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Il diritto all'uso della cosa comune in condominio: l'art. 1102 letto dalla giurisprudenza di legittimità

Diritto all'uso delle cose comuni da parte dei condòmini: l'art. 1102 c.c., la giurisprudenza fondamentale di riferimento e gli aspetti concreti da valutare.
Avv. Alessandro Gallucci 

Uso delle cose comuni e condominio

Usare i beni comuni è diritto di ciascun condòmino. Limitare il diritto dei beni comuni è possibile ma ciò può avvenire solamente:

  • se è previsto dagli atti d'acquisto, meglio dal primo atto d'acquisto;
  • se è previsto da un regolamento condominiale di origine contrattuale.

Disciplinare l'uso delle cose comuni, invece, è prerogativa propria dell'assemblea, che ha diritto di far ciò purché nella regolamentazione sia rispettato il diritto di tutti i condòmini di far uso delle cose comuni e non si nascondano surrettizi limiti ad personam o comunque non ragionevoli data la conformazione e destinazione della cosa oggetto di disciplina.

Nel silenzio del regolamento assembleare, o comunque per valutare la legittimità della regolamentazione dell'uso delle cose comuni ivi contenuta.

La disciplina può avere ad oggetto:

  • l'uso proprio del bene, cioè l'uso conforme alla sua destinazione (es. uso turnario parcheggio condominiale insufficiente per tutti i condòmini);
  • oppure l'uso alternativo che ciascuno può fare per trarre dai beni comuni il miglior e più intenso godimento in relazione al godimento della propria unità immobiliare.

Rispetto a questa ultima facoltà, la norma di riferimento è rappresentata dall'art. 1102 c.c., articolo dettato in materia di comunione in generale, ma applicabile al condominio in ragione del rimando alle norme sulla comunione contenuto nell'art. 1139 c.c.

Art. 1102 c.c. e condomino

Che cosa dice l'art. 1102 c.c. rubricato Uso delle cose comuni ?

Recita la norma: "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.

Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso".

È il primo comma quello che caratterizza i diritti dei condòmini.

L'art. 1102 c.c., lo abbiamo detto più volte, è disposizione derogabile: un regolamento contrattuale può limitare i diritti dei singoli sulle cose comuni (es. no piante o oggetti su pianerottoli). In assenza di limiti pattizi, come valutare il diritto di ciascuno in relazione ai diritti dei restanti condòmini?

La Cassazione, in tante sentenze, ha affrontato l'argomento, dipanando ogni aspetto della questione, anche alla luce di specifiche e particolari ipotesi. Ciò che qui interessa, però, è una visione generale che consenta, poi, di declinare il principio rispetto alle variegate ipotesi di usi individuali delle cose comuni. Individuali e, è bene aggiungere, alternativi rispetto a quelli propri del bene comune.

Ad avviso dello scrivente, una sentenza in particolare, ossia la n. 28025 de 21 dicembre 2001, ha il pregio di fotografare nitidamente la portata dell'art. 1102 c.c., ossia spiega in modo impeccabile, come questa norma debba essere letta e quindi applicata alle cose di cui all'art. 1117 c.c.

Si legge in sentenza che «in considerazione della peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato dalla coesistenza di una comunione forzosa e di proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni è in funzione del diritto individuale sui singoli piani in cui è diviso il fabbricato: dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a ragioni di solidarietà, si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi - necessariamente alla stregua delle norme che disciplinano la comunione - che l'uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri (v. Cass. 30 maggio 2003 n. 8808; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4617; 24 giugno 2008 n. 17208; Cass. 9 giugno 2010 n. 13879). […] Con riferimento al condominio la norma consente, infatti, la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari uso. In altri termini, l'estensione del diritto di ciascun comunista trova il limite nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti (v. Cass. 1 agosto 2001 n. 10453; 14 aprile 2004 n. 7044; Cass. 6 novembre 2008 n. 26737; Cass. 18 marzo 2010 n. 6546).» (Cass. 21 dicembre 2011, n. 28025 ).

Sintesi: tutti hanno diritto di far gli usi che ritengono più opportuni, ma nel far ciò devono rispettare il pari diritto degli altri, nonché decoro, funzionalità e sicurezza del bene oggetto d'uso.

Art. 1102 c.c., condominio e valutazione della legittimità dell'uso

A chi spetta valutare il rispetto delle norme generali dettate dall'art. 1102 c.c.

La valutazione delle esigenze e dei diritti degli altri partecipanti alla comunione spetta al giudice chiamato a decidere la causa nel merito. Insomma principi che necessitano di una valutazione caso per caso.

È comunemente considerato legittimo, salvo valutazione da svolgersi di volta in volta, l'uso consistente:

  • nella installazione di una canna fumaria sulla facciata;
  • di apposizione di condizionatori sulla facciata;
  • di allocazione di piante e oggetti ornamentali su parti comuni;
  • di allocazione di tavolini su spazi comuni;
  • di affissione di targhe e insegne sulla facciata.

Tutte ipotesi d'uso ex art. 1102 c.c. che possono essere oggetto di regolamentazione (non di divieto assoluto) ad opera di un regolamento assembleare.

Rispetto del pari altrui diritto, inoltre, non vuol dire salvaguardia dell'uso identico e contemporaneo.

Com'è stato acutamente osservato, infatti, «la nozione di pari uso della cosa comune è da intendersi non nei termini di assoluta identità della sua utilizzazione da parte di ciascun comproprietario, poiché l'identità nello spazio o nel tempo di tale uso potrebbe comportare un sostanziale divieto, per ogni condomino, di fare della cosa comune qualsiasi uso particolare o a proprio esclusivo vantaggio senza che venga alterato il rapporto di equilibrio tra i partecipati alla utilizzazione del bene in comunione». Cass. 14 aprile 2015, n. 7466.

La Cassazione è chiarissima: per ogni condòmino tutto è possibile purché ciò non leda il "tutto è possibile" degli altri.

Impedimento all'uso della cosa comune, il danno non patrimoniale deve essere provato.

Il diritto all'uso della cosa comune prevale sulle distanze solo se l'apertura è realizzata sul bene comune.

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