Tizio, ristoratore, prende in locazione da Caio un locale da adibire all’esercizio della propria attività. L’accorso stipulato prevede la destinazione del locale ad attività di ristornate. Tizio, presone possesso, compie delle opere per l’installazione di un forno. Nelle sue intenzioni, infatti, l’attività dev’essere di ristorante-pizzeria.
A Caio questa cosa non va bene e decide di agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto.
A suo dire, infatti, Tizio si sarebbe reso inadempiente rispetto alla clausola contrattuale che vietava qualunque modificazione dei locali concessi in locazione.
La risoluzione de iure del contratto è fattispecie disciplinata dall’art. 1456 c.c. (Clausola risolutiva espressa) che recita:
I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.
In questo caso, la risoluzione si verifica diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva.
Il locatario si difendeva dicendo che nessuna violazione contrattuale poteva essergli addebitata. Il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, davano ragione al proprietario: il comportamento del conduttore è stato illegittimo.
Egli non poteva modificare il locale per trasformarlo in pizzeria anche in considerazione del fatto che la locazione era stata pattuita per l’attività di ristorante. Insomma il contratto doveva essere risolto. Il locatario non ci stava e ricorreva in Cassazione.
Secondo lui non solo le opere realizzate non erano modificative di alcunché ma non era possibile distinguere un ristorante da una pizzeria, dato che si tratta di attività omologhe.
Il fatto appena raccontato ha portato all’emissione della sentenza n. 5056 del 29 marzo 2012.
Il ricorso, basato tra gli altri sui motivi appena specificati, è stato rigettato; i giudici di meriti avevano agito bene.
In relazione alla doglianza con cui il conduttore/ricorrente censurava la valutazione delle opere da lui realizzate, gli ermellini, ribadendo un aspetto molto importante riguardo i ricorsi per Cassazione, hanno evidenziato che “ la valutazione della natura delle opere realizzate dal conduttore come rientranti nel concetto di modifica dell'immobile e degli impianti, di cui all'art. 9 del contratto è una valutazione di fatto che spetta al giudice del merito e che, adeguatamente motivata, non può essere di nuovo valutata dal giudice di legittimità.
Il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell1 "iter" formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ.
In caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. Cass. civ., Sez. lavoro, 22 febbraio 2006, n. 3881 5.
La Corte di merito ha accertato che il conduttore aveva realizzato un forno a legna per la cottura delle pizze, il rialzamento del pavimento per circa mq 2 su cui aveva poggiato il forno ed un bancone, una canna fumaria non autorizzata che si innestava in una canna fumaria condominiale, una canna fumaria di esalazione dei fumi che terminava nel sottotetto” (Cass. 29 marzo 2012 n. 5056).
In relazione alla distinzione ristorante-pizzeria i giudici di legittimità giungono ad una conclusione simile a quella appena esposta. Si legge in sentenza che “ l'accertamento sul punto effettuato dalla Corte di appello è sorretto da adeguata motivazione in quanto l'uso come pizzeria con forno a legna è sicuramente un uso diverso da quello di ristorante e non costituisce semplice ampliamento del tipo di cibi serviti, ma un attività diversa, tanto che per il suo esercizio, come risulta dalla sentenza impugnataci erano rese necessarie istallazioni di più canne fumarie per l'esalazione di fumi ed odori, comportanti anche nuove autorizzazioni sanitarie” (Cass. 29 marzo 2012 n. 5056).