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Nessun risarcimento per i fumi della pizzeria in condominio se il danno non è attuale e concreto

L'esistenza delle immissioni non implica necessariamente un danno risarcibile.
Avv. Michele Zuppardi - Foro di Taranto 

Puzze? Fuliggini? Odori insopportabili? Pazienza, il condominio è anche questo. E se il residente che subisce tutto ciò non fa intervenire l'ambulanza o non si ricovera in ospedale, la pizzeria in esercizio nei locali sottostanti al suo palazzo non gli pagherà mai alcun risarcimento.

Questo, in definitiva, si evince dall'ordinanza n. 26882/19, resa lo scorso 23 ottobre 2019 dalla II sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, seguita ad un giudizio che si era concluso appurando l'effettiva responsabilità di un'attività di ristorazione nella produzione di fumi maleodoranti, e stabilendo la conseguente "condanna" al miglioramento della sua canna fumaria con soluzioni d'intervento più moderne e all'avanguardia.

"L'esistenza delle immissioni non implica necessariamente un danno risarcibile", sottolinea lapidariamente la Cassazione, poiché quando è possibile eliminare il fenomeno tramite accorgimenti tecnici "il danno alla salute può essere escluso".

Ma non solo. I precedenti giurisprudenziali richiamati dagli stessi Ermellini stabiliscono che "in caso di immissioni di fumo eccedenti il limite della normale tollerabilità, non può essere risarcito il danno non patrimoniale consistente nella modifica delle abitudini di vita del danneggiato", stante l'assenza di "una specifica prospettazione di un danno attuale e concreto alla sua salute".

Risarcimento per rumori intollerabili. Certificazione medica

Nel caso di specie, il condòmino ricorrente subiva da tempo le maleodoranti ventate prodotte da un impianto malmesso perché "interrotto" proprio in prossimità delle finestre del suo appartamento, e per questo si era rivolto alla Magistratura chiedendo la inibizione delle immissioni e il risarcimento dei danni subiti.

Immaginiamo quanti buoni e persistenti profumi egli avrà dovuto annusare per anni, senza poter far nulla, fino a quando la Giustizia non si è decisa a risolvere la lite ordinando la realizzazione delle necessarie migliorie all'impianto di scarico dei fumi, ma facendo contestualmente spallucce alla vista delle certificazioni mediche accumulatesi nel tempo e ritualmente prodotte dall'istante.

Quest'ultimo "non aveva dimostrato il danno alla salute del quale aveva invocato il risarcimento", hanno affermato gli Ermellini, ed inoltre "l'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito", hanno chiarito i Giudici di legittimità.

Dopo anni di causa, è arrivato dunque finalmente un totale "si" alla rimozione del problema, accompagnato però da un secco "no" al risarcimento del danno determinato dal problema stesso.

E meno male che il codice penale, all'art. 674, punisce addirittura con l'arresto "chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas di vapori o di fumo atti a cagionare tali effetti ".

Si alla pizzeria al primo piano nel silenzio del regolamento condominiale

Una denominazione, quella delle "molestie olfattive", che la stessa Corte di Cassazione ha coniato in occasione della pubblicazione della sentenza n. 14467 del 24.3.2017, e che assume valenza di reato quando si superano i parametri della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ.

Situazioni più che ricorrenti, a quanto pare, dal momento che detta recente qualificazione di "molestia olfattiva" deve la sua origine alla vicenda giudiziaria di una cucina particolarmente puzzolente di un'abitazione privata, dalla quale si diffondevano negli ambienti dell'immobile attiguo i maleodoranti fumi sprigionati dai fornelli in uso alla maldestra e irriducibile cuoca.

Dicevamo che nell'Ordinanza della Suprema Corte oggi in commento, si ribadisce come - per avere diritto al risarcimento - il malcapitato destinatario delle immissioni debba dimostrare che si sia verificato un danno "attuale e concreto" alla sua salute.

Che significa? Gli odori irrespirabili sono sanzionati si o no? E la condanna a rimuovere le immissioni non è bastevole ad affermare che i medesimi effluvi si siano effettivamente verificati ed abbiano indiscriminatamente colpito chi ne ha denunciato la esistenza e la ininterrotta intollerabilità?

E ancora, indipendentemente dal valore da attribuire al risarcimento, quale peso potranno mai avere le prescrizioni dei codici civile e penale in assenza di equi parametri di ristoro dei danni causati a terzi?

Di fatto, la libertà di sporcare e di immettere fumi sembra dunque destinata a prevalere sul divieto espresso dalla legge. Già è un terno al lotto dimostrare la misura della "normale tollerabilità", considerando oltretutto come essa debba necessariamente rilevarsi su dati oggettivi che prescindono da punti di vista e situazioni personali.

È infatti assai difficile anche per un Giudice, in assenza di criteri di valutazione predeterminati, identificare la prova del superamento di detto limite in base alla capacità di sopportazione dell'"uomo medio", nonché - come affermato dalla Suprema Corte in sede penale - in base a quanto verificatosi "di volta in volta, con riguardo sia alle condizioni dei luoghi ed alle attività normalmente svolte nel contesto produttivo preso in considerazione, sia nel sistema di vita ed alle abitudini della popolazione nel momento storico in cui le immissioni si verificano " (Cass. Pen. sent. n. 6534/1985, Cass. Pen., SS.UU., sent. n.4156/1957.

Se a tutto questo si aggiunge la fatica di dover provare giudizialmente i danni provocati alla salute, anche solo quelli derivanti dallo stress accumulato nel non poter respirare aria pulita a casa propria, l'orizzonte appare sempre più nebuloso, anzi fumoso.

E a tal proposito va ricordato che se ci vogliono decenni per ottenere i risarcimenti derivanti dall'esposizione al fumo passivo, figuriamoci qual è lo stato dell'arte nel campo delle esalazioni puzzolenti di ristoranti e pizzerie.

Del resto, si tratta pur sempre di odori collegati ad alimenti e non a sostanze nocive, e dunque il pericolo "attuale e concreto" per la salute cui ci si dovrà attenere in forza dell'Ordinanza resa dalla Suprema Corte sarà davvero di rara - se non impossibile - identificazione.

Con tanti auguri a chi si trova o si troverà a vivere stabilmente nelle immediate vicinanze di esercizi condotti da gestori sporcaccioni e insensibili alle più "ecologiche" garanzie che tutti i nostri nasi a giusta ragione pretendono.

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