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Infiltrazioni e modifica 'di fatto' della destinazione d'uso del proprio immobile

Non sempre il mutamento incide sulla dinamica del danno prodottosi nell'unità immobiliare la cui destinazione è stata variata.
Avv. Caterina Tosatti 

La questione che vedremo essere stata trattata dalla pronuncia in commento affronta, per quanto tangenzialmente, una questione che suscita vivi dibattiti nelle compagini condominiali, quando alcuni condòmini modificano 'di fatto' la destinazione d'uso del proprio immobile.

La sentenza n. 3273/2017 del Tribunale di Firenze ha ritenuto che detto mutamento non avesse inciso sulla dinamica del danno prodottosi proprio nell'unità immobiliare la cui destinazione era stata variata.

Infiltrazioni e destinazione d'uso dell'immobile. Fatto e decisione

Tizio e Caio citano in giudizio il Condominio all'interno del quale possiedono due unità immobiliari accatastate come magazzino, collocate nel seminterrato.

Tizio e Caio lamentano danni da infiltrazioni risalenti nel tempo, note al Condominio e collegate alla cattiva manutenzione delle parti comuni, come peraltro provato da una relazione tecnica redatta su incarico dello stesso Condominio.

Detta relazione aveva riscontrato l'irregolarità degli impianti reflui del Condominio, perché il pozzetto di raccolta delle acque meteoriche provenienti dalla copertura condominiale, ubicato al confine con la proprietà di Tizio, risultava del tutto sottodimensionato per ricever le acque di tre pluviali e irregolarmente collegato alla fossa biologica condominiale, anziché al portavia collegato al fognone.

La stessa relazione indicava, come opere da eseguire con urgenza, la sostituzione del pozzetto con altro di dimensioni maggiori e la realizzazione del nuovo pozzetto a norma, con scarico non più in fossa biologica, ma direttamente sul tubo portavia intercettandolo a valle della fossa e verso il fognone comunale.

Il Condominio non risulta aver mai intrapreso tali opere e, di qui, sostengono Tizio e Caio, il danno occorso alle loro unità.

Costituitosi in giudizio, il Condominio eccepisce che Caio non aveva diritto ad alcunché, non avendo mai avanzato pretese risarcitorie in sede stragiudiziale ed eccepisce inoltre che le unità immobiliari degli attori siano abusive, in quanto utilizzate come abitazioni, pur essendo accatastate come magazzini, con realizzazione di un servizio igienico, peraltro assentito dal Condominio 'per quieto vivere' alcuni anni prima.

Secondo il Condominio, la domanda va rigettata, non potendo il titolare di un immobile abusivo chiedere i danni che ha sostanzialmente creato con la sua condotta abusiva o chiedere il risarcimento per la perdita e deterioramento di oggetti connessi al mutato uso abitativo e che non dovevano trovarsi lì; sul fatto che i danni fossero stati creati dalle unità abusive ed a causa del loro utilizzo difforme, sostiene il Condominio che già in passato era intervenuto per rispristinare una tubazione che collegava il servizio igienico realizzato nelle due unità alla fossa biologica, pur essendo un lavoro che doveva accollarsi Tizio.

Con la pronuncia su evidenziata, il Tribunale di Firenze accoglie la domanda di risarcimento di Tizio e Caio, nei termini che vedremo.

Innanzitutto, a fronte della CTU svolta nel corso del giudizio, il Tribunale osserva che la causa del danno deriva da impianti o comunque cose comuni, quindi afferenti al Condominio e non alle proprietà di Tizio e Caio, condòmini.

Per tale motivo, sussiste la responsabilità per danni da cose in custodia del Condominio, che dal 2012 conosceva l'origine delle infiltrazioni e le opere da compiere e mai vi aveva provveduto.

Secondo il magistrato, la difesa del Condominio in punto di abusività della destinazione d'uso dell'immobile o, meglio, di non diritto al risarcimento a cagione dell'abusività, non regge.

Il Giudice rileva che l'allacciamento del servizio igienico alle fosse biologiche comuni era stato avallato dal Condominio, come peraltro ammesso dallo stesso e che secondo la CTU non sussisteva nesso di causalità tra detto allacciamento e le esondazioni createsi.

