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Sottotetto: l'importanza della funzione concreta per stabilirne la titolarità

Descrizione: Presunzione di condominialità ex art. 1117 c.c., funzione concreta e titoli, danni alle parti comuni e congrua motivazione.
Avv. Laura Cecchini 

Il contenzioso in materia condominiale ha origine dall'insorgere di contestazioni di varia natura tra cui, sempre più frequentemente, incontriamo quelle aventi ad oggetto la diatriba in ordine alla proprietà esclusiva o comune di alcune parti dell'edificio.

Il tema portato avanti alla Corte di Cassazione (sentenza n. 37819 del 2021) interessa e coinvolge alcuni condomini e nasce dalla richiesta di rimessa in pristino di un sottotetto, sul presupposto della condominialità di tale bene, a fronte della intervenuta trasformazione in locale abitabile con apertura di luci e vedute ad opera dei proprietari dell'immobile posto all'ultimo piano in corrispondenza dello stesso.

Tanto premesso, per una corretta disamina dell'argomento non si può prescindere dal procedere ad una indagine sul titolo di proprietà e sulla destinazione concreta della porzione dell'edificio de quo, senza ignorare il principio inerente la presunzione di condominialità dei beni, di cui all'elenco del noto art. 1117 c.c.

Inoltre, in stretta correlazione con il pregiudizio sofferto per la intervenuta modifica di parti comuni, la Corte pone l'accento sulla imprescindibile necessità di procedere al riconoscimento e quantificazione dei danni con esaustiva e doverosa esposizione della motivazione a conforto della stessa.

La funzione concreta del sottotetto: la vicenda

Nella vicenda in esame, un condomino promuove giudizio innanzi al Tribunale, convenendo i comproprietari di un immobile ubicato nel medesimo compendio, per sentirli condannare alla ricostituzione dello status quo ante del sottotetto asserendo che quest'ultimo era una parte comune.

I convenuti hanno mosso censure alla tesi del condomino rivendicando la proprietà esclusiva di tale bene, e per l'effetto anche l'uso, per cui le opere eseguite e le connesse modifiche apportate dovevano ritenersi legittime.

Il Tribunale, respingeva la domanda e l'attore promuoveva appello.

Nel corso del giudizio avanti ai Giudici di seconde cure veniva disposta una consulenza tecnica d'ufficio (CTU) con la finalità di accertare e descrivere lo stato dei luoghi prima e dopo l'effettuazione degli interventi verso i quali erano state mosse obiezioni ravvisando negli stessi la una chiara manifestazione del pregiudizio subito.

L'esito della perizia ha determinato un revirement della Corte rispetto alla decisione assunta dal Tribunale in quanto, se è vero che è stata confermata l'appartenenza del sottotetto ai proprietari dell'immobile posto all'ultimo piano, quale pertinenza, ciò è intervenuto non tanto in ragione dei titoli di proprietà quanto della funzione concreta espletata.

Invero, dalle risultanze della CTU è emerso che, per quanto concerne il sottotetto, (i) solo una esigua parte era calpestabile ed ad uso autonomo, (ii) la porzione più rilevante fungeva da intercapedine tra il tetto e l'appartamento dei convenuti.

Dal che si evince che il sottotetto non era suscettibile di utilizzo separato, tenuto anche conto che per l'accesso era indispensabile attraversare un ripostiglio di proprietà dei convenuti appellati.

Posto ciò, nondimeno, il consulente tecnico d'ufficio ha ravvisato dei danni alle parti comuni ed anche alla proprietà dell'attore a causa della trasformazione edilizia realizzata che avrebbe comportato un abbattimento del valore commerciale del bene nella misura del 60%, ridotto al 50% dalla Corte.

Avverso tale pronuncia i convenuti appellati hanno proposto ricorso per cassazione e l'originario attore appellante ha presentato controricorso proponendo ricorso incidentale autonomo.

In sintesi, per i ricorrenti i Giudici del gravame avrebbero errato nella motivazione della sentenza non avendo ivi rappresentato alcuna deduzione a fondamento della determinazione in merito alla quantificazione del danno, rinviando pedissequamente quanto indicato dal CTU, anche sulla assenza di pregiudizio statico in conseguenza dei lavori effettuati.

Parimenti, hanno lamentano la mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ritenendo la domanda di comunione del sottotetto presupposto per la condanna ad una indennità di occupazione, per cui il suo rigetto avrebbe dovuto comprendere necessariamente anche quest'ultima.

