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Non è valida la delibera che immotivatamente rifiuti la richiesta del condomino di installare macchinari per climatizzazione nelle parti comuni

La valutazione sull'utilizzo e sul godimento della cosa comune da parte del singolo condomino va effettuata tenuto conto del rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

La disposizione di cui all'art. 1102 c.c. consente al condominio di servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, con espresso riferimento al godimento che si presume uguale per tutti.

La giurisprudenza ha chiarito che, ai sensi dell'art. 1102 c.c., è legittimo sia l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l'uso più intenso della cosa, a condizione che non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari.

Di conseguenza, nel caso di utilizzo del bene comune da parte del singolo condomino, occorre solo verificare se lo specifico uso possa comportare una definitiva sottrazione del bene alla disponibilità degli altri condomini, ovvero se, con tale utilizzo, sia rimasta invariata la destinazione principale del bene. Per evitare conflitti il singolo condomino spesso segue la migliore soluzione: informa l'amministratore del suo progetto e poi attende "il benestare" dell'assemblea.

Quest'ultima, però, spesso ignora i principi sopra espressi dalla giurisprudenza e nega ingiustamente il placet al partecipante al condominio.

In merito a tale problema si è recentemente pronunciato il Tribunale di Modena (sentenza n. 1220/2023).

Installazione di condizionatore legittimo e delibera invalida. Fatto e decisione

In un condominio-centro commerciale, il titolare di un'unità immobiliare chiedeva di poter posizionare sul tetto macchinari per la climatizzazione e ricambio d'aria.

L'assemblea prima non deliberava per assenza di maggioranza, poi esprimeva voto negativo alla sua richiesta, nonostante l'opinione favorevole di alcuni condomini.

Il singolo condomino impugnava la delibera assembleare che riteneva invalida per contrasto con l'art. 1102 c.c.

A sostegno delle sue ragioni l'attore faceva presente che l'installazione richiesta non avrebbe impedito che i pochi condomini, ancora privi di impianto, potessero effettuare analoga installazione sul tetto, né avrebbe alterato l'uso della copertura del fabbricato, già destinata al posizionamento di tali macchinari; inoltre aggiungeva che le opere richieste non avrebbero comunque arrecato pregiudizio alla stabilità o sicurezza del fabbricato, essendo le stesse simili a quelle installate dalla maggioranza degli altri condomini; infine l'attore escludeva pregiudizi al decoro architettonico dell'edificio poiché le macchine installate sul tetto non erano visibili dalla pubblica via. Il Tribunale ha dato ragione all'attore.

Secondo lo stesso giudice l'esecuzione dell'opera prospettata dal singolo condomino, in ragione delle sue caratteristiche (specificamente sottoposte anche all'esame del nominato C.T.U.), è risultata rispettosa dei criteri posti dall'articolo 1102 c.c., in tema di uso della cosa comune (in tal caso il tetto condominiale).

Secondo il CTU le opere, non avrebbero alterato la destinazione della cosa comune, non ne avrebbe impedito il pari godimento agli altri condomini e non avrebbe neppure pregiudicato la sicurezza e la staticità dell'immobile; in ogni caso, l'installazione dei nuovi manufatti non avrebbe comportano "lesioni del decoro architettonico del condominio".

Conseguentemente, la delibera assembleare è stata dichiarata nulla per lesione del diritto individuale all'utilizzo della cosa comune, avendo la stessa inciso sul diritto dominicale dell'attore.

Decoro architettonico, le sentenze in materia

Considerazioni conclusive.

Ciascun condomino è sottoposto, secondo il disposto dell'art. 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condòmini.

Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresì, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all'esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa, legittima quest'ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità.

Secondo i giudici supremi qualora l'assemblea neghi al condomino l'autorizzazione ad apportare modifiche ex articolo 1102 c.c. alle parti comuni, opponendosi alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante, spetta al condominio dimostrare il superamento dei limiti del pari uso, di cui all'art. 1102 c.c., che possa perciò giustificare la legittima espressione della volontà collettiva dei partecipanti a tutela delle esigenze conservative dei diritti inerenti alle parti comuni(Cass. civ., sez. VI, 13/12/2022, n. 36389).

In ogni caso la Suprema Corte ha ricordato che le modificazioni per il miglior godimento della cosa comune (a differenza dalle innovazioni che vengono deliberate dall'assemblea nell'interesse di tutti i partecipanti ai sensi dell'art. 1120 c.c.) possono essere apportate a proprie spese dal singolo condomino con i limiti indicati dall'art. 1102 c.c. e non richiedono alcuna preventiva autorizzazione assembleare, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell'esercizio dell'autonomia privata (Cass. civ., sez. VI, 17/01/2023, n. 2023). L'eventuale autorizzazione alle modifiche comunque richiesta o concessa dall'assemblea costituisce riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante (Cass. civ., sez. II, 20/02/1997, n. 1554).

Sentenza
Scarica Trib. Modena 17 luglio 2023 n. 1220
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