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Vendita e perdita della condominialità di un bene tra quelli indicati dall'articolo 1117 c.c.

La caratteristica peculiare del condominio è la coesistenza, in un edificio o in più edifici, di unità abitative in proprietà esclusiva e di parti comuni a tutti i condomini.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 

Con l'avvenuta costituzione del condominio si trasferiscono ai singoli acquirenti delle diverse unità immobiliari anche le corrispondenti quote delle parti comuni, di cui non è più consentita la disponibilità separata a causa dei concorrenti diritti degli altri condomini, a meno che non emerga dal titolo, in modo chiaro ed inequivocabile, la volontà delle parti di riservare al costruttore originario o ad uno o più dei condomini la proprietà esclusiva di beni che, per loro struttura ed ubicazione dovrebbero considerarsi comuni.

La presunzione di condominialità di beni e servizi comuni non può essere superata per via induttiva o per fatti concludenti. È possibile però che un bene comune perda la condominialità. A tale proposito merita di essere esaminata nell'ordinanza n. 21896/2023 della Cassazione.

Vendita e perdita della condominialità di un bene tra quelli indicati dall'articolo 1117 c.c. Fatto e decisione

L'amministratore di un condominio, con alcuni condomini proponevano avanti al Tribunale un'azione di rivendica ex art. 948 c.c. nei confronti di altra condomina per la restituzione di un piccolo locale situato nell'androne dell'edificio.

La convenuta, in base ad una scrittura privata stipulata con la propria venditrice nel 1995, si era impossessata del detto locale, originariamente destinato a guardiola del portiere, in spregio alla presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 c.c. La condomina - che si costituiva in giudizio - contestava la domanda, eccependo l'onere degli attori in rivendicazione di provare la proprietà condominiale. Inoltre eccepiva, in via riconvenzionale, l'avvenuto acquisto per usucapione.

In ogni caso chiedeva ed otteneva chiamata in causa per garanzia e manleva della venditrice, la quale si costituiva in giudizio contestando a sua volta la fondatezza della domanda degli attori.

Il Tribunale, però, accertava la natura condominiale del locale, dichiarava l'inopponibilità al condominio dell'atto di vendita tra la venditrice e la convenuta, condannando quest'ultima a riconsegnare il locale al condominio.

Il giudice di primo grado rigettava l'eccezione riconvenzionale di usucapione e accoglieva la domanda di manleva, condannando la detta condomina al risarcimento del danno del liquidarsi in separato giudizio.

La Corte di Appello confermava la decisione del Tribunale, ritenendo, peraltro, inidonea a produrre effetti di una vendita la delibera assunta all'unanimità dall'assemblea nel 1977 con cui, unitamente all'approvazione del regolamento e delle tabelle millesimali, si era provveduto ad attribuire la proprietà esclusiva della guardiola alla venditrice dell'originaria convenuta, in favore della quale il primo aveva, poi, disposto del bene. I giudici di secondo confermavano l'efficacia probatoria della fotocopia di un documento dattiloscritto (non conforme all'originale) di un atto pubblico (un atto di divisione del 31 dicembre 1934) che non era stato contestato dalle altre parti; la Corte di Appello riteneva pure infondata l'eccezione di usucapione ex art. 1159 c.c., in quanto non erano risultati provati né il possesso ultradecennale, né la buona fede dell'acquirente. La Cassazione ha ancora dato torto alla condomina.

Come hanno notato i giudici supremi per ottenere la titolarità del locale in questione sarebbe stata necessaria un'espressa delibera, assunta all'unanimità, di assegnazione del locale comune in proprietà esclusiva ad uno dei condomini, posto che tale delibera, per sortire l'effetto traslativo della proprietà, deve assumere un valore contrattuale.

Tabelle millesimali: le sentenze in materia

Considerazioni conclusive

Una volta sorto il condominio, una delibera assembleare che disponga con il metodo collegiale e il principio di maggioranza, di una cosa comune a favore esclusivo di un singolo condomino, senza che sia accertata la sussistenza a suo favore di un valido titolo contrario, è invalida in quanto esula dalle attribuzioni dell'assemblea, limitate alla gestione delle cose comuni e può essere validamente assunta solo all'unanimità, mediante una decisione avente natura contrattuale e quindi esprimente volontà negoziale (Cass. civ., Sez. II, 30/08/2004, n. 17397).

In quest'ottica è stato precisato poi che, in mancanza di un valido titolo contrario alla presunzione di titolarità condominiale ex art. 1117 c.c., la trasformazione, in tutto o in parte, di un bene comune in bene esclusivo di una sola parte dei condomini, mediante esclusione di alcuni di essi dalla percezione dei frutti, può essere validamente deliberata anche dall'assemblea di condominio ma soltanto all'unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore contrattuale, dovendosi, in difetto, dichiarare la nullità della deliberazione assunta a maggioranza (Cass. civ., sez. II, 14/04/2015, n. 7459).

Più recentemente si è ribadito che la vendita di un'area comune è possibile solo se tutti i condomini sono d'accordo all'unanimità (Cass. civ., sez. II, 08/04/2021, n. 9361).

In ogni caso per un valido trasferimento ad un condomino di un bene comune non può essere tenuto in considerazione una mera annotazione a penna del nominativo di un condomino apposta sulle tabelle millesimali accanto al cespite, considerando che la giurisprudenza ha ritenuto comunque insufficiente, ad escludere la natura condominiale di un bene, anche la sola inclusione dello stesso nelle tabelle millesimali relative ad un singolo condomino (Cass. civ., sez. III, 13/03/2009, n. 6175).

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