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L'impegno alla eliminazione dei vizi nella costruzione

Riflessi sulla prescrizione e sulla responsabilità del committente e dei professionisti incaricati.
Avv. Lorenzo Cottignoli - Foro di Bologna 

Con una recente pronuncia, emessa con Ordinanza n. 22926 del 21 ottobre 2020, la Corte di Cassazione interviene nella vicenda di un condominio in Mestre, nel quale, dopo pochi anni dalla sua edificazione, emergevano gravi vizi: nella specie, risultavano completamente carenti - per gravi superficialità nella redazione dei progetti - le impermeabilizzazioni, interna ed esterna, motivo per il quale i condòmini si ritrovavano copiose infiltrazioni di acqua nel vano scala e nella private abitazioni.

La presenza di vizi nell'opera

Dunque, ci si trovava nell'ipotesi generale, di cui all'art. 1667 c.c., ovvero quella per la quale "l'appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell'opera" e, più in particolare, in quella - decennale - relativa ai beni immobili, prevista dall'art. 1669 c.c., in forza del quale "quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia."

Nel caso in questione, le opere furono svolte nel 1994: l'amministratore del condominio aveva denunciato la scoperta dei vizi nel 1998 all'impresa costruttrice ed alla società venditrice.

A seguito di tale denunzia, nel giugno 1999 lo studio di architettura che aveva curate la progettazione delle opere e la direzione dei lavori, aveva riconosciuta l'esistenza dei vizi e si era impegnato ad eliminarli, e così pure, nell'ottobre dello stesso anno l'impresa costruttrice aveva sottoscritto un analogo impegno.

In questo caso, il costruttore (ed i progettisti) riconoscevano l'esistenza dei vizi dopo la tempestiva denunzia dell'amministratore. Ove tale riconoscimento fosse giunto prima della denunzia questa non sarebbe poi più stata necessaria, come abbiamo avuto modo di chiarire qui:

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La lite sulla quantificazione e sulla eliminazione dei vizi dell'opera

Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, il riconoscimento dei vizi e l'impegno alla loro eliminazione rimanevano lettera morta, e conseguentemente sorgeva una lite sulla quantificazione dei danni correlati alla sussistenza di tali vizi, che dava luogo ad un accertamento tecnico preventivo, nonostante il quale la società costruttrice rimaneva inerte, non provvedendo, così alla loro eliminazione.

Conseguentemente, il Condominio, e con esso numerosi condòmini, agiva in giudizio chiamando in causa il costruttore, la società venditrice e gli architetti che avevano curate la progettazione e la direzione dei lavori.

All'esito di tale giudizio, il Tribunale veneziano condannava i convenuti, incluse le imprese subappaltatrici che erano state chiamate in causa dal costruttore a manleva.

La Corte d'Appello, successivamente adita, parimenti, pur escludendo le imprese subappaltatrici, confermava la predetta condanna.

Tuttavia, in tale sede, nello stabilire la responsabilità solidale del costruttore, del venditore e dello studio di architettura, la quantificava tra di essi nella misura di un terzo ciascuno.

Vizi dell'opera, l'intervento della Suprema Corte

Ricorreva in Cassazione lo Studio di architettura, lamentando quattro diversi motivi, che la Corte tratta raggruppando i primi tre, e separatamente il quarto. In tutti i casi li ritiene infondati.

Vengono qui in rilievo i primi tre motivi, con i quali il ricorrente lamentava la erronea applicazione da parte dei Giudici di merito dell'art. 1669 c.c.: in particolare, si doleva che il Condominio non avesse adeguatamente chiarite e dettagliate specificatamente le negligenze contestate ai professionisti, né le violazioni agli stessi imputabili.

Osservava la difesa dei tecnici ricorrenti come, senza tali allegazioni gli stessi non potevano essere considerati responsabili, neppure in via presuntiva, come prevede la norma generale sui vizi dei beni immobili derivanti da appalto, stabilita dall'art. 1669 c.c.

La Cassazione, tuttavia, rigettava tale doglianza ed osservava che, poiché sia il costruttore sia, in particolare, i tecnici che avevano curate la progettazione e la direzione lavori, con la comunicazione del giugno 1999 avevano riconosciuta l'esistenza dei vizi e assunto l'impegno ad eliminarli, non si doveva ritenere fondata l'azione del Condominio sull'art. 1669, ma sull'intervenuto riconoscimento dei vizi da parte di chi se ne assumeva la responsabilità.

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Il riconoscimento del vizio dell'opera e l'impegno all'eliminazione come obbligazione autonoma

Dunque, si conferma un chiaro orientamento giurisprudenziale: la fonte costitutiva dell'obbligazione di risarcimento del danno per vizi nell'appalto di cose immobili al fine della loro eliminazione è data dal loro riconoscimento, ove presente.

Si tratta, insegna la Suprema Corte, di una "autonoma obbligazione di "facere", che si affianca all'originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla" fatto salvo il caso di uno specifico accordo con effetti novativi.

Ne discende che l'azione del Condominio era da qualificarsi come azione risarcitoria, fondata "non sulla deduzione di un particolare profilo di negligenza" dei professionisti ricorrenti, ma sul loro impegno, assunto eppure rimasto inattuato, alla eliminazione dei difetti sugli immobili, che si qualificava come "un autonomo fatto costitutivo dell'obbligazione, rimasta inadempiuta".

Nel completare la trattazione dei motivi di doglianza, il Collegio degli Ermellini afferma che, sulla scorta del ragionamento condotto, lo stesso termine di prescrizione doveva correlarsi a quello ordinario decennale, in luogo di quello, molto più breve, annuale, previsto dalla disciplina dell'appalto in tema di garanzia da rovina di edificio. Di tale aspetto abbiamo trattato qui:

Anche in questo caso, si fa riferimento all'obbligazione assunta mediante riconoscimento del vizio e all' impegno alla sua eliminazione, quale fatto costitutivo della stessa, che conduce all'applicazione dell'ordinario termine di prescrizione, decisamente più favorevole al condominio committente.

Sentenza
Scarica Cass. 21 ottobre 2020 n. 22926
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