I motivi che investono il ricorso incidentale attengono, invece, alla doglianza sul mancato riconoscimento della natura condominiale del sottotetto, stante la funzione concreta svolta e l'indicazione dei confini nel titolo di proprietà dei già convenuti che non corrisponderebbe al vero, non essendoci qualsivoglia riferimento al sottotetto nell'atto di acquisto ove si indica solo l'immobile e le sue dipendenze.

Al contempo, denuncia la omessa decisione sulla domanda relativa all'indebita occupazione del sottotetto, oltre al mancato esame in rapporto alla sussistenza di danni alla statica dell'edificio nonché la censura sulla erroneità nella quantificazione dei danni per non aver accolto interamente i parametri attualizzati e descritti nella CTU.

Vediamo la motivazione con cui la Corte ha cassato la sentenza rinviando alla Corte d'Appello.

Perché trasformare un sottotetto condominiale in un alloggio è illegale?

Condominialità del sottotetto, esclusione

In via preliminare appare opportuno esaminare la censura sollevata sulla mancata attribuzione della qualità di parte comune al sottotetto.

Sul punto, è noto che i beni o porzioni di essi possono ritenersi condominiali per la destinazione e la funzione cui sono designati.

Sotto tale profilo, ciò che rileva attiene proprio alla presunzione di condominialità delle parti comuni di cui all'art. 1117 c.c.

I sottotetti sono menzionati all'art. 1117, comma I, n.2) Cod. Civ., e devono intendersi di proprietà comune se «[...] destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune».

Nella fattispecie in esame, i Giudici di Legittimità condividono la motivazione della Corte d'Appello laddove ha dichiarato la proprietà esclusiva del sottotetto in favore dei due condomini, nella veste di convenuti nei primi due gradi di giudizio e di ricorrenti in Cassazione.

Nel dettaglio, in occasione della CTU è emerso che il sottotetto de quo, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali non poteva essere usato in autonomia e, perciò, considerata la funzione di intercapedine per l'immobile dei convenuti e, quindi, di isolamento, poteva dedursi ed assumersi quale pertinenza dello stesso.

In proposito, in un precedente non troppo lontano, è confacente evidenziare come la Corte abbia affermato il seguente principio secondo cui «Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, agli effetti dell'art. 1117 c.c. i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune.

Altrimenti, soltanto ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall'art. 1117 c.c., tra il sottotetto e la destinazione all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune, giacché lo stesso sottotetto assolve all'esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall'umidità l'appartamento dell'ultimo piano, e non ha dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento.

La proprietà del sottotetto si determina, dunque, in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto» (Cassazione civile, sez. II, 17/02/2020, n. 3860).

Sulla scorta di quanto sopra, ne deriva che, nella fattispecie, la decisione che ha riconosciuto la natura di proprietà privata del sottotetto, anche viste le risultanze degli accertamenti della CTU, è pertinente e non censurabile.

Quantificazione del danno e congrua motivazione

In ordine alla doglianza formulata sulla omessa motivazione della sentenza di secondo grado, con espresso riferimento alla quantificazione dei danni subiti dal condomino attore-appellante, i Giudici di Piazza Cavour ne rilevano la fondatezza.

A tal riguardo, ribadiscono come debba ritenersi sussistente il vizio di motivazione ogniqualvolta risulti palese la carenza nella esplicitazione del percorso logico-giuridico propedeutico alla formazione del convincimento da parte del Giudice ovvero quando è privo di adeguata argomentazione.

Nella presente ipotesi ciò non è avvenuto e neppure è possibile richiamare il criterio equitativo che deve, comunque ed in ogni caso, illustrare il metodo assunto per un soddisfacente apprezzamento che, seppur discrezionale, non può sottrarsi ad una valutazione prudente di tutti gli elementi e circostanze a sostegno dello stesso.

La determinazione sul cosiddetto quantum del danno deve, pertanto, descrivere la indicazione dei parametri atti a sostenerne la congruità rispetto alla situazione/beni in contesa.

Preso atto dei principi esposti, è lapalissiano, ad avviso degli Ermellini, la assoluta carenza di motivazione dei Giudici del gravame trattandosi di mero richiamo alla consulenza tecnica d'ufficio, senza alcun elemento argomentativo idoneo tale da manifestare le ragioni che hanno condotto i medesimi al calcolo del danno ed alla conseguente condanna.

Rampe per l'accesso autonomo al sottotetto

Sentenza
Scarica Cass. 1 dicembre 2021 n. 37819
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