Condominio Web: Il portale N.1 sul condominio
Iscriviti alla
Newsletter
chiudi
Inviaci un quesito

Il Tribunale può convocare l'assemblea di condominio?

Considerazioni sull'assemblea coattiva: ha senso che il giudice imponga ai condòmini di riunirsi anziché sostituirsi direttamente a loro in caso di inerzia?
Avv. Mariano Acquaviva 

L'inerzia condominiale può costare cara: la paralisi della gestione può infatti avere gravi ripercussioni anche sulle singole unità abitative. Si pensi a un palazzo privo di ascensore in cui le scale versano in pessime condizioni, oppure a un edificio le cui autorimesse sotterranee sono praticamente inaccessibili per via dello stato della rampa.

Per far fronte a queste pericolose stasi, la legge ha predisposto alcuni strumenti che consentono anche al singolo condomino di agire nell'interesse della comunione. È in questo contesto che si pone il seguente quesito: il tribunale può convocare l'assemblea di condominio? Sul punto si registra un'interessante pronuncia che, seppur risalente nel tempo, offre l'occasione di approfondire la questione. Ma procediamo con ordine.

Chi può convocare l'assemblea condominiale?

Com'è noto, l'amministratore è il soggetto individuato dalla legge (art. 66 disp. att. c.c.) come responsabile della convocazione assembleare.

Per essere più precisi, l'amministratore indice l'adunanza ogni volta che ve n'è bisogno e, in ogni caso, almeno una volta all'anno per l'approvazione del rendiconto.

I condòmini possono chiedere all'amministratore di procedere alla convocazione, ma egli vi è tenuto solamente se la richiesta proviene da almeno due condòmini che rappresentano un sesto del valore dell'edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione.

In mancanza dell'amministratore, l'assemblea tanto ordinaria quanto straordinaria può essere convocata a iniziativa di ciascun condomino.

Il giudice può convocare l'assemblea?

Nessuna norma di legge conferisce espressamente al giudice il potere di convocare l'assemblea in luogo dei soggetti normalmente legittimati, cioè l'amministratore e i condòmini.

Ciononostante, una sentenza del Tribunale di Modena del 24 febbraio 2009 ritiene riconducibile tale facoltà all'interno dell'alveo del quarto comma dell'art. 1105 c.c., a tenore del quale «Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore».

Secondo questo precedente, per fronteggiare l'inerzia condominiale il giudice può non soltanto adottare i provvedimenti necessari alla gestione della cosa comune oppure nominare un amministratore, ma perfino indire una sorta di "assemblea coattiva".

Poiché però il tribunale non può costringere i condòmini a prendere parte alla riunione, la logica conseguenza è che, se anche l'adunanza imposta dall'autorità giudiziaria non dovesse condurre a una decisione, dovrà essere nuovamente il giudice a intervenire, questa volta adottando direttamente il provvedimento maggiormente adatto al caso di specie.

Breve vademecum sulle regole riguardante l'assemblea ordinaria e quella straordinaria.

Insomma: secondo questa tesi giurisprudenziale, tra i provvedimenti che il giudice può adottare ex art. 1105 c.c. c'è anche quello di convocare l'assemblea, fissando la data (o magari il termine ultimo) in cui essa dovrà tenersi oppure semplicemente dando ordine al condomino più diligente di provvedere alla convocazione, rispettando l'ordine del giorno imposto con il provvedimento giudiziario (soluzione, quest'ultima, accolta proprio dal Tribunale di Modena).

"Assemblea coattiva": considerazioni conclusive

Vale la pena fare qualche considerazione conclusiva sull'effettiva utilità dell'adunanza imposta dall'autorità giudiziaria.

A parere dello scrivente, il ricorso all'assemblea coattiva può essere davvero utile quando occorre effettuare una scelta che solamente i condòmini possono adottare in maniera davvero consapevole.

Si pensi ad esempio alla necessità di conferire incarico a una ditta per l'esecuzione di importanti lavori di ristrutturazione la cui realizzazione è però subordinata all'accesso a determinati benefici fiscali: in un'ipotesi del genere, il giudice potrebbe preferire che la selezione dell'appaltatore sia effettuata direttamente da coloro che, successivamente, dovranno sostenere l'esborso.

L'assemblea per volontà giudiziaria assume i connotati di una scelta tutto sommato pilatesca ogni volta che il giudice avrebbe potuto immediatamente sostituirsi all'organo collegiale decretando d'imperio la soluzione più adatta al caso concreto, cioè assumendo direttamente il provvedimento necessario alla gestione della cosa comune.

L'atto del giudice, infatti, è un'ingerenza necessaria tutte le volte in cui l'inerzia condominiale renda urgente l'adozione di una decisione.

Limitandosi a convocare l'assemblea, il giudice entra in punta di piedi nel ménage condominiale, sperando che la sua decisione possa essere foriera di risultati concreti in seno all'adunanza.

Tuttavia, come già ricordato, l'assemblea coattiva potrebbe andare deserta o, comunque, condurre a un nulla di fatto qualora i quorum non siano raggiunti.

In un'ipotesi del genere, occorrerebbe nuovamente fare ricorso all'autorità giudiziaria affinché, questa volta, adotti direttamente il provvedimento di cui il condominio necessita.

Un doppio passaggio, quest'ultimo appena illustrato, che francamente potrebbe essere evitato se il giudice, con un po' più di coraggio, decidesse di assumere sin da subito i necessari provvedimenti nell'interesse della compagine, anziché auspicare che i condòmini si accordino durante l'assemblea imposta.

  1. in evidenza

Dello stesso argomento