Il condominio commissiona alcuni lavori di ristrutturazione della facciata. La ditta appaltatrice realizza interventi ulteriori a quelli inizialmente pattuiti, sulla base di accordi verbali non meglio specificati, intercorsi successivamente con il direttore dei lavori.
La sentenza in commento ruota intorno alla validità di tali accordi, considerato che le parti avevano subordinato ogni ulteriore intervento alla preventiva autorizzazione scritta dell'amministratore condominiale.
Ci s'interroga inoltre sulla legittimità degli impegni contrattuali assunti dal direttore dei lavori per conto del condominio.
Il condominio non è tenuto al pagamento del corrispettivo per le opere eseguite dalla ditta appaltatrice e non previste nel contratto stipulato dalle parti. I predetti lavori, in particolare, non possono trovare titolo giustificativo nell'accordo verbale intervenuto successivamente tra le parti, laddove le parti stesse, con il contratto originario, abbiano stabilito di subordinare la realizzazione di ogni ulteriore intervento alla preventiva autorizzazione scritta dell'amministratore condominiale.
Non rileva altresì l'autorizzazione del direttore dei lavori, essendo questi un mero rappresentante tecnico privo del potere di impegnare il condominio.
È questo, in sintesi, quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8903 dell' 11 aprile 2013, emessa nell'ambito di una controversia avente ad oggetto il pagamento di lavori ulteriori a quelli appaltati e non autorizzati dal condominio.
Il caso di specie. La ditta appaltatrice ottiene un decreto ingiuntivo contro il condominio committente per il pagamento di lavori di ristrutturazione della facciata dell'edificio condominiale.
L'ingiunzione si riferisce, in particolare, ad alcuni interventi ulteriori a quelli previsti nell'originario contratto stipulato dalle parti, realizzati sulla base di accordi verbali intercorsi successivamente con l'amministratore di condominio ed il direttore dei lavori.
Secondo la ricostruzione dalla ditta, tra le parti era intercorso un primo contratto provvisorio (una sorta di preliminare d'appalto), stipulato in forma scritta, seguito da un successivo accordo verbale definitivo, che avrebbe sostituito il contratto precedente, con la previsione di lavori ulteriori rispetto a quelli inizialmente concordanti.
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Il condominio propone opposizione al decreto ingiuntivo, contestando i lavori extracontratto, addebitati ma mai autorizzati per iscritto dal condominio, e chiedendo altresì la restituzione delle somme pagate per lavori mai eseguiti, nonché il pagamento della penale per il ritardo nella consegna dell'opera.
L'opposizione proposta dal condominio, respinta in primo grado, veniva accolta dalla Corte d'appello. Il percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale (e confermato dalla Suprema Corte) ruota intorno a tre punti essenziali, che proviamo a riassumere.
La forma del contratto può essere vincolata dalle parti. Nel nostro ordinamento vige, in materia contrattuale, il principio generale della libertà delle forme, in virtù del quale le parti possono decidere liberamente il modo attraverso il quale esteriorizzare la loro volontà contrattuale.
Tale principio può essere derogato dalla legge, che prevede specifiche ipotesi in cui il contratto deve farsi obbligatoriamente per iscritto a pena di nullità o ad sustantiam (art. 1350 c.c.), oppure dalle parti, che possono convenire per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto.
In tal caso, si presume che la forma sia stata voluta per la validità del contratto stesso (art. 1352 c.c.).
Quest'ultima ipotesi è quella configurata nel caso di specie, laddove la forma scritta del contratto d'appalto deve ritenersi voluta dalle parti ad sustantiam. Infatti, nell'accordo scritto era stabilito che le parti avrebbero stipulato entro una certa data il definitivo e le parti stesse si erano assunte l'impegno di rifirmare le eventuali clausole di modifica, previa accettazione, così inequivocabilmente esplicitando la necessità della forma scritta.
Gli accordi verbali affermati dalla ditta, pertanto, non sono idonei a sostituire o modificare il primo contratto sottoscritto dalle parti, considerato, peraltro, che tutti i documenti prodotti dall'impresa dimostrano come le parti abbiano sempre fatto riferimento al primo contratto e non ad altri accordi.
Non è ammessa la prova testimoniale per i contratti che richiedono la forma scritta. La forma scritta ad sustantiam, voluta dalle parti, rende nulla la testimonianza del direttore dei lavori, favorevole alla tesi difensiva dell'impresa circa un successivo contratto verbale definitivo, in quanto contrastante con la previsione di inammissibilità della testimonianza di cui all'art. 2725 c.c.
Tale disposizione, infatti, dispone che quando, secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso in cui il contraente abbia, senza sua colpa, perduto il documento che gli forniva la prova.
Ne consegue che non v'è prova della autorizzazione scritta da parte dell'amministratore del condominio, prevista come necessaria nel contratto.
Il direttore dei lavori non può assumere obblighi per conto del condominio. Nulla può essere riconosciuto all'impresa per lavori extracontrattuali, perché tali lavori erano subordinati all'approvazione scritta sia del direttore del lavori che dell'amministratore di condominio.
Sul punto, la Corte osserva come non sia stata prodotta in giudizio alcuna autorizzazione scritta dell'amministratore di condominio, mentre l'autorizzazione del direttore dei lavori non ha rilevanza, essendo questi un mero rappresentante tecnico privo del potere di impegnare il condominio.
I documenti provenienti dal direttore dei lavori non possono considerarsi comportamenti concludenti con il quale il condominio accettava i lavori extracontratto, atteso che il direttore dei lavorinon ha potere negoziale e non può assumere obblighi per il condominio