Un'interessante pronuncia, quella di oggi, perché permette di esaminare ancora una volta il delicato intreccio tra proprietà solitaria e beni asserviti a tutti i condòmini tracciandone l'origine alla nascita del Condominio, momento delicato che determina le sorti dell'edificio e della regolamentazione delle potestà private, come spesso scriviamo su queste pagine.
Locale caldaia non comune e servitù per destinazione del padre di famiglia. La pronuncia
Alfa Srl cita in giudizio Tizio e Beta Srl onde domandare il risarcimento del danno derivante dalla rimozione, a cura dei convenuti, della caldaia centralizzata posta a servizio delle unità di proprietà di Alfa all'interno di un Condominio.
Sostiene infatti Alfa Srl che Tizio e Beta Srl, in occasione di lavori di rifacimento degli impianti del Condominio, avrebbero arbitrariamente eliminato detta caldaia, precisando che il Condominio era prima dotato di due caldaie, l'una a servizio dei piani superiori, collocata in un determinato locale, l'altra a servizio del solo piano terra e posta in diverso locale, cosicché la rimozione eventuale della prima caldaia non avrebbe creato alcun problema, dato che le unità dei piani superiori si erano distaccate dal riscaldamento, ma la seconda caldaia, asservita al piano terra, era necessaria essendo gli immobili qui siti ancora allacciati, costretti poi, a seguito dell'opera di Tizio e Beta Srl a dotarsi di impianto autonomo.
Non solo: Tizio e Beta Srl avrebbero, nella ricostruzione di Alfa Srl, realizzato una caldaia autonoma nel locale ove era collocata la precedente caldaia al servizio del piano terreno e allo scopo avrebbero utilizzato una canna fumaria prima collegata alla caldaia condominiale.
Alfa Srl chiede quindi di vedere ristorato il danno derivante dalla necessità di realizzare impianti di riscaldamento autonomi nelle unità immobiliari di sua proprietà, nonché il risarcimento del danno derivante dalla necessità di ridurre il canone di locazione richiesto ai conduttori delle medesime a cagione della situazione creatasi per opera di Tizio e Beta Srl, infine instando per la condanna di Tizio e Beta Srl a realizzare autonoma canna fumaria a servizio della loro proprietà con contestuale distacco dalla canna condominiale.
Il Tribunale rigetta le istanze di Alfa Srl, sulla scorta della mancata prova che caldaia e canna fumaria in questione fossero di natura comune e che la loro eliminazione avesse cagionato danni ad Alfa Srl.
Alfa Srl appella la sentenza, censurando in particolare la motivazione addotta dal Giudice di prime cure circa la natura privata del locale caldaia e la conclusione per cui l'eventuale diritto sulla caldaia condominiale si sarebbe estinto per il non uso.
La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 591 del 26 gennaio 2023, rigetta l'appello, pur non condividendo appieno il percorso logico argomentativo del primo grado.
La nascita della proprietà privata e comune in Condominio
Il ragionamento del collegio prende le mosse dalla disamina della natura del locale ove era situata la caldaia rimossa da Tizio e Beta Srl, il quale, alla luce degli atti di causa, risulta di proprietà esclusiva dei medesimi.
Mutuando la recente Cassazione, ordinanza n. 35514 del 19 novembre 2021, la Corte d'Appello osserva che sia indiscutibile come tra le parti comuni del Condominio, ex art. 1117 c.c., rientrino anche i cc. dd. volumi tecnici, cioè tutto ciò che è destinato a contenere gli impianti tecnici del fabbricato (come vani ascensore, caldaia, autoclave, contatori) o altri beni comuni (come il vano scale) e quelli insuscettibili di separato o autonomo godimento, per essere vincolati all'uso comune, in virtù della loro naturale destinazione o della loro connessione materiale e strumentale rispetto alle singole parti dell'edificio.
Ma detto collegamento funzionale e relazione di accessorietà devono essere presenti prima e comunque alla nascita del Condominio (frazionamento dell'unica proprietà privata) allo scopo di poter affermare che sussista una natura comune del bene, cioè che il bene sia di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 c.c.; se invece il rapporto di funzione ed accessorietà nasce dopo il Condominio, allora non avremo un bene in comunione tra i condòmini, bensì una servitù a favore dei condòmini ed a carico di una porzione esclusiva.
