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Aprire una finestra in facciata senza contestazioni

Le aperture realizzate sulla facciata a servizio di un bene di proprietà esclusiva devono rispettare il disposto di cui all'art. 1102 c.c.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

L'articolo 1102 c.c. afferma che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto: a tal fine può apportare, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. E aggiunge che il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno agli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo in suo possesso.

Come si evince dalla sua chiara formulazione, la norma in questione intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l'esercizio del suo diritto, la maggiore possibilità di godimento della cosa comune, nel senso che, nel rispetto degli anzidetti limiti, egli deve ritenersi libero di servirsi della cosa stessa, anche per fine tutto proprio, traendo ogni possibile utilità, senza che possano costituire vincolo per lui forme più limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti.

La nozione di uso della cosa comune cui fa riferimento l'articolo 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questo sia compatibile con i diritti degli altri.

Le aperture realizzate sulla facciata a servizio di un bene di proprietà esclusiva sono lecite nella misura in cui esse rispettino il disposto di cui all'art. 1102 c.c.

Aperture in facciata e rispetto del decoro

In ambito condominiale l'assetto architettonico dello stabile costituisce un valore di interesse "sovraindividuale" al cui rispetto ciascun condomino deve ritenersi tenuto nell'esercizio delle proprie facoltà inerenti sia l'unità immobiliare in proprietà esclusiva, sia le forme di godimento delle parti comuni (come espressamente previsto dagli artt. 1102, 1120 e 1121 c.c.).

Le nozioni di 'estetica' e di 'decoro', rilevanti a tali fini, devono riferirsi all'assetto fisionomico dell'edificio, ossia all'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità, che sussiste anche in mancanza di un particolare assetto architettonico, dovendosi ritenere sufficiente una "linea armonica", sia pure estremamente semplice (così Cass. civ., sez. II, 04/04/2008, n. 8830).

Il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato, anche se previsto espressamente, in materia di innovazioni, dall'art. 1120 c.c., quarto comma, trova applicazione anche in riferimento alle modificazioni consentite al condomino ex art. 1102 c.c., dovendosi estendere in via analogica a tutte le modificazioni apportate al bene comune, essendo identica la ratio legis diretta a tutelare l'integrità dei beni appartenenti ai condomini in comunione (Cass. civ., sez. II, 22/08/2003, n. 12343).

Se il divieto di ledere il decorso architettonico del fabbricato - previsto esplicitamente per le nuove opere, deliberate dall'assemblea - non riguardasse anche le modificazioni, apportate a vantaggio proprio dal singolo condomino, questi operando da solo subirebbe, nell'uso delle parti comuni, restrizioni minori di quante ne incontri come partecipante all'assemblea.

In altre parole, alla maggioranza dei partecipanti riuniti in assemblea sarebbero attribuiti poteri ben più circoscritti di quelli riconosciuti al singolo.

Alla luce di quanto sopra si può affermare in linea generale che l'apertura di una finestra sul muro comune, l'ingrandimento o spostamento di veduta e la trasformazione di finestra in balcone sono consentiti al singolo condomino.

L'apertura di una finestra non deve alterare l'entità materiale del muro comune, né modificare la destinazione. In ogni caso l'apertura sulla parete esterna del condominio non deve alterare le linee e simmetrie dell'edificio.

In ogni caso si ricorda che secondo una decisione recente nel valutare l'impatto di un'opera modificativa sul decoro architettonico è necessario adottare un criterio di reciproco temperamento tra i rilievi attribuiti all'unitarietà di linee e di stile originaria, alle menomazioni apportate da precedenti modifiche e all'alterazione prodotta dall'opera modificativa sottoposta a giudizio, senza che possa conferirsi rilevanza da sola decisiva, al fine di escludere un'attuale lesione del decoro architettonico, al degrado estetico prodotto da precedenti alterazioni (Cass. civ., sez. II, 12/06/2023, n. 16518).

Decoro architettonico, apertura di finestra in facciata e clausole del regolamento di natura contrattuale

Non è raro che nel regolamento si trovino clausole che vie­tino qualsiasi opera esterna che modifichi l'architettura e l'este­tica del fabbricato e delle parti comuni o vietino tutte le opere che, anche senza arrecare danno o pregiudizio, siano tali da modificare (in qualsiasi senso, anche migliorativo) le origina­rie linee architettoniche dell'edificio o la sua estetica e sim­metria.

Del resto è del tutto legittimo che le norme del regolamen­to di condominio - ove di natura contrattuale, cioè predispo­ste dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti d'acquisto dai subentrati condomini ovvero adottate con il consenso unanime di questi ultimi in sede as­sembleare - possano derogare od integrare la disciplina legale e, in particolare, possano dare del concetto di decoro architet­tonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c., estendendo il divieto d'immutazione sino alla con­servazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio quali risultanti nel momento della sua costruzione od esistenti in quello della manifestazio­ne della volontà negoziale

In tali casi non si può escludere che l'assemblea o l'amministratore, nel suo apprezzamento, consenta ad un condomino e neghi ad un altro il mutamento di destinazione: si tratta infatti di una conseguenza naturale di un meccanismo che i condomini hanno accettato, rimettendo alla volontà dell'assemblea o dell'amministratore la decisione in proposito.

Tali clausole devono essere rispettate da tutta la collettività condominiale, anche se le opere eseguite senza la prescritta autorizzazione non sono lesive degli interessi degli altri condomini.

Così le aperture di finestre in facciata in assenza della preventiva autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio, rendono presuntivamente dette opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata dell'edificio.

La vigenza di un divieto convenzionale di modificare l'assetto estetico dell'edificio agevola senz'altro la dimostrazione dell'illecita alterazione del decoro architettonico, in quanto rende superfluo l'accertamento in concreto dell'impatto sulla conformazione del complesso immobiliare.

In ogni caso tali pattuizioni fanno sorgere l'interesse processuale del singolo condomino ad agire in giudizio a tutela della cosa comune, interesse che non può ritenersi escluso per la possibilità di una postuma convalida da parte dell'assemblea, perché l'esercizio del potere di azione non può trovare ostacolo nella aleatoria evenienza di una successiva convalida da parte dell'assemblea.

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