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Amministratori condominiali e avvocati: figli di un Dio minore? Verso un nuovo livellamento culturale

Gli uni senza albo, gli altri con una toga stretta. Cos'è che non va nelle relazioni fra le due tipologie di professionisti?
Avv. Michele Zuppardi - Foro di Taranto 

Amicizia e rivalità. Collaborazione e contrasto. Plauso e dissenso. Sono le antitetiche caratteristiche del quarto vizio capitale degli amministratori di condominio, di cui parliamo oggi, meglio identificato nel rapporto di amore-odio che essi coltivano nei confronti dei loro colleghi iscritti all'ordine degli avvocati.

Descrivere questo "difettuccio" è compito delicato e di non facile responsabilità che la nostra rubrica non può assolutamente ignorare, stante la esistenza - e la persistenza - di un perenne dibattito sul tema che gli addetti ai lavori tengono sempre malcelato - eppure costantemente acceso.

Dicevamo che da un lato si rilevano amicizia, collaborazione e plauso. Dall'altro, invece, serpeggiano rivalità, contrasto e dissenso. Cos'è che non va nelle relazioni fra le due tipologie di professionisti? Se le parole si sprecano, non mancano di certo anche forti gelosie e ridondanti polemiche.

Forse perché gli amministratori condominiali e gli avvocati amministratori si ritengono entrambi, pur senza ammetterlo, figli di un Dio minore. Gli uni senza albo, né tariffe, né peso professionale specifico e universalmente riconosciuto.

Gli altri con una toga stretta, con cause poco redditizie, e perciò in attesa di una reputazione più stabile e maggiormente consona alla frequentazione delle aule di Giustizia.

Se un tempo le nomine per l'amministrazione degli edifici erano circoscritte al solo mercato di quanti decidevano di avviarsi alla professione di gestore immobiliare, oggi molti, troppi "infiltrati" appartenenti anche ai più titolati settori ordinistici concorrono alla divisione di una torta che - soprattutto in tempo di crisi - risulta particolarmente appetibile e rappresenta lo sbocco naturale - e talvolta obbligato - per tanti nuovi colletti bianchi in cerca di nuova identità.

Ma è possibile conciliare i presupposti un po' atipici di una martoriata professione senza albo con quelli tipici di una blasonata tradizione protetta dall'Ordine? Ed è possibile "resettare" le storiche prerogative delle due tipologie di addetti e puntare a un nuovo livellamento culturale che sia all'altezza dei continui e incalzanti incombenti normativi e gestionali?

Albo per amministratori di condomini. Proporre l'incompatibilità con le altre professioni è una scelta anacronistica

L'art.18 della legge n. 247/12, "nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense", specifica che l'attività di avvocato è incompatibile con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente.

E il Consiglio Nazionale Forense, dopo averne preso atto affermando l'esistenza di una chiara incompatibilità, ci ha poi ragionato sopra e ripensato, assicurando infine che "l'amministratore esercita funzioni di mandatario rientranti senza dubbio anche nell'esplicazione dell'attività forense".

A dire il vero, con parere del 20 febbraio 2013, lo stesso Consiglio ha ben argomentato che "l'attività di amministratore di condominio si riduce, alla fine, all'esercizio di un mandato con rappresentanza conferito da persone fisiche, in nome e per conto delle quali egli agisce e l'esecuzione dei mandati, consistenti nel compimento di attività giuridica per conto ed (eventualmente) in nome altrui, è esattamente uno dei possibili modi di svolgimento dell'attività professionale forense sicché la circostanza che essa sia svolta con continuità non aggiunge né toglie nulla alla sua legittimità di fondo quale espressione, appunto, di esercizio della professione".

E allora, se è verosimile porre la vicenda in questi termini, perché fra amministratori "puri" ed avvocati amministratori continua "sotto traccia" a non correre buon sangue?

