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La ripartizione delle spese legali tra i condomini. Le liti promosse dall'amministratore e quelle deliberate dall'assemblea.

Quando l'amministratore è costretto a rivolgersi ad un legale per ottenere una consulenza o assistenza giudiziaria.
Avv. Alessandro Gallucci 

Nel corso della gestione di un condominio per una serie di ragioni può capitare che l'amministratore sia costretto a rivolgersi ad un legale per ottenere una consulenza o assistenza giudiziaria.

Si pensi, per citare le ipotesi più frequenti, alla necessità di recuperare il credito dal condomino moroso, al bisogno di far rispettare il regolamento di condominio o ancora all'esigenza di agire contro la compagnia assicurativa che si rifiuta d'indennizzare il condominio per il danno subito.

In relazione ad ognuna di queste circostanze l'azione del legale potrà limitarsi a semplici solleciti, trattative, ecc. ossia, sostanzialmente, rimanere sul piano stragiudiziale oppure proseguire attraverso l'instaurazione di un contenzioso giudiziario finalizzato ad ottenere la tutela delle ragioni del condominio.

Tanto quando l'azione è tra quelle rientranti nelle attribuzioni dell'amministratore (artt. 1130-1131 c.c.) tanto quando deve essere l'assemblea a deliberare l'inizio di una vertenza, l'avvocato cui è stato dato mandato di agire in nome e per conto del condominio avrà diritto, com'è intuibile, ad essere retribuito per l'attività svolta.

Chi dovrà pagare le speselegali?

Come si dovranno ripartire?

Al riguardo è necessario distinguere tra azioni ordinate dall'amministratore, azioni deliberate dell'assemblea e tra liti giudiziali e tentativi stragiudiziali.

Azioni ordinate dall'amministratore, nessuna possibilità di dissentire dalla lite

Si pensi, per ricorrere all'esempio più comune, all'azione di recupero del credito contro il condomino moroso. Si tratta di un'azione di competenza dell'amministratore che, salvo particolari disposizioni contenute nel regolamento di condominio, non necessita del placet dell'assemblea e che, a meno di diversi indicazioni assembleari, deve essere intrapresa nel termine di sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso.

L'avvocato incaricato potrà inizialmente chiedere le somme con un formale atto di messa in mora (atto questo non obbligatorio, specie se è già esistente un formale sollecito da parte dell'amministratore) per poi proseguire l'azione in sede giudiziaria. Sebbene sia prassi soprattutto per quanto riguarda la lettera di messa in mora addossare il costo della stessa al condomino moroso, nel caso di mancata corresponsione da parte di quest'ultimo delle spese legali, l'avvocato dovrà essere remunerato dal condominio.

Il costo, salvo diversa disposizione del regolamento di origine contrattuale, dovrà essere ripartito tra tutti i condomini (ivi compreso il moroso) sulla base dei millesimi di proprietà, trattandosi, genericamente, di spesa «per la prestazione dei servizi nell'interesse comune» (art. 1123, primo comma, c.c.).

Nel caso di azione giudiziaria, fatto salvo il caso di condanna alle spese, il compenso del legale dovrà essere sostenuto dal condominio secondo i medesimi criteri indicati per le spese legali stragiudiziali; anche nell'ipotesi in cui si giunga alla condanna alle spese, le anticipazioni richieste dal legale dovranno essere ripartite nel modo sopraesposto.

Si badi: l'assemblea non può decidere che le spese legali affrontate per recuperare un credito, ovvero per un'altra azione legale, siano sostenute dal condòmino contro il quale s'è agito, nemmeno pro-quota. Com'è stato evidenziato, infatti, è «da considerare nulla per impossibilità dell'oggetto la deliberazione dell'assemblea che, con riferimento ad un giudizio che veda contrapposti il condominio ed un singolo condomino, ponga anche a carico di quest'ultimo, pro quota, l'obbligo di contribuire alle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore o del consulente tecnico di parte nominati in tale processo, trattandosi di spese per prestazioni rese a tutela di un interesse comunque opposto alle specifiche ragioni personali del singolo condomino» (Cass. 23 gennaio 2018 n. 1629).

La sentenza, come si nota, riguarda la partecipazione pro-quota, il discorso vale a maggior ragione per l'addossamento in toto al singolo condòmino, poiché tale decisione può essere presa contenuta solamente nel provvedimento giudiziario che conclude il giudizio (condanna alle spese di lite), salvo accollo spontaneo del condòmino controparte del condominio.

Azioni deliberate dall'assemblea e dissensi dalla lite

In questo caso la situazione è leggermente diversa poiché ai sensi dell'art. 1132 c.c. «qualora l'assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all'amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza.

L'atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione» (art. 1132, primo comma, c.c.).

Ciò vuol dire che le spese riguardanti le conseguenze della soccombenza (non tutte le spese di lite, dunque, ma solo quelli conseguenti alla soccombenza) dovranno essere ripartite solamente tra i condomini che non si sono dissociati dalla lite.

Esempio: Tizio chiede risarcimento di € 1.000,00 per danni da infiltrazioni. Il condominio decide di resistere alla domanda giudiziale, ma Caio, condòmino, si dissocia dalla lite. Al termine del primo grado il condominio viene condannato al pagamento di € 1.000,00 oltre spese legali, ecc. per un totale di € 2.500,00. In tal caso Caio non dovrà essere coinvolto nel pagamento di € 1.500,00 cioè le conseguenze della lite per il caso di soccombenza, ma dovrà partecipare al pagamento della sorte capitale, nonché del legale del condominio.

A parere del Tribunale di Roma, che si conforma all'opinione dominante in seno alla giurisprudenza, la deliberazione «dell'attribuzione delle spese legali ai condomini […] che si sono ritualmente dissociati è nulla, perché in violazione della norma dell'art. 1132 c.c. che, contemperando l'interesse del gruppo con quello del singolo, riconosce al dissenziente di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle delibere assunte» (così Trib. Roma 22 giugno 2009 n. 13821).

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