Cambio di destinazione d'uso, alcune considerazioni

Considerazioni conclusive

Quando trattiamo di questioni connesse alle regole edilizie ed urbanistiche, connesse alla responsabilità civile, si confondono spesso i piani del ragionamento.

Cerchiamo di vedere allora cosa ci riporta la giurisprudenza sul punto.

La Cassazione, in sede penale, Sez. III, con la sentenza del 05 aprile 2016, n. 26455, affermava che "Nel caso di specie si è verificato un cambio di destinazione d'uso, realizzato mediante opere edilizie, di alcuni locali da cantina - garage ad abitazione, ovvero dalla categoria d'uso non residenziale alla diversa categoria d'uso residenziale.

Un tale cambio di destinazione, pacificamente realizzato in difformità rispetto alla d.i.a. presentata dall'interessata, configura il reato contestato, trattandosi di un'opera di ristrutturazione edilizia presa in considerazione dalla legislazione della Regione Lazio ai sensi del D.P.R n. 380 del 2001, art. 10, comma 2. Tale ultima disposizione prevede, infatti, che le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobile o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività.

E la Regione Lazio, con la L.R. n. 36 del 1987, art. 7, comma 3, nella sua formulazione attualmente vigente, ha stabilito che le modifiche di destinazione d'uso con o senza opere a ciò preordinate, quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, sono subordinate al rilascio di apposita permesso di costruire, mentre quando riguardano gli ambiti di una stessa categoria sono soggette a denuncia di inizio attività da parte del sindaco.

La disciplina regionale, adottata ai sensi del richiamato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 2, nel richiedere il permesso di costruire per il mutamento di destinazione d'uso con passaggio dall'una all'altra categoria urbanistica, non fa alcun riferimento alla necessaria inclusione degli immobili in una particolare zona omogenea dello strumento urbanistico.

Ed essa prevale, in ogni caso, sulla disciplina generale di cui al precedente D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), a norma del quale sono subordinati al permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino mutamenti della destinazione d'uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A. Si tratta di una disciplina che, nel suo complesso, si pone in armonia con quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di reati edilizi, nel senso che il mutamento di destinazione d'uso senza opere è assoggettato a d.i.a. (ora SCIA), purché intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d'uso sia eseguito nei centri storici, anche all'interno di una stessa categoria omogenea.

E, come sottolineato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte le sanzioni previste per il cambio di destinazione d'uso risultano giustificate dall'esigenza di scongiurare il pericolo di compromissione degli equilibri prefigurati dagli strumenti urbanistici in relazione al corretto e ordinato assetto del territorio.

Ne deriva, quanto al caso in esame, che l'intervento edilizio oggetto dell'imputazione avrebbe dovuto essere eseguito con permesso di costruire."

Ed ancora, sempre Cassazione, in sede penale, Sez. III, sentenza dell'08 novembre 2018, n. 6366, affermava che "In materia edilizia, deve ritenersi consentita la modifica di destinazione d'uso funzionale dell'immobile, purché non comporti una oggettiva modificazione dell'assetto urbanistico ed edilizio del territorio e non incida sugli indici di edificabilità̀, che non determini, cioè̀, un aggravio del carico urbanistico, inteso come maggiore richiesta di servizi cosiddetti secondari, derivante dalla diversa destinazione impressa al bene.", mentre, per la materia urbanistica, ancora la medesima Sezione III, con la sentenza del 16 ottobre 2014, n. 3953, ricordava che "In tema di reati urbanistici, il mutamento di destinazione d'uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo irrilevanti le modifiche apportate dall'art. 17 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014) all'art. 3 del citato d.P.R. che, nell'estendere la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, se comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d'uso. (Fattispecie relativa a trasformazione, attraverso opere interne ed esterne, di un immobile da deposito ad uso residenziale). (Dichiara inammissibile, Trib. lib. Napoli, 14/10/2013)."

Nel caso che ci occupa, in particolare, l'asserita abusività dell'immobile non risultava però essere stata causa dei danni al medesimo provocati dall'esondazione del pozzetto comune.

Sentenza
Scarica Trib. Firenze 16 ottobre 2017 n. 3273
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