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Odori nauseabondi in condominio. Condanna penale e risarcimento danno sono sempre in agguato

Non si scherza con le immissioni olfattive nauseabonde.
Avv. Samantha Mendicino - Avvocato del Foro di Cosenza 

Non si scherza con le immissioni olfattive nauseabonde: la condanna penale attende dietro l'angolo ed a fargli da allegro compagno vi è l'obbligo conseguenziale del risarcimento dei danni.

La disposizione penale e l'evento di molestia. L'art. 674 c.p. così recita 'Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino ad €206,00'. Va ricordato, a tal proposito, che per il reato di cui alla predetta sanzione, l'evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori si deve considerare 'apprezzabile' a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge.

Infatti, se è vero che è necessario che venga accertato in modo rigoroso l'oltrepassamento del citato limite, risulta -altresì-bastevole il superamento del limite della 'normale tollerabilità' ex art. 844 (cfr. in tema di immissioni olfattive, Cass. Pen., sent. n. 37037/2011; Cass. Pen., sent. n. 34896/2011).

La prova del superamento del limite della tollerabilità. Quanto, poi, alla prova del detto superamento, l'interpretazione giuridica è costante nell'affermare che, mancando nella legge una misura in base alla quale stabilire con criteri automatici, il limite di tollerabilità delle immissioni deve essere prudentemente determinato -di volta in volta- dal giudice, con riguardo sia alle condizioni dei luoghi ed alle attività normalmente svolte nel contesto produttivo preso in considerazione sia al sistema di vita ed alle abitudini della popolazione nel momento storico in cui le immissioni si verificano (Cass. Pen, sent. n. 6534/1985; Cass. Pen, SS.UU., sent. n. 4156/1957).

Ne deriva che non è esatto affermare che esso debba risultare provato documentalmente né, tanto meno, solo a mezzo di una perizia, essendo sufficiente che il superamento risulti provato anche da dichiarazioni testimoniali od aliunde da elementi adeguatamente valutati dal giudice.

Gli odori provenienti da un ristorante tormentano l'inquilino. Si tratta di vizi del bene locato?

Immissioni, molestie ed imbrattamento dell'immobile del vicino. I proprietari di un immobile, imputati per il reato previsto dall'art. 674 c.p., contestato per aver provocato (a causa di una canna fumaria, servente il loro bene, su cui era stata accertata mediante video-ispezione l'esistenza di una fessurazione) continue immissioni di odori, fumi e rumori nell'appartamento sovrastante, reputati addirittura idonei ad imbrattare l'immobile di loro proprietà ed a cagionare offesa e molestia, venivano assolti in primo grado perché 'il fatto non sussiste'.

Tuttavia, sulla impugnativa delle parti civili, la Corte di Appello competente riformava la sentenza, condannando gli imputati al risarcimento dei danni da liquidarsi in un separato giudizio in favore delle vittime.

Inevitabile seguiva il ricorso avverso alla sentenza in Cassazione che, però, concludeva il giudizio confermando la pronuncia della Corte territoriale.

Classifica delle liti in condominio

Nello specifico, gli Ermellini osservavano che questa aveva fondato la condanna dei ricorrenti al risarcimento del danno in favore delle parti civili sulla comprovata esistenza di una fessura nella canna fumaria a servizio della loro abitazione, a circa un metro di distanza dall'appartamento sovrastante, abitato -per l'appunto- dalle parti civili, nonché sulla regolare è costante provenienza dalla stessa di odori di cucina sgradevoli (Cass. Pen., sent. n. 50620/2017).

Dunque, con una motivazione immune da vizi logici che non poteva che trovare accoglimento in sede di legittimità.

Canna fumaria e rispetto della distanza legale. Non si sfugge: per le canne fumarie esiste una presunzione di pericolosità che impone che le stesse (come i camini) siano costruite ad una distanza di sicurezza dalle proprietà contigue (leggi: confinanti), nonostante risulti assente una regolamentazione comunale in materia.

Ed è stata la pronuncia della Suprema Corte n. 13449/2016 a rammentarlo, precisando che 'il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall'articolo 890 c.c., nella cui regolamentazione rientrano anche i comignoli con canna fumaria, è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima, mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha una presunzione di pericolosità relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che, mediante opportuni accorgimenti, può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino.

Sopravvenienza di disciplina normativa, in tema di distanze legali, meno restrittiva e canna fumaria costruita all'epoca in cui vigeva la normativa più sfavorevole: conseguenze.

Vi è consolidata giurisprudenza in seno alla Suprema Corte (Cass. Civ., sent n. 22288/2010; Cass. CIv., sent. n. 22086/2007; Cass. Civ., sent n. 5173/2001) secondo cui, in tema di distanze legali nelle costruzioni, qualora sopravvenga una disciplina normativa meno restrittiva, il manufatto in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non può più essere ritenuto illegittimo, cosicché il confinante non può pretendere l'abbattimento.

Tale effetto non deriva dalla retroattività delle nuove norme, di regola esclusa dall'art. 11 delle preleggi, ma dal fatto che -pur rimanendo sussistente l'illecito di chi abbia costruito in violazione di norme giuridiche allora vigenti e la sua responsabilità per i danni subiti dal confinante fino all'entrata in vigore della normativa meno restrittiva- viene meno però l'illegittimità della situazione di fatto determinatasi con la costruzione, essendo questa conforme alla normativa successiva e, quindi, del tutto identica a quella delle costruzioni realizzate dopo la sua entrata in vigore.

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