Nessun limite alla pizzeria in condominio. La Cassazione ribadisce che le clausole del regolamento di condominio di natura contrattuale, che contemplano divieti e limitazioni, devono essere interpretate in maniera rigorosa, secondo il contenuto che emerge dal dato letterale della norma regolamentare.
Divieti e limiti devono risultare da espressioni chiare. Se non è il regolamento condominiale a proibirlo espressamente, non scatta il risarcimento in favore dei vicini per l'immissione di rumori e il ripristino alla situazione originaria nel caso in cui il proprietario trasformi l'immobile in una pizzeria, tramite una scala che collega l'appartamento con il sottostante locale.
Ciò che non è espressamente vietato, dunque, è consentito: “la compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, deve risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze”.
Il fatto – Un condomino agiva in giudizio per il ripristino dei luoghi contro alcuni condomini i quali, in violazione del regolamento condominiale, avevano adibito il loro immobile, destinato esclusivamente ad uso abitativo, a pizzeria, mediante la creazione di una scala di collegamento interna con il sottostante terraneo, adibito a sua volta a pizzeria-ristorante.
Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che le limitazioni contemplate nell'art. 5 del regolamento valessero solo per i locali cantinati e terranei, non sussistendo quindi analoghi vincoli per l'utilizzo degli immobili posti ai piani superiori.La Corte d'appello tuttavia ribaltava la sentenza di primo grado, attesa la pacifica vincolatività del regolamento condominiale, in quanto trascritto anche nei registri immobiliari e richiamato nel contratto di compravendita dei convenuti.
Secondo la corte distrettuale, in particolare, la previsione di una specifica possibilità di utilizzo solo per i detti locali, imponeva di ritenere che ab implicito per gli altri locali, quale appunto l'appartamento degli appellati, fosse vietata una diversa destinazione.
Il regolamento era costruito sul principio dell'espressa elencazione delle destinazioni consentite, sicché in mancanza di un'analoga previsione anche per gli altri locali diversi dai cantinati e dai terranei, doveva concludersi per il divieto di adibire l'appartamento per cui è causa allo svolgimento di attività commerciale.
La Corte di cassazione non ha però condiviso la soluzione fornita dai giudici d'appello. Per i giudici di legittimità, il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva in due modi:mediante elencazione specifica di attività vietate; oppurefacendo riferimento ai pregiudizi che si intende evitare.
In quest'ultimo caso – corrispondente al fattispecie in esame – “per evitare ogni equivoco in una materia atta a incidere sulla proprietà dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé, alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponde ad un interesse meritevole di tutela”.
Pertanto, nella corretta individuazione della regola dettata dal regolamento contrattuale non si può prescindere al senso letterale delle parole, cioè univocità delle espressioni letterali utilizzate.
Occorre dunque evitare interpretazioni di carattere estensivo, “sia per quanto attiene all'ambitodelle limitazioni imposte alla proprietà individuale, ma ancor più per quanto concerne la corretta individuazione dei beni effettivamente assoggettati alla limitazione circa le facoltà di destinazione di norma spettanti al proprietario”.
Nel caso di specie, la clausola del regolamento si occupa specificamente solo dei limiti alla facoltà di utilizzo dei locali terranei e dei cantinati, ricavandosi quindi l'esistenza di un limite estremamente rigoroso quanto alle possibilità di utilizzo degli immobili aventi diversi natura, tra cui anche l'appartamento dei ricorrenti.
La necessità, in ragione delle esigenza di limitare al massimo la comprensione delle proprietà individuali, in considerazione della storica configurazione del diritto di proprietà, impone quindi un'interpretazione del regolamento fondata sulla chiarezza ed univocità del tenore e delle espressioni letterali, dovendosi rifuggire quindi da interpretazioni estensive, peraltro contrarie ai canoni ermeneutici dettati in tema di interpretazione dei contratti, applicabili anche alle clausole del regolamento di condominio di natura contrattuale.