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Cambio di destinazione, innovazione e uso comune in condominio: la Corte di Cassazione fa il punto

Modifica della destinazione d'uso: quali limiti?
Avv. Marcella Ferrari - Foro di Savona 

In tema d cambio di destinazione d'uso dell'unità immobiliare - da appartamento a locale commerciale - la Cassazione ha ritenuto che tale mutamento «incide sulla fruizione del bene e riverbera soggettivamente sull'interesse collettivo a mantenere o meno le destinazioni originarie delle varie unità di cui è composto il condominio e […] giustifica pertanto il passaggio attraverso la deliberazione assembleare» (Corte Cass., sez. II, ordinanza del 5 giugno 2019 n. 15265).

Inoltre, la decisione in commento si sofferma sulla differenza, oggettiva e soggettiva, intercorrente tra innovazione e uso comune (artt. 1120 e 1102 c.c.).

La vicenda. All'interno di uno stabile, due condomini modificavano la destinazione d'uso di un'unità abitativa e la adibivano a locale commerciale, con la creazione di un'apposita scala esterna in muratura, che garantiva loro un accesso autonomo.

Il Condominio evocava in giudizio i due comproprietari e chiedeva loro di ripristinare lo stato dei luoghi.

Infatti, la suddetta modifica era avvenuta in violazione del regolamento condominiale e senza il rispetto delle maggioranze assembleari richieste.

In primo grado, la richiesta attorea veniva rigettata, mentre in appello, il giudice accoglieva le doglianze del Condominio. Si giunge così in Cassazione.

Modifica della destinazione d'uso. Nel caso in esame, i proprietari dell'appartamento, ne avevano modificato la destinazione, trasformandolo in un negozio. Ricordiamo che con "destinazione d'uso" [1] s'intende la funzione che il bene ha assunto sin dall'inizio: l'unità abitativa, nella fattispecie oggetto di scrutinio, è un appartamento ed i proprietari l'hanno adibito a locale commerciale.

È lecita una simile modifica?

In linea generale, ciascun proprietario può trasformare o adibire il bene all'uso che gli è necessario, nel rispetto della legge, dell'ordine pubblico e del buon costume. Tuttavia, se il suddetto bene si trova in un condominio, tale diritto può risultare compresso.

Infatti, talvolta, il regolamento condominiale contrattuale richiede un'apposita delibera assembleare per approvare la modifica, ovvero contiene clausole volte a limitare lo svolgimento di «attività incompatibili con la tranquillità dei condomini, con il decoro dell'edificio e con la sicurezza pubblica» - come nel caso in esame - o, ancora, prevede il divieto di modifica di destinazione d'uso del bene.

Un simile divieto, qualora esistente, può essere superato solo con l'unanimità dei condomini.

Nella fattispecie esaminata, i convenuti non avevano ottenuto consenso unanime degli altri comunisti, pertanto il divieto regolamentare non era stato legittimamente superato.

Il cambio di destinazione d'uso del locale rende incolpevole il condominio.

Inidoneità delle autorizzazioni amministrative a superare il regolamento condominiale. I due proprietari si difendevano sostenendo di aver operato la modifica, in virtù delle autorizzazioni amministrative ottenute.

Ricordiamo che, per "innovare" la destinazione d'uso di un immobile, occorre istruire una pratica in Comune relativa al cambiamento di destinazione urbanistica.

Nel caso di specie, i comproprietari dell'immobile si erano attivati in tal senso, tuttavia, l'autorizzazione amministrativa, rilasciata dall'ente pubblico, non supera il contenuto del regolamento contrattuale.

Il provvedimento amministrativo, infatti, non può incidere negativamente sulle posizioni soggettive degli altri condomini (Cass. n. 20985/2014).

Quindi, il condomino che intende modificare la destinazione d'uso della propria unità immobiliare è tenuto ad agire su un duplice piano, civilistico (relativo ai rapporti interni) e pubblicistico (afferente rapporti esterni): si tratta di due strade parallele, che non interferiscono l'una con l'altra, ma che devono essere percorse congiuntamente.

Riassumendo, per modificare legittimamente la destinazione d'uso, i convenuti avrebbero dovuto:

  1. ottenere l'autorizzazione assembleare richiesta dal regolamento contrattuale (in virtù dei rapporti interni tra condomini);
  2. chiedere le autorizzazioni amministrative al Comune (in base ai rapporti tra i proprietari del bene e la Pubblica Amministrazione).

Veniamo ora al cuore della decisione, ossia la qualifica delle opere svolte dai convenuti sulle parti comuni come innovazioni e non come mere modifiche.

Tale qualificazione assume particolare rilievo in quanto, nel primo caso, occorre una delibera assembleare, che non si rende necessaria nel secondo.

Bed and Breakfast in condominio, nessun cambio di destinazione d'uso degli appartamenti

Innovazione e uso dei beni comuni. I proprietari convenuti si difendono sostenendo che le modifiche da loro operate (come la creazione della scala esterna) non costituiscano un'innovazione (art. 1120 c.c.), ma un mero uso della cosa comune (art. 1102 c.c).

Secondo i giudici di merito, invece, le opere effettuate avevano comportato un'alterazione dell'estetica e della simmetria del fabbricato, in ragione di ciò dovevano qualificarsi come innovazioni.

La Corte condivide tale ricostruzione ed illustra la differenza tra le due fattispecie, sotto il profilo oggettivo e soggettivo.

  1. l'innovazione incide sull'essenza del bene comune, infatti, ne altera la funzione originaria, unitamente alla destinazione (aspetto oggettivo); inoltre, attribuisce rilievo all'interesse collettivo, che si esprime attraverso una maggioranza qualificata in assemblea (aspetto soggettivo);
  2. l'uso della cosa comune è una facoltà spettante a ciascun comproprietario per utilizzare al meglio il bene, con il limite di non impedire agli altri di farne parimenti uso e di non alterarne la destinazione (aspetto oggettivo); l'uso della cosa comune è espressione dell'interesse particolare del singolo condomino, non si confronta con l'interesse generale e non richiede interventi da approvare in assemblea (aspetto soggettivo).

La giurisprudenza è costante nell'affermare che innovazione ed uso della cosa comune non siano due norme sovrapponibili (Cass. n. 945/2013; Cass. n. 18052/2012; Cass. n. 20712/2017), in quanto hanno presupposti ed ambiti applicativi differenti (artt. 1120 e 1102 c.c.).

Innovazione e maggioranza assembleare. Le innovazioni comprendono qualsiasi opera nuova, che alteri, integralmente o parzialmente, la destinazione di fatto o di diritto della cosa comune, eccedendo dall'ordinaria amministrazione o dal mero godimento.

Si tratta di un'alterazione materiale della destinazione originaria del bene, che incide sull'interesse comune.

Le opere sono dirette al miglioramento, all'uso più comodo o al maggior rendimento delle parti comuni (art. 1120 c. 1 c.c.) Per questa ragione, i condomini devono poter valutare la convenienza dell'innovazione, anche se apportata da uno solo di essi a proprie spese.

Pertanto, le innovazioni che siano dirette al miglior godimento dei beni comuni o ad un uso più comodo sono ammesse, purché approvate con la maggioranza dei 2/3 del valore dello stabile; in altre parole, occorrono almeno 667 millesimi.

Altre innovazioni, come quelle che riguardino l'abbattimento delle barriere architettoniche (art. 1120 c. 2 c.c.), richiedono la maggioranza della metà del valore dell'edificio, quindi di almeno 500 millesimi.
Esempi classici di innovazioni sono: l'installazione di un ascensore in un condominio che non lo abbia (Cass. n. 1529/2000); adibire un'area condominiale a parcheggio stante il cambiamento di destinazione (Cass. n. 26295/2014)

La mera modifica non costituisce innovazione: casistica. Non qualsiasi modifica della cosa comune si traduce in un'innovazione. In estrema sintesi, può dirsi che la modifica ha ad oggetto il migliore godimento del bene comune, da parte di uno o più condomini, non ne altera l'essenza e, quindi, non comprime gli interessi degli altri comproprietari; l'innovazione, invece, rappresenta un mutamento essenziale della cosa comune.

È stata ritenuta una mera modifica l'installazione di un cancello a chiusura del cortile condominiale, giacché non incide sull'essenza e sulla destinazione della cosa comune, ma ne regola le modalità di accesso (Trib. Teramo 547/2015; Cass. n. 4340/2013); non costituisce innovazione il restringimento del viale di accesso pedonale, perché la destinazione originaria rimane immutata (Cass. n. 21256/2009); rientra nella regolamentazione dell'uso ordinario della cosa comune, la chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo, ove si trovano i posti macchina condominiali, per impedirne a terzi estranei l'accesso indeterminato (Cass. n. 875/1999); la sostituzione di un ascensore usurato con uno nuovo non costituisce innovazione, in quanto è mantenuta l'originaria destinazione del vano (Cass. n. 4646/1981)

Conclusioni. Nel caso in esame (Cass. Ord. n. 15265/2019), la Cassazione ha ritenuto che il cambio di destinazione dell'unità abitativa - da appartamento a locale commerciale - abbia determinato un mutamento tale da incidere sulla fruizione del bene; inoltre, una simile modifica si riverbera sull'interesse collettivo di mantenere le destinazioni originarie attribuite alle singole unità da cui è composto lo stabile.

Per questa ragione, una trasformazione così significativa richiede il passaggio attraverso la deliberazione dell'assemblea.

Il ricorso proposto dal Condominio, quindi, viene accolto ed i proprietari sono condannati a ripristinare lo status quo: riportando l'unità ad abitazione ed eliminando la scala esterna, costruita per meglio fruire della mutata destinazione del bene.


[1] Per completezza espositiva, si ricorda che l'art. 1117 ter c.c. prevede la modifica di destinazione d'uso delle parti comuni. Infatti, per soddisfare l'interesse collettivo dei condomini, l'assemblea ha il potere di modificare la destinazione d'uso di alcuni beni comuni (si pensi al locale portineria adibito a locale lavanderia).

Il quorum assembleare per una siffatta modifica è molto alto: 4/5 dei partecipanti e 4/5 del valore del condominio (800 millesimi).

Inoltre, la convocazione dell'assemblea deve essere affissa per non meno di 30 giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno 20 giorni prima della data di convocazione.

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione--15265-2019
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