Forse la colpa sta nella ratio della legge di riforma, dal momento che quest'ultima, invece di innovare e "spingere" sull'attribuzione agli amministratori di funzioni più autonome e professionali, fornendo loro strumenti decisionali efficaci e davvero consoni alla figura del building manager che nei fatti si va sempre più delineando, ha operato esclusivamente in vista della "protezione" dei condòmini, inibendo a chi li rappresenta ogni possibilità di effettuare in autonomia scelte gestionali strategiche e di sfoderare quindi un reale decisionismo di natura manageriale.

La professione di avvocato è incompatibile con l'incarico di amministratore condominiale.

Ciò è dimostrabile già dal solo dettato contenuto nell'articolo 67, comma 5, disp. att. cod. civ, che addirittura nega all'amministratore la possibilità di ricevere deleghe dai condomini per votare in assemblea.

Ed è dimostrato, ancora, dall'assunto giurisprudenziale sulla circostanza che "la sussistenza di un rappresentante non priva i condòmini della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all'edificio condominiale", come espresso dalla Cassazione nella sentenza n.1071/2011.

Senza contare, infine, il presupposto secondo cui "il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini, i quali sono rappresentati dall'amministratore e non costituiscono un'entità diversa da quest'ultimo", come gli stessi Ermellini hanno chiarito nella sentenza n. 177 del 2012.

E' innegabile, allora, che tutto ciò ha soffocato - e soffoca tuttora - le aspirazioni di crescita e di indipendenza della platea degli amministratori condominiali, lasciando ampia manovra di intervento ad ogni possibile mandatario in senso stretto, avvocati compresi, indipendentemente dall'iscrizione ad ordini o collegi professionali.

Insomma, a leggere bene la norma, possiamo dire che nei condomìni il rappresentante c'è ma non comanda: esegue soltanto. Ecco perché rimane il "libero accesso" a tutti, sia pure con alcune scontate caratteristiche "di base", ed ecco perché - allo stato - il problema è essenzialmente solo quello di comprendere chi è davvero capace di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia traducendo impeccabilmente, in azioni concrete, la volontà delle assemblee.

Stando così le cose, e bastando semplicemente un diploma quinquennale di qualsiasi tipo, non è particolarmente agevole farne questione di titoli di studio, ed è ancor più difficile farne questione di iscrizione o non iscrizione a un albo o a un ordine professionale.

Più semplicemente, quando gli amministratori "peccano" prendendosela con gli avvocati, probabilmente dimenticano che - indipendentemente dal titolo e dal regolamento ordinistico di questi ultimi - è sempre solo e soltanto il mercato a selezionare i mandatari migliori.

Del resto, non possiamo non chiederci come mai tanti laureati "quadriennali" in sociologia, in lettere, in scienze politiche, oggi diventati "triennali" in scienze della comunicazione, in scienze turistiche e in beni culturali, si siano messi a fare - nel tempo - gli amministratori di condominio, rubando sempre più spazio ai vecchi ragionieri ed usando spesso "ad arte", per conquistare terreno, i poteri persuasivi e un po' illusori di un "dott." scritto in bell'evidenza su carta intestata.

Se il legislatore, nel frattempo, dovesse decidere di subordinare l'accesso alla professione di amministratore condominiale ad un corso di laurea da istituirsi ad hoc, ne saremmo ovviamente tutti contenti.

Dovremmo - a quel punto - solo sforzarci di capire quanti crediti formativi vale il piccolo, il medio o il lungo corso condominiale di un diplomato al liceo classico, di un dottore in comunicazione e marketing, di un geometra o di un praticante procuratore per impegnarci a integrare la nostra effettiva preparazione ed eventualmente a "sanare", con l'esame dei titoli e del giusto riconoscimento dell'esperienza maturata, la precedente mancata opportunità di partecipazione al nuovo e più specifico corso di studi "dedicati".

Con l'augurio che una seria selezione consenta a tutti i più bravi, indipendentemente dal tipo di diploma o di laurea proposti alla "clientela" condominiale nella loro precedente vita professionale da amministratore, di essere confermati e ammessi nella nuova arena per sostenere, alimentandola, una concorrenza di qualità destinata necessariamente a fare i conti con competitors di sempre più alto livello culturale e con una committenza sempre più smaliziata, "moderna" e dunque di non troppo facile arrendevolezza.

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