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Il condòmino è in conflitto di interessi? Ecco come comportarsi

Il Tribunale di Roma torna su una vicenda che ritenevamo ormai chiarita già dai primi anni 2000
Avv. Caterina TOSATTI - Foro di Roma 

Il conflitto di interessi si può manifestare, durante l'Assemblea condominiale, non solo riguardo all'Amministratore, bensì anche per i singoli condòmini: in tale caso, il condòmino in conflitto può astenersi dal voto, ma, se non lo fa, deve essere ammesso alla votazione e i suoi millesimi vengono inclusi nel calcolo del quorum deliberativo eventualmente necessario.

Gli altri condòmini, al ricorrere di determinati requisiti, potranno impugnare la delibera risultante dall'Assemblea ove abbia votato anche il portatore di conflitto di interessi, ma saranno soggetti alle ordinarie regole in tema di onere della prova - in particolare, del danno recato al condominio dal voto in conflitto di interessi e del collegamento di tale danno alla soddisfazione di interessi extra - condominiali.

Con la sentenza n. 5363 del 12 marzo 2019, il Tribunale di Roma torna su una vicenda che ritenevamo ormai chiarita già dai primi anni 2000, ovvero se sia obbligatoria l'astensione del condòmino in conflitto di interessi e se la delibera assunta con il suo voto sia viziata per il solo fatto della mancata astensione (o esclusione ad opera del Presidente) o se sia impugnabile per altri motivi.

Oltre al conflitto di interessi, la sentenza affronta altre tematiche che quotidianamente vengono vissute dai condòmini e che affronteremo perché in parte non condivisibili.

Il fatto. Un condominio convoca l'assemblea ordinaria per discutere di vari punti all'ordine del giorno, tra i quali la rinunzia ad una causa intentata da parte del Condominio stesso nei confronti di una condòmina - si trattava di una Srl che gestiva un'attività di ristorazione presso unità immobiliare sita nel condominio - per le violazioni del Regolamento di condominio, nonché perla eliminazione delle emissioni di rumori e di esalazione di fumi e per la dichiarazione di illiceità e/o illegittimità dei lavori effettuati dai convenuti sulla canna fumaria e sull'impianto idraulico dell'immobile.

Ebbene, alcuni condòmini impugnano la suddetta delibera, sulla base di vari vizi di invalidità della stessa:

  • violazione dell'ordine del giorno: i condòmini attori affermano che il condominio deliberò di ripartire le spese del legale incaricato della difesa in tale causa in ragione di 1/5 per ciascuna parte, senza che ciò fosse stato inserito in idoneo punto dell'ordine del giorno - in quella causa, il condominio risultava attore insieme ad altri 4 condòmini che avevano anch'essi agito contro la Srl, pertanto ogni parte processuale (5) veniva imputata di 1/5 delle spese;
  • violazione dell'ordine del giorno: i condòmini attori affermano che l'Assemblea si tenne in luogo diverso da quello indicato in convocazione, tale da impedire loro di partecipare alla stessa;
  • violazione dei principi in materia di voto: i condòmini attori assumono che la Srl non avrebbe dovuto essere ammessa al voto - né tantomeno i suoi millesimi calcolati ai fini del quorum deliberativo - relativamente al punto dell'ordine del giorno che riguardava la rