La vicenda. Il condominio conveniva in giudizio la società beta, lamentando che la convenuta aveva realizzato un fabbricato a confine con l'edificio condominiale, ma a distanza inferiore a quella di legge individuata nella previsione di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9.
Il Tribunale di Milano rigettava la domanda ma la Corte d'Appello, in accoglimento del gravame del condominio, condannava la società convenuta a demolire ed arretrare le porzioni del fabbricato, compresi i balconi sulle medesime, nonché al risarcimento del danno che quantificava nell'importo di Euro 10.000,00.
Rilevavano i giudici di appello che le risultanze della CTU avevano permesso di evidenziare che effettivamente il fabbricato realizzato dalla società appellata era posto a confine con l'edificio condominiale, dovendo quindi trovare applicazione l'articolo 873 c.c. con il rinvio alle fonti integrative locali.
Tuttavia, il potere normativo secondario degli enti locali trovava un limite: tale norma, sebbene non direttamente applicabile, è però inderogabile da parte degli enti locali che devono conformarsi a quanto nella stessa prescritto, con l'ulteriore conseguenza che l'eventuale disciplina derogatoria contenuta negli strumenti urbanistici locali deve essere disapplicata, occorrendo assicurare il rispetto della distanza assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Per l'effetto, risultava erroneo quanto affermato dal Tribunale che aveva ritenuto di assicurare prevalenza alle previsioni delle NTA del PRG del Comune, che invece non prescrivevano la detta distanza di metri 10 tra pareti finestrate.
Ciò imponeva quindi la condanna della società alla riduzione in pristino, con l'ordine di demolizione e/o arretramento sino alla distanza di metri 10. Avverso questa pronuncia, la società ha proposto ricorso in cassazione.
Il ragionamento della Cassazione. Nella fattispecie era emerso che le due aperture presenti sulla parete del fabbricato della ricorrente non consentivano una possibilità di affaccio stante la collocazione di una sbarra metallica.
Premesso ciò, secondo la cassazione, sulla parete del fabbricato di cui era stata ordinata la demolizione ovvero l'arretramento, erano collocate, oltre ad alcune aperture, di cui si discute se abbiano carattere di veduta oppure di semplici luci, anche dei balconi, dei quali si è tenuto conto ai fini del calcolo delle distanze (sul presupposto che non fossero dei meri sporti ornamentali), come confortato anche dalla lettura del dispositivo.
Secondo la tesi del ricorrente, essendo state apposte delle sbarre in corrispondenza delle finestre ivi allocate, che impedivano la possibilita' di affaccio, diretto, laterale e/o obliquo, non si sarebbe più al cospetto di vedute, ma di semplici aperture lucifere, che appunto non rilevavano ai fini della norma in esame.
Tuttavia, a parere dei giudici di legittimità, l'interpretazione della norma de qua non può che condurre alla conclusione secondo cui a connotare come finestrata una parete sia anche la presenza di balconi, e ciò in quanto trattasi di manufatti che assicurano la possibilità di esercitare la veduta, conformemente alla ratio che è sottesa alla previsione in esame.
In tal senso la giurisprudenza ha costantemente ribadito che (Cass. n. 26383/2016), poiché nella disciplina legale dei "rapporti di vicinato" l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione "pareti finestrate" contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9 - il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere" (Cass. n. 6604/2012).
Di conseguenza, è stato ritenuto che anche la presenza di balconi assicuri la possibilità di veduta (ultimo Cass. n. 8010/2018, a mente della quale con riferimento ai balconi, rispetto ad ogni lato di questo si hanno una veduta diretta, ovvero frontale, e due laterali o oblique, a seconda dell'ampiezza dell'angolo), e che quindi la loro presenza sul fronte del fabbricato impone l'applicazione della norma alla quale hanno fatto riferimento i giudici di merito.
In conclusione, attesa la presenza di balconi lungo la parete dell'edificio della ricorrente, è stata esclusa la dedotta violazione di legge. Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato rigettato.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | Demolizione delle porzioni del fabbricato, compresi i balconi sulle medesime aggettanti sino a garantire il rispetto della distanza |
RIFERIMENTI NORMATIVI | Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9-873 c.c. |
PROBLEMA | Un condominio conveniva in giudizio una società immobiliare lamentando che la convenuta aveva realizzato su un'area un fabbricato a confine con l'edificio condominiale, ma a distanza inferiore a quella di legge individuata nella previsione di cui all'art. 9 del DM n. 1444/1968. |
LA SOLUZIONE | Secondo la Corte di cassazione, la dizione "pareti finestrate" contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere". Quindi, anche la presenza di balconi assicura la possibilità di veduta. |
LA MASSIMA | Il principio per cui l'eliminazione delle vedute abusive può essere realizzata non solo con la demolizione delle porzioni immobiliari con le quali si verifica la violazione di legge lamentata, ma anche attraverso idonei accorgimenti che impediscano di esercitare la veduta sul fondo altrui, come l'arretramento del parapetto o l'apposizione di idonei pannelli che rendano impossibili il "prospicere" e l'"inspicere in alienum", opera esclusivamente nei casi di violazione delle distanze delle vedute e non pure di quelle tra costruzioni, per le quali la presenza delle vedute è mero presupposto fattuale per l'applicazione della disciplina più restrittiva prevista dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968.. (Cass. civ., sez. II, Ordinanza 19 febbraio 2019, n. 4834) |