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L'assemblea condominiale può conferire mandato ad un amministratore per correggere tabelle millesimali già approvate?

Con la disamina del provvedimento gli ermellini pongono l'accento su alcuni aspetti relativi alla modifica delle tabelle millesimali.
Avv. Nicola Frivoli 

Con ordinanza emessa in data 3 agosto 2022, n. 24085, la Corte di Cassazione, Sezione II, si è pronunciata su due motivi di censura, rinvenienti da giudizio intrapreso dinanzi al Tribunale di Brescia, da una condòmina che impugnava una deliberazione dell'assemblea condominiale del 9.4.2015, convenendo in giudizio il condominio, e chiedendo al giudice adito dichiararsi illegittimità di tale atto collettivo per annullabilità perché le spese erano state ripartite in base a valori millesimali diversi da quelli determinati sia nella tabella di proprietà originaria del 3.10.1994, sia nella tabella approvata con delibera del 5.3.2013 (c.d. tabella Ravasio).

Si costituiva il convenuto-condominio che deduceva che la stessa assemblea aveva approvato la c.d. tabella Ravasio nonché aveva dato mandato all'amministratore di applicare alcuni criteri correttivi, consistenti in modeste modifiche cui aveva provveduto il tecnico incaricato senza che vi fosse necessità di una nuova approvazione formale.

Il giudice di prime cure accoglieva l'impugnativa con sentenza n. 1568/2018, assumendo la fondatezza dell'impugnativa della condomina, dichiarando l'invalidità della deliberazione del 9.4.2015.

Avverso tale pronuncia l'appellante-condominio proponeva gravame innanzi alla Corte d'Appello di Brescia che con pronuncia del n. 501/2021, del 30.4.2021, rigettava l'appello gravame, ritenendo che la redazione del bilancio consuntivo 2014 e preventivo del 2015 e dei rispettivi piani di riparto era avvenuto sulla base di una tabella modificata, mai sottoposta all'approvazione dell'assemblea, non essendo legittima né un'autorizzazione preventiva alla modifica delle tabelle, né un approvazione per facta concludentia, né una approvazione "postuma" avente effetti retroattivi.

Avverso la decisione del giudice del gravame, il ricorrente-appellante proponeva ricorso in cassazione adducendo due motivi di censura. Resisteva l'appellata-condomina con controricorso.

I motivi di censura

Con il primo motivo, il ricorrente-condominio denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, 1124, 1135, 1138 e 2909 c.c., nonché degli art. 68 e 68 disp.att. c.c., in relazione alla rettifica delle tabelle millesimali già approvate, ed ancora il "vizio motivazionale" sulle medesime questioni ex art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c..

Si narrava che l'assemblea svoltasi il 5.3.2013 aveva approvato le tabelle millesimali "delegando comunque il tecnico incaricato, ad apportare le modifiche richiesti dai condomini, tra cui la condomina resistente.

L'assemblea deliberava, i quella sede, che dette rettifiche sarebbero state applicate direttamente senza necessità di nuovo passaggio esplicito in assemblea.

Il ricorrente segnalava altresì che la delibera del 5.3.2013 era stata oggetto di una pronuncia inter partes della Suprema Corte (Cass. civ. sez. VI-II, 9 febbraio 2021, n. 3041).

Con il secondo motivo, il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione degli art. 1137 c.c. e 100 c.p.c. in relazione all'eccezione di carenza di interesse ad agire della resistente-condomina, ed ancora il "vizio motivazionale" sulle medesime questioni ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Secondo assunto del ricorrente non era necessario impugnare tutte le delibere assembleari approvative di spese poiché si trattava pur sempre di spese ripartite i via provvisoria e salvo conguaglio all'esito dei giudizi pendenti.

I due motivi di censura venivano esaminati congiuntamente, essendo accumunati da profili di inammissibilità.

Inammissibilità del ricorso: principio del "doppia conforme".

La Suprema Corte chiarisce nell'ordinanza l'inammissibilità del ricorso per cassazione che non possa essere impugnata, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello "che conferma la decisione di primo grado" e che, come nella fattispecie affrontata risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di prime cure (c.d. doppia conforme).

Posto ciò, secondo gli ermellini, non è più configurabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, costituendo, piuttosto, vizio di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. le ipotesi di "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", "motivazione apparente", "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (in tal senso, Cass. civ. S.U., 7 aprile 2014, n. 8053).

Sono parimenti inammissibili, alla luce dell'art. 366, comma 1, n. 4 e n. 6, c.p.c., le censure di violazione degli ipotetici giudicati esterni, poiché formatosi antecedentemente alla sentenza impugnata.

Modifica delle tabelle millesimali approvate

Gli ermellini precisano che se l'assemblea condominiale abbia approvato una tabella millesimale ed essa risulti viziata da errori originari o da sopravvenute sproporzioni (Cass. civ. sez. VI-II, 9 febbraio 2021 n. 3041), a tali situazioni deve comunque rimediare la maggioranza assembleare prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c., per ripristinare la correttezza aritmetica (art. 69, comma 1, disp. att. c.c.).

Posto ciò, non è consentito all'assemblea conferire all'amministratore o ad un tecnico un mandato volto a correggere eventuali errori delle tabelle millesimali da essa approvate (Cass. civ. sez. II. 12 gennaio 2021, n. 791). Né all'assemblea di condominio è consentito di deliberare validamente a maggioranza una ripartizione provvisoria dei contributi tra i condomini, a titolo di acconto salvo conguaglio, ove sono disponibili tabelle millesimali precedentemente approvate e non modificate (Cfr. Cass. civ. sez. II, 19 agosto 2021, n. 23128).

Presunta violazione dei giudicati esterni

Nella disamina della questione posto al vaglio di legittimità la Corte rileva che la ricorrente ha censurato la violazione dei giudizi esterni formatisi prima della sentenza impugnata.

Il principio che consente il rilievo nel giudizio di cassazione del giudicato esterno, formatosi successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all'art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, come nella specie, in un giudizio che si riferisce ad un diverso rapporto giuridico, non assumendo in tali casi il dedotto giudicato alcuna valenza enunciativa della "regula iuris" alla quale la Cassazione ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, potendosene, piuttosto, ravvisare la sua astratta rilevanza soltanto in relazione a valutazioni di stretto merito non utilmente deducibili nel giudizio di legittimità.

Legittimazione attiva del condomino

Per completezza, la Suprema Corte precisa, altresì, nella disamina del secondo motivo di ricorso, che l'interesse di un condomino ad impugnare una delibera, ex art. 1137 c.c., suppone un suo interesse giuridicamente rilevante.

Di conseguenza, l'interesse ad agire per l'impugnazione alla delibera condominiale, sotto il profilo processuale, non può automaticamente risolversi nella sola qualità di condomino dell'attore (quindi della legittimazione attiva), dovendo l'attore prospettare una lesione individuale di rilievo patrimoniale correlata alla delibera impugnata e così rilevare quale utilità concreta potrebbe ricevere dall'accoglimento della domanda (Cass. civ. sez. VI-II, 9 marzo 2017, n. 6128).

Alla luce di quanto argomentato, è assolutamente condivisibile la dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Suprema Corte in quanto applicabile la regola della c.d. "doppia conferma", enunciando, altresì, il principio in merito alla possibilità di correzione delle tabelle millesimali approvate, solo attraverso il successivo vaglio dell'assemblea e non delegare l'amministratore oppure un tecnico per tali modifiche, come sostenuto nelle pronunce dei giudici di primo e secondo grado.

In conclusione, la Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente a rimborsare alla contro ricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione.

Sentenza
Scarica Cass. 3 agosto 2022 n. 24085
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