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Il termine per l'impugnazione delle delibere

È interrotto dalla comunicazione al condominio dell'istanza di mediazione o dalla notifica dell'atto di citazione e non può essere ridotto dal regolamento.
Avv. Gianfranco Di Rago 

Il termine per l'impugnazione delle deliberazioni assembleari, fissato dalla legge in 30 giorni, può essere interrotto soltanto dalla comunicazione all'amministratore condominiale dell'istanza di mediazione o dalla notifica dell'atto di citazione.

Detto termine non può inoltre essere diminuito dal regolamento condominiale, nemmeno ove quest'ultimo abbia natura contrattuale. L'art. 1137 c.c., infatti, costituisce una disposizione di natura inderogabile e quindi non è nella disponibilità dei privati disporre in modo differente da quanto previsto dal legislatore.

L'impugnazione delle deliberazioni assembleari.

L'art. 1137 c.c., modificato dalla legge n. 220/2012 di riforma del condominio, parla espressamente di annullamento delle deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, che occorre promuovere dinanzi alla competente autorità giudiziaria nel termine perentorio di 30 giorni, a pena di decadenza.

Sono i famosi 30 giorni di cui tutti i condòmini sono giustamente preoccupati ogni volta che intendono contestare il deliberato assembleare.

Mentre in precedenza si poteva equivocare se l'azione diretta a fare accertare in giudizio l'invalidità delle delibere comprendesse o meno anche i casi di nullità delle stesse, la nuova versione dell'art. 1137 c.c. ha chiarito in modo definitivo che la stessa è finalizzata esclusivamente a ottenere una sentenza costitutiva di annullamento della volontà assembleare.

Resta quindi inteso che eventuali ragioni di nullità potranno essere contestate, in base alle regole generali, da chiunque vi abbia interesse, con un ordinario procedimento giurisdizionale di accertamento da avviare negli ordinari termini di prescrizione del diritto.

Per quanto riguarda l'annullamento delle delibere condominiali, il predetto termine di impugnazione di 30 giorni decorre dalla data dell'assemblea, per i condomini che vi abbiano partecipato, e dal ricevimento del relativo verbale assembleare, per i condomini assenti.

Con l'avvento della c.d. mediazione obbligatoria di cui al Dlgs n. 28/2010 anche le controversie condominiali sono state sottoposte alla condizione di procedibilità del previo esperimento di un tentativo di conciliazione.

Questo vuol dire che nel predetto termine di 30 giorni il condomino che intenda impugnare una deliberazione assembleare dovrà preliminarmente inviare un'istanza di mediazione, a mezzo del proprio legale, a un organismo che abbia sede nel luogo in cui si trova il giudice competente per il futuro ed eventuale giudizio, facendo comunque in modo che l'amministratore condominiale sia notiziato dell'avvio della mediazione entro il predetto termine di cui all'art. 1137 c.c..

La proposizione dell'istanza di mediazione, come previsto dalla legge, impedisce la decadenza dall'azione di impugnazione, anche se per una sola volta (a condizione, come avvertito, che nel menzionato periodo di tempo la domanda di mediazione pervenga al condominio).

Infine, in caso di fallimento della mediazione, il condomino deve provvedere a notificare l'atto di citazione in giudizio entro i successivi trenta giorni, decorrenti dal deposito del verbale di mediazione presso la segreteria dell'organismo (nonostante vi sia anche una giurisprudenza di merito, ormai decisamente minoritaria, che riduce detto termine, tenendo in considerazione anche il periodo di tempo decorso fino all'inoltro dell'istanza di mediazione).

Vale allora la pena di ribadire come soltanto con la comunicazione al condominio dell'istanza di avvio della mediazione o la notifica dell'atto di citazione per l'impugnazione giudiziale della delibera si possa effettivamente interrompere il termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c. Qualsiasi altra forma di contestazione rivolta dal condòmino all'amministratore, a prescindere dal contenuto e dal mezzo di comunicazione, lascia il tempo che trova e, soprattutto, non impedisce che la deliberazione assembleare diventi definitivamente obbligatoria per l'intera compagine condominiale, ivi ovviamente compresi gli assenti e i dissenzienti.

Ricordiamo a tal proposito che il primo comma dell'art. 1137 c.c. dispone che le deliberazioni adottate dall'assemblea conformemente alla legge sono (immediatamente) obbligatorie per tutti i condòmini.

L'unico modo per evitare che si consolidi detta obbligatorietà è per l'appunto quello di impugnarle per farne accertare in giudizio la contrarietà alla legge.

Ma, come detto, i condòmini decadono dalla relativa azione una volta trascorso il periodo di 30 giorni previsto dal comma 2 della medesima disposizione.

Trascorso tale termine non è più possibile contestare la validità e quindi l'efficacia obbligatoria della deliberazione.

Vale ancora la pena di ribadire che le deliberazioni assembleari sono immediatamente efficaci. Questo vuol dire che le stesse sono obbligatorie anche per chi si sia tempestivamente attivato in sede di mediazione e/o giudiziale per farne accertare l'invalidità.

Quindi anche durante il procedimento di mediazione e/o quello giudiziale, quest'ultimo notoriamente destinato a durare per qualche anno, la deliberazione impugnata esplica comunque i propri effetti e tutti i condòmini sono tenuti a osservarne il contenuto.

L'unico modo per impedire che ciò avvenga è quello di richiedere in giudizio (in questo caso la mediazione non è obbligatoria) la sospensione dell'efficacia della delibera, prima o contestualmente all'avvio del procedimento di impugnazione.

Si tratta però di un procedimento cautelare, come ben indicato dall'art. 1137 c.c. post riforma, ragion per cui il condòmino potrà ottenere la sospensione solo ove riesca a dimostrare, oltre alla probabile fondatezza dell'impugnazione (c.d. fumus boni iuris), anche e soprattutto un pregiudizio imminente e irreparabile (c.d. periculum in mora).

Impugnazione delibera: giusto compensare le spese se non v'è stato sollecito stragiudiziale

Il regolamento condominiale e la riduzione del termine per impugnare le deliberazioni assembleari.

Si potrebbe pensare che, trattandosi della disciplina delle delibere assunte dal condominio, i condòmini possano stabilire dei termini diversi per l'impugnazione delle stesse. Per risolvere la questione occorre chiedersi se la disposizione di cui all'art. 1137 c.c. sia derogabile dalle parti?

Della questione si è occupata recentemente la Suprema Corte (Cass. civ., sez. VI, 21 settembre 2020, n. 19714).

I giudici di legittimità hanno evidenziato come in ambito condominiale debba sempre farsi applicazione di quanto previsto dall'art. 1138 c.c. (nonché, per analogia, dall'art. 72 disp. att. c.c.).

Il penultimo comma della disposizione or ora citata, per come modificata dalla legge n. 220/2012 di riforma del condominio, dispone espressamente che le disposizioni del regolamento condominiale non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni di cui agli articoli 1118, comma 2, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e, appunto, 1137.

In particolare l'art. 1138, penultimo comma, c.c., dichiara inderogabili le disposizioni del Codice Civile concernenti l'impossibilità di sottrarsi all'onere delle spese, l'indivisibilità delle cose comuni, il potere della maggioranza qualificata di disporre innovazioni, la nomina, la revoca e i poteri dell'amministratore, la posizione dei condomini dissenzienti rispetto alle liti, la validità e l'efficacia delle assemblee, l'impugnazione delle relative delibere.

Detta disposizione concerne quindi le regole relative alla dinamica dell'amministrazione e della gestione condominiale.

Si tratta di quell'insieme di norme poste dal Legislatore a presidio dei diritti dei condomini e del corretto funzionamento della gestione condominiale che, come tali, non possono essere cambiate neppure dai condòmini stessi.

L'inderogabilità di queste ultime disposizioni, come evidenziato dai giudici di legittimità, è assoluta e, pertanto, la relativa disciplina non può subire modifiche neppure in base a regolamenti contrattuali o ad altre convenzioni intercorse fra le parti.

Cosa comporta l'impugnazione di una delibera? Chi può impugnare? Le delibere sono tra loro autonome?

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