Ed ancora. Come noto, la natura comune di un bene ai sensi dell'art. 1117 c.c. può essere superata unicamente dando prova di "titolo contrario": ebbene, rammenta la Corte, detto titolo contrario può essere costituito unicamente dal titolo che ha dato luogo alla originaria formazione del Condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali o, in parole povere, il primo atto di vendita dall'unico proprietario (dell'intero edificio) ad un altro soggetto, che determina la presenza di due proprietari e la nascita del Condominio, cosicché "Quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'art. 1117 c.c., poiché la prova della proprietà esclusiva dimostra, al contempo, la comproprietà dei beni che detta norma contempla, onde vincere la presunzione è onere dello stesso condomino rivendicante dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell'atto costitutivo del condominio (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852)".
Tradotto: se un soggetto asserisce di essere proprietario esclusivo di un bene che 'normalmente' sarebbe di natura comune, non dovrà tanto produrre l'atto con cui egli ha acquistato quel bene, quanto il primo atto di acquisto di una proprietà privata sita nel Condominio ove sia chiarito che quel bene rimane al venditore oppure sarà di proprietà esclusiva del compratore o di un altro.
Nel caso che coinvolge Alfa Srl, Tizio e Beta Srl, risulta dagli atti di causa che la relazione di accessorietà tra il locale caldaia e il Condominio preesistesse alla nascita dell'ente di gestione: ciò significa che la Corte, una volta attestata la potenziale natura di parte comune di quel locale (accertato il rapporto di accessorietà), deve verificare che non sussista un titolo contrario, che disponga che quel bene è di natura esclusiva di uno o più condòmini.
Ribadendo, come noto, che la prova del titolo contrario incombe sul condòmino o soggetto che adduca di essere proprietario del bene, la Corte rileva che Alfa Srl ha dato tale prova, in quanto ha prodotto già in I° l'atto di acquisto a titolo esclusivo da parte di Tizio e Beta Srl del locale caldaia in questione il quale, al contempo, era anche il primo atto di acquisto di unità immobiliare collocata nel Condominio in parola e, pertanto, costituiva titolo idoneo ad escludere la comunione dei condòmini sul bene ai sensi dell'art. 1117 c.c.
Come riconoscere una servitù per destinazione del padre di famiglia
Chiarito così che il locale caldaia risulta di proprietà di Tizio e Beta Srl, la Corte rileva tuttavia che risulta altrettanto chiaro dagli atti di causa che al momento della nascita del Condominio, era quivi presente una caldaia posta al servizio dei locali della Alfa Srl.
Sostanzialmente, Alfa Srl era proprietaria di un locale che conteneva la caldaia a servizio dei piani superiori - non più necessario perché questi si erano distaccati dal centralizzato già prima della nascita del Condominio - mentre Tizio e Beta Srl avevano acquistato il locale ove era posta la caldaia a servizio del piano terra, per cui anche degli immobili di Alfa Srl.
Da una siffatta situazione discende, secondo la Corte, che l'originario costruttore e/o proprietario abbia creato una servitù per destinazione del padre di famiglia tra il locale poi giunto a Tizio e Beta Srl e gli immobili di Alfa Srl.
I presupposti per la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia, ci ricorda la Corte d'Appello, sono indicati da costante giurisprudenza nel senso che, per aversi tale fattispecie acquisitiva, occorre:
- che i due fondi, appartenuti in origine allo stesso proprietario, siano da lui posti in una situazione di oggettiva subordinazione o di servizio, l'uno rispetto all'altro, atta ad integrare di fatto il contenuto di una servitù prediale;
- che tale situazione persista o perduri nel momento in cui i due fondi cessino di appartenere al medesimo proprietario;
- l'esistenza di opere visibili e permanenti evidenzianti, in termini inequivoci, la relazione di asservimento;
- l'assenza di disposizioni relative alla servitù - recte, la mancanza di una manifestazione di volontà, da parte dell'originario proprietario dei due fondi, che, all'atto di divisione, cioè quando vende uno dei due ad altro soggetto, disponga di non ritenerlo asservito al primo o viceversa.
Non rileva, invece, la sussistenza di una manifestazione di volontà negoziale, poiché sono sufficienti il fatto oggettivo dello stato di servizio esistente tra un fondo e l'altro al momento della loro separazione e la mancanza di una volontà contraria.
Il relativo accertamento è quindi incentrato sul fatto oggettivo ed è sganciato dall'indagine su una volontà espressa o tacita del proprietario diretta alla costituzione della servitù medesima.
Il requisito per l'acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia non è quindi una manifestazione di volontà negoziale bensì la sua apparenza, cioè l'esistenza di segni visibili che si concretino in opere permanenti, necessarie per l'acquisto della servitù e rivelatrici della sua esistenza.
A questo punto, la Corte riforma il ragionamento del Giudice di prime cure: esiste, alla luce di quanto sopra, una servitù per destinazione del padre di famiglia (originario unico proprietario che vendette ad Alfa Srl ed a Tizio e Beta Srl) imposta al locale caldaia poi andato a Tizio e Beta Srl ed a favore degli altri immobili posti al piano terra, tra i quali quelli di proprietà di Alfa Srl.
Inoltre, ha errato il Giudice di prime cure a ritenere l'estinzione per non uso del diritto.
Infatti, costui aveva dedotto, pur non individuando (almeno così pare dalla narrativa della sentenza) l'esistenza di una servitù, che il mancato uso della caldaia e la realizzazione dell'impianto autonomo da parte di Alfa Srl deponessero a favore di un'assenza di diritti sul locale o, anche ove presenti, alla loro estinzione per non uso.
Ma la Corte precisa che, nel caso di specie, il non uso che determina estinzione della servitù per prescrizione (art. 1073 c.c.) non era rilevante perché non poteva essere decorso il termine ventennale: infatti, essendosi costituito il Condominio nel 2006 ed essendo pertanto venuta in essere la servitù sul locale caldaia nel medesimo anno, il ventennio scadrà nel 2026, non prima.
Conclusione, Tizio e Beta Srl, rimuovendo la caldaia, hanno violato la servitù loro imposta dal costruttore/originario proprietario.
Rimozione della caldaia illegittima, ma danni non provati
Accertato che la rimozione della caldaia fu illegittima, la Corte passa ad esaminare la serie di voci di danno richieste da Alfa Srl, le quali vengono tutte respinte.
In primis, il rimborso dei costi per l'impianto autonomo realizzato da Alfa Srl, pure stabilito in CTU di I°, non può essere riconosciuto, perché lo stesso CTU, in mancanza di adeguata documentazione prodotta dalla Alfa Srl, non poteva se non quantificare il "presumibile" costo, non il costo "sostenuto", come richiesto dal Giudice che lo aveva nominato.
E siccome, in tema di responsabilità extracontrattuale, la prova del danno subìto grava, ai sensi dell'art. 2697 c.c., su chi propone la domanda e, nel caso in cui il danno conseguenza sia un danno emergente determinato dal pagamento di somme di denaro, risulta esigibile la prova dell'avvenuto pagamento, non avendo la Alfa Srl prodotto nulla di tutto ciò, ma unicamente una fattura, peraltro non quietanzata, riportante voci di lavoro inconferenti con i danni lamentati, la domanda in merito deve essere rigettata.
Anche la domanda di risarcimento del danno derivante dal prolungamento dei termini di ultimazione dei lavori viene rigettata in quanto Alfa Srl non aveva prodotto il contratto di appalto, ove i tempi di esecuzione avrebbero dovuto essere previsti e, quindi, apprezzati dal Giudice, mentre i lavori dedotti non sono distinguibili tra quelli che sarebbero stati eseguiti in ogni caso e quelli dovuti alla condotta di Tizio e Beta Srl, cosicché il prolungamento dei lavori a cagione degli stessi non è provato.
Circa poi la riduzione del canone di locazione praticata dalla Alfa Srl, che sosteneva, in ragione dell'assenza dell'impianto di riscaldamento autonomo, di aver dovuto locare il proprio immobile ad un canone inferiore rispetto a quello di mercato, la circostanza da un lato non risulta provata, in quanto non vi è riscontro dell'ammontare del canone di locazione pattuito e dei valori di mercato, dall'altro, anche ove la riduzione del canone fosse stata provata, sarebbe stata imputabile all'esercizio dell'autonomia negoziale delle parti.
Peraltro, potrebbe altresì trattarsi di una circostanza rilevante ai fini dell'art. 1227 c.c., poiché la scelta di far incidere un costo fisso (l'esecuzione dei lavori per cui è causa) su un'entrata costante e di lunga durata (l'ammontare dei canoni di locazione), costituisce una scelta potenzialmente antieconomica costitutiva di un danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.