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Trattative, comportamenti contrari a buona fede e risarcimento del danno, le sentenze in materia

Quali sono gli orientamenti della giurisprudenza in merito alla fase delle trattative che precedono il contratto? Come si qualificano i comportamenti illegittimi che conducono alla condanna al risarcimento del danno?
Avv. Anna Nicola - Foro di Torino 

La responsabilità precontrattuale

La responsabilità precontrattuale, detta anche culpa in contrahendo, richiede a tutte le parti il rispetto di un preciso obbligo di comportamento: esse devono comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.

La base è la tutela della libertà negoziale, implicando la previsione di una sanzione nel caso di sua lesione. Ciascuna parte ha interesse alla lealtà e serietà della trattativa.

La normativa relativa è data da due norme: l'art. 1337 e l'art. 1338 c.c.

Mentre l'art. 1337 c.c. ("Trattative e responsabilità precontrattuale"), prevede che le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede, l'art. 1338 c.c. ("Conoscenza delle cause di invalidità") dispone testualmente che la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.

L'art. 1137 indica il principio della responsabilità.

In merito all'art. 1138 c.c. si hanno diversi orientamenti.

Vi è un primo filone di pensiero che afferma che la norma sia una specificazione dell'art. 1337 c.c.; altra giurisprudenza osserva che l'art. 1338 c.c. ha una portata più ampia, comprendendo anche le fattispecie in cui il soggetto agente abbia contribuito direttamente a cagionare la causa d'invalidità del contratto.

Da ultimo, c'è chi dice che esso tutela l'affidamento di una delle parti non già sulla conclusione del contratto ma sulla sua validità.

La natura della responsabilità contrattuale

La responsabilità per culpa in contrahendo viene qualificata dalla giurisprudenza come una forma di responsabilità extracontrattuale, data dalla violazione del principio della condotta in buona fede necessaria al corretto svolgimento della formazione del contratto (Cass. S.U. 9645/2001; Cass. 9157/1995).

Vi sono poi alcune decisioni che, seguendo parte della dottrina, la indicano come responsabilità contrattuale. Si fa riferimento alla responsabilità da contatto sociale qualificato, da intendersi come fatto idoneo a produrre obbligazioni (art. 1173 c.c.) da cui nascono reciprochi obblighi di buona fede, protezione e informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. (Cass. 25644/2017; Cass. 14188/2016; Cass. 27648/2011).

La giurisprudenza recente rileva che «la responsabilità per il danno cagionato da una parte all'altra, in quanto ha la sua derivazione nella violazione di specifici obblighi (buona fede, protezione, informazione) precedenti quelli che deriveranno dal contratto, se ed allorquando verrà concluso, e non del generico dovere del neminem laedere, non può che essere qualificata come responsabilità contrattuale» (Cass. 14188/2016).

Inutile dire che le conseguenze dell'inquadramento in una o nell'altra forma di responsabilità sono rilevanti: si pensi al termine di prescrizione ovvero al soggetto incapace di intendere e volere al momento del compimento dell'atto dannoso.

Il dovere di buona fede nelle trattative consiste in una sorta di collaborazione reciproca.

Sulla base di questa socialità, si hanno vari obblighi: l'obbligo di informazione, l'obbligo di verità, l'obbligo di chiarezza, l'obbligo di segreto.

Una qualche violazione di questi obblighi implica un comportamento non nel rispetto della buona fede. A seconda della gravità di questo comportamento, si può arrivare a essere tenuti al risarcimento del danno.

Si pensi ad esempio al caso di recesso ingiustificato dalle trattative, di stipulazione di contratto invalido o inefficace ovvero contratto non conveniente.

Vediamo i principi affermati dalla giurisprudenza

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Violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede

Per la responsabilità precontrattuale, l'art. 1337 c.c. vale quale clausola generale, richiedendo impone alle parti il rispetto del dovere di trattare con lealtà astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e permettendo alla controparte di conoscere ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipula del contratto.

Ove quest'obbligo venga violato, il comportamento sleale diventa rilevante non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative ma anche quando il contratto concluso, pur valido, sia pregiudizievole a chi è stato il soggetto passivo dell'atteggiamento non di buona fede (Cass., 23/03/2016, n.5762; Cass., 21/10/2013, n.23873; Cass., 26/04/2012, n.6526; App. Firenze, 30/11/2018, n.2807; Trib. Milano, 03/07/2018, n.7465; T.A.R. Cagliari, (Sardegna) sez. I, 07/09/2010, n.2167).

L'atteggiamento reticente assume valore determinante nel caso di contratto di intermediazione, quando l'intermediario viola gli obblighi informativi, non rendendo sufficientemente edotto l'investitore circa la natura, i rischi e le implicazioni dell'operazione, peraltro inadeguata al suo specifico profilo di rischio.

Ciò implica la responsabilità di tipo precontrattuale, da cui consegue l'obbligo per l'intermediario di risarcire gli eventuali danni.

Ciò si verifica anche se è avvenuta la stipulazione del contratto, perché la responsabilità precontrattuale esiste non solo per la rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido od inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido ma sia pregiudizievole per la parte diligente.

Ne deriva che il risarcimento del danno va commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che venga fornita la prova di ulteriori danni derivanti da questo comportamento in stretto nesso causale (Trib. Bari, 09/11/2010, n.3326).

Rottura ingiustificata delle trattative

Si qualifica come rottura ingiustificata delle trattative la richiesta di differimento della stipula del contratto, qualificandosi come comportamento contrario ai doveri di correttezza perché l'accordo sembrava già ormai raggiunto: simile atteggiamento ingenera nella controparte l'idea di una rottura ingiustificata delle trattative, valutazione nella quale non si può prescindere dal comportamento tenuto da quest'ultima. (Cass., 12/07/2019, n.18748).

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Il risarcimento del danno

Si afferma che nel caso di responsabilità precontrattuale si ha il risarcimento del solo interesse negativo.

Occorre soffermarsi su questa indicazione.

Nel caso di un inadempimento di un obbligo nascente da contratto concluso, viene leso l'interesse positivo all'esecuzione della prestazione: qui il ristoro si commisura al danno patito dal contraente per non aver ricevuto la prestazione a cui aveva diritto.

Per riportare un esempio di scuola, si pensi al caso della compravendita: il danno patito dall'acquirente per non aver ottenuto il bene che ha acquistato comprende il danno emergente (perdita subita) e il lucro cessante (mancato guadagno).

Per le trattative funziona diversamente.

La mancata osservanza dei doveri imposti durante le trattative, non può implicare la lesione del diritto ad ottenere la prestazione, non essendo ancora stato concluso il contratto da cui dovrebbe nascere questa pretesa.

Qui la parte ha diritto al risarcimento dell'interesse negativo, ossia dell'interesse consistente nel non dare corso a trattative inutili che abbiano comportato delle spese (A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffré, 2013, 502 ss.).

Ciò significa che viene leso l'interesse del soggetto a non essere leso nell'esercizio della sua libertà negoziale.

Il fatto che sia risarcibile solo l'interesse negativo non significa che venga risarcito unicamente il danno emergente (perdita subita), in quanto anche il lucro cessante (mancato guadagno) può rappresentare una posta risarcibile. Per un approfondimento, si rimanda al paragrafo successivo.

Il risarcimento concerne quindi il pregiudizio patrimoniale cioè gli esborsi sostenuti per la negoziazione non andata a buon fine; il danno da perdita delle occasioni d'affari avutesi nel corso delle ma che sono andate perse perché fidanti della conclusione del contratto.

Il ristoro per mancato profitto può essere ottenuto se viene provato, ad esempio, che la trattativa - poi risultata inutile - ha fatto perdere un'occasione vantaggiosa ovvero che ha dovuto concludere l'affare tardivamente, in un momento in cui il prezzo di mercato si era abbassato rispetto all'epoca della negoziazione fallita.

Nell'ipotesi in cui l'illecito precontrattuale porti alla stipulazione di un contratto invalido o inefficace, alle spese inutili sostenute ed alla perdita di occasioni si affiancano quelle sostenute in vista dell'esecuzione del contratto. Ciò vale perché si è fatto affidamento sulla validità del contratto.

Nel caso in cui il contratto non sia conveniente, il risarcimento copre lo "scarto di convenienza": se il danneggiato ha ricevuto 100, mentre, senza inganno, avrebbe ottenuto 120, allora il risarcimento sarà pari a 20 (120-100).

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