? Può davvero assiste impotente al possesso (e dunque all'uso) illegittimo?
La risposta è no, ma per far valere le proprie ragioni deve rivolgersi ad un giudice e non agire con autonome iniziative che, in particolari casi, potrebbero anche risultare penalmente rilevanti (cfr. artt. 392-393 c.p.)