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Aperture di finestre e luci: il vicino può sempre chiedere l'eliminazione delle difformità

Differenza tra luci e vedute e applicazione delle norme all'interno di un edificio in condominio.
Avv. Alessandro Gallucci 

Luci e vedute sono delle aperture presenti nei muri. Esse hanno funzioni simili, ma differenti.

Luci e vedute, dette anche finestre, possono essere coeve alla edificazione dell'edificio oppure possono essere aperte successivamente.

O forse sarebbe il caso di domandarsi: luci e vedute non coeve all'edificazione dell'edificio possono essere aperte successivamente?

L'apertura di luci e vedute è soggetta ad una specifica normativa?

Senza prenderla larga, è comunque utile ricorda che il proprietario di una cosa, questo ci dice l'art. 832 c.c., ha diritto di godere di essa in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico.

La norma si applica ai beni mobili ed agli immobili e fa riferimento anche alle attività di modificazione e trasformazione che li possono riguardare.

Limiti ed obblighi. L'inciso è fondamentale e in particolare i limiti interessano l'argomento dell'apertura di luci e finestre.

Apertura di luci e vedute, la definizione

Il codice civile, in materia di apertura sui fondi, distingue due tipologie di finestre o di altre aperture.

Non ammette dubbi, sul punto, l'art. 900 c.c. che recita:

«Le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente».

La norma è scritta in modo chiaro e preciso sicché non paiono necessarie ulteriori parole per mettere in evidenza le differenze.

Luci, norme di riferimento e difformità

Soffermiamoci sulle luci.

L'art. 901 c.c. specificamente dedicato a questo genere di aperture, recita:

«Le luci che si aprono sul fondo del vicino devono:

  1. essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati;
  2. avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori;
  3. avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa».

Esse, per cercare di essere il più esplicativi possibile, sono quelle aperture alte non utilizzabili come affaccio e solitamente poste nelle case con soffitti molto alti o nei bagni. In tal caso, è evidente, la veduta non è cosa assolutamente impossibile, stante la possibilità di prendere una scala e così guardare fuori. Chiaramente l'uso normale e la loro conformazione (presenza grate) rendono la veduta sostanzialmente inesistente.

Le difformità delle luci dalle indicazioni di cui all'articolo 901 c.c. possono essere sempre sanate, restando sempre salva l'acquisizione per usucapione di eventuali servitù.

L'art. 902 c.c., dedicato all'apertura priva dei requisiti prescritti per le luci, specifica che:

«L'apertura che non ha i caratteri di veduta o di prospetto è considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall'art. 901.

Il vicino ha sempre il diritto di esigere che essa sia resa conforme alle prescrizioni dell'articolo predetto».

Tale ultima affermazione va comunque graduata in considerazione della proprietà del muro sulla quale è aperta: come specificato dalla Cassazione in ragione del contenuto del successivo art. 903 c.c., infatti, l'esistenza di una luce irregolare su un muro in comunione non esclude a priori la possibilità di acquisirla per usucapione. Ergo: non è detto che il vicino sul cui fondo è aperta la luce irregolare abbia sempre la possibilità di domandarne la chiusura (Cass. 9 novembre 2018 n.28804).

Luci irregolari, modalità di regolarizzazione

Oltre a quanto testé specificato, la Corte di Cassazione è sovente intervenuta in materia di regolarizzazione di luci.

Così, ad esempio, in una pronuncia datata gennaio 2013, la Corte nomofilattica ha specificato che l'apertura sul muro, la quale non possiede i caratteri di veduta o di prospetto, in ragione del fatto che consente di affacciarsi e guardare sul fondo vicino, va equiparata ad una luce, anche se non è conforme alle indicazione contenute nell'art. 901 c.c., con la conseguenza che è soggetta al relativo regime.

Ciò specificato, gli ermellini hanno affermato che «nell'ipotesi di luce irregolare, il vicino ha il diritto, previsto dal secondo comma dell'art. 902 cod. civ., di esigere che tale apertura sia resa conforme alle prescrizioni di cui all'art. 901 cod. civ., ovvero di chiuderla acquistando la comunione del muro ed appoggiarvi la propria fabbrica, o costruendo in aderenza» (Cass. 10 gennaio 2013, n. 512 ).

Che cosa posso ottenere dal mio vicino che ha aperto una finestra irregolare sulla mia proprietà?

Per regolarizzare un'apertura irregolare al fine di renderla una luce regolare, v'è la necessità di dotarla dei tre requisiti strutturali previsti dall'art. 901 c.c., che sono:

  • l'inferriata;
  • la grata in metallo;
  • l'altezza.

La ratio delle prescrizioni normative è pregevolmente indicata nella stessa sentenza citata.

«L'inferriata serve a garantire la sicurezza del vicino (si ritiene infatti sicura un'inferriata di dimensioni tali da impedire il passaggio di una persona); la grata serve ad impedire l'immissione nel fondo del vicino di cose gettate dalla finestra; l'altezza minima, sia interna che esterna, serve ad impedire l'esercizio della veduta sul fondo vicino. Con l'ulteriore precisazione che tutti gli elementi sono essenziali e che nessun elemento componente dell'apertura, come davanzale o grata metallica, deve fuoriuscire dal profilo esterno del muro, nel quale la luce è realizzata» (Cass. 10 gennaio 2013, n. 512).

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