La quiete familiare spesso viene disturbata dalle immissioni, rumorose e olfattive, provenienti dai locali posti al piano terra del palazzo. Analizziamo regole e limiti da rispettare per una pacifica convivenza.
La fattispecie. Capita spesso che il primo piano dei palazzi ospiti ristoranti, pizzerie, kebab e bar; simili strutture ricettive possono creare dei problemi ai proprietari degli immobili soprastanti.
Spesso le canne fumarie non isolano gli odori rendendo insalubre l'aria; oppure la musica dei bar è troppo alta o ancora gli avventori sostano fuori dal locale e il loro vociare sino a tarda notte impedisce il riposo delle persone.
Com'è agevole intuire, i motivi di dissidio sono vari e hanno determinato molteplici interventi della giurisprudenza. Analizziamo i più significativi.
Movida notturna e bar in condominio. La movida è un «fenomeno caratterizzato dal fatto che un elevato numero di persone (nell'ordine del migliaio in alcune occasioni) staziona all'esterno degli esercizi pubblici, occupando la pubblica via, consumando bevande alcoliche e trattenendosi in loco sino ad ore molto tarde» (Trib. Brescia 2621/2017).
Orbene i titolari degli esercizi commerciali sono responsabili delle propagazioni che provengono dal locale.
Il fatto che i gestori non prendano provvedimenti e, quindi, assumano una condotta omissiva può integrare il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659 c.p.) e molestia o disturbo delle persone (art. 660)
La tollerabilità del rumore. Ai fini dell'applicazione dell'art. 844 c.c. rileva il solo dato oggettivo dell'intollerabilità delle immissioni sonore.
La normativa sull'inquinamento acustico (legge 447/1995) individua indici predeterminati il cui superamento cagiona automaticamente una violazione.
Tuttavia alcune immissioni, pur non oltrepassando la soglia predeterminata dalla legge, superano comunque il livello di tollerabilità di cui all'art. 844 c.c.
Infatti, «le immissioni nell'ambito della proprietà del vicino - ancor più esposto degli altri, in ragione della contiguità dei fondi, ai loro effetti dannosi - devono, per ciò solo, considerarsi intollerabili, ex art 844 c.c. e, pertanto, illecite anche sotto il profilo civilistico» (Cass. Ord. 1069/2017) [1].
Pizzeria e cattivi odori. Gli odori provenienti dalla pizzeria sottostante possono risultare sgradevoli.
Il soggetto danneggiato da tali immissioni può ottenere un indennizzo nell'attesa che il fenomeno cessi (Trib. Biella 16 settembre 1989) e qualora non sia possibile ricondurre gli odori nella norma, ricorrono i presupposti per la cessazione dell'attività (Trib. Perugia 10 ottobre 1994) [2].
Inoltre se la canna fumaria emette olezzi insalubri, il giudice nel contemperare le esigenze tra il diritto all'abitazione e l'attività economica deve far prevalere le prime, alla luce dei principi costituzionali (Cass. 3090/1993)
Ristorante e canna fumaria a ridosso della finestra. Il giudice può imporre la rimozione della canna fumaria che emetta calore ed esalazioni a ridosso della finestra del vicino (Cass. 9130/1993) ovvero può ordinare la sostituzione della canna fumaria difettosa (Cass. 1108/1978).
Il proprietario dell'immobile danneggiato dalle esalazioni non è obbligato a concedere il passaggio della canna fumaria sulla sua proprietà, anche se così facendo le immissioni si ridurrebbero (Cass. 8094/2014).
Infatti, una volta acclarata l'intollerabilità delle esalazioni, ci si trova di fronte ad una condotta illecita, a cui la legge ricollega l'inibitoria e il risarcimento del danno.
=> Il caso di una pizzeria con la canna fumaria che emette fumi fuligginosi nocivi
Immissioni olfattive: limiti. L'art. 844 c.c. dispone che le immissioni di fumo, le esalazioni, i rumori et cetera, provenienti dal fondo del vicino, non possano superare la normale tollerabilità.
La suddetta norma naturalmente si applica anche in ambito condominiale avendo riguardo ai rapporti tra piani e porzioni di piano (Trib. Salerno 26 luglio 2007).
Il giudicante deve contemperare i contrapposti interessi del singolo di poter godere dei manufatti edificati sulla scorta di idonei titoli abilitativi e del vicino a godere di un ambiente salubre.
Tale bilanciamento deve essere compiuto sulla scorta di «una valutazione concreta e media tra i contrastanti diritti dei proprietari dei fondi oggetto di controversia, tenendo conto delle condizioni dei luoghi, della natura, dell'entità e della causa delle immissioni, delle necessità generali ed assolute, quotidiane e civili, della umana coesistenza e, sussidiariamente, anche della priorità dell'uso» (Cass. 309/2013).
Danno alla salute e al normale svolgimento della vita quotidiana: risarcimento. Il rumore assordante o l'olezzo nauseabondo possono provocare un danno non patrimoniale caratterizzato dalla compressione del diritto di esplicare le normali abitudini di vita quotidiana.
Si tratta di diritti garantiti sia dalla Carta Costituzionale (art. 32 cost.) che dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 8 CEDU).
Il risarcimento del danno non patrimoniale è ammissibile anche qualora non vi sia un danno biologico documentato, allorché siano stati lesi i diritti di cui sopra (Cass. S.U. 2611/2017).
Pertanto occorre dimostrare che a causa dei rumori assordanti o per la puzza insopportabile, ci si è trovati nell'impossibilità di svolgere normalmente la propria vita familiare. In tutte queste ipotesi, è dovuto il risarcimento.
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Molestie olfattive e reato di getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.). Recentemente la Suprema Corte ha ravvisato il reato di cui all'art. 674 c.p. in relazione alla condotta del condomino del piano terra la cui cucina era così "molesta" da arrecare nocumento ai proprietari del terzo piano, in quanto superava la normale tollerabilità (Cass. 45230/2014; Cass. 14467/2017).
In particolare, gli Ermellini hanno sostenuto che «la contravvenzione prevista dall'art. 674 c.p.
è configurabile anche nel caso di "molestie olfattive" a prescindere dal soggetto emittente, con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo […] al criterio della normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c., che comunque costituisce un referente normativo, per il cui accertamento non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento […] su elementi probatori di diversa natura e dunque sulle dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia».
=> Cucine da incubo. L'odore del ragù e del fritto possono configurare molestie olfattive.
Il regolamento condominiale. Il regolamento può prevedere limiti più stringenti della legge.
Ad esempio, può vietare di destinare le unità immobiliari a determinate attività che arrechino disturbo o molestia alla quiete del palazzo, come bar e pizzerie.
In questo caso, la violazione del regolamento dà titolo all'amministratore per agire in giudizio al fine di ottenerne il rispetto (Trib. Milano 11944/2015).
Conclusioni. In conclusione, nel caso di immissioni, il danneggiato può diffidare il soggetto che provoca i rumori o gli odori e agire in giudizio al fine di ottenere l'inibitoria, ossia la cessazione del comportamento lesivo. Egli ha diritto anche al risarcimento qualora dimostri il danno subito. La valutazione sulla tollerabilità o meno delle immissioni ex art. 844 c.c. è rimessa al giudicante.
[1] Recentemente la Suprema Corte con sentenza 17 gennaio 2018 n. 1025, in materia di inquinamento acustico, si è soffermata sui rilievi fonometrici compiuti dal CTU ed ha affermato che «la mancata misurazione del rumore di fondo, nella fascia oraria a cui si riferiscono le contestazioni, impedisce di dimostrare l'intollerabilità delle immissioni sonore».
[2] M. Fracaro - G. Palmieri, Condominio. Il dizionario dalla A alla Z, collana il Diritto di tutti, Milano, Giuffrè, voce "esalazione e fumi", 2016, 127 ss.