Il fatto. La vicenda nasce dal un piano proposto da due proprietari che, a fronte di un'istanza comune, avevano ottenuto una concessione edilizia per ampliare le rispettive porzioni di un edificio.
Ottenuto il permesso, uno dei due proprietari aveva sopraelevato la propria costruzione senza rispettare il limite minimo della distanza di 10 metri lineari dalle pareti finestrate.
La società proprietaria dell'edificio confinante proponeva ricorso per far valere il rispetto delle distanze prescritte dal combinato disposto degli artt. 873 c.c. e 9 DM n. 1444/1968, con conseguente demolizione delle opere edificate a distanza inferiore a 10 metri. Secondo i proprietari, il superamento era legittimo perché eseguito a fronte di un «progetto unitario» presentato insieme all'altro proprietario; tale piano sarebbe stato elemento sufficiente a far scattare la deroga prevista dal Dm 1444/1968 (art. 9, ultimo comma) secondo cui «sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».
Con la sentenza n. 29867 del 18 novembre 2019, la Corte di Cassazione - confermando la sentenza dei giudici d'appello - ha bocciato questa interpretazione, ricordando che il regime delle distanze tra le costruzioni private appartiene alla legislazione esclusiva dello Stato.
Deroghe alle distanze legali. Le Regioni «possono derogare solo con previsioni più rigorose, funzionali all'assetto urbanistico del territorio».
In particolare, eventuali deroghe da parte degli strumenti urbanistici sono legittime quando fanno riferimento «a una pluralità di fabbricati ("gruppi di edifici") che siano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate, con previsioni planivolumetriche che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio dimensionali e architettonici delle varie costruzioni, considerate come se fossero un edificio unitario e siano finalizzate a conformare un assetto complessivo di determinate zone». Tutto questo, spiega la sentenza, perché la legittimità alla deroga del principio della distanza minima di 10 metri «è strettamente connessa al governo del territorio e non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente intesi». (Cass. civ. n. 27638/2018).
Il piano unitario tra privati non basta a derogare le distanze. La conseguenza, dunque, è che non basta un piano unitario tra due privati a far scattare la deroga. Si legge nella sentenza che:
"lo strumento del piano unitario, non finalizzato a considerare interessi superindividuali rispetto a quelle dei due privati che l'hanno presentato, non è equiparabile ad un piano particolareggiato e ad una lottizzazione convenzionata, risolvendosi in una istanza congiunta di concessione edilizia relativa a singole costruzioni e non concernente in alcun modo l'assetto urbanistico di un'intera area del territorio comunale (Cass. n. 3803/2014, in tema di strumento urbanistico definito Studio Unitario d'Ambito previsto della Legge Urbanistica piemontese n. 56/1977)".
Interessi pubblici. La natura degli interessi che possono giustifica la deroga alla disciplina sulle distanze fra edifici comporta che in difetto di ciò, il preventivo assenso alla sopraelevazione attestato dalla firma congiunta non possa, nel caso di specie, esonerare l'opera di sopraelevazione posta in essere dal ricorrente dal rispetto di quelle distanze. Le opere in questione vanno dunque demolite.
Il principio. Le deroghe alle distanze minime tra gli edifici sono possibili soltanto quando è in gioco un piano particolareggiato che includa più fabbricati, che è possibile considerare come una costruzione unica ai fini dell'assetto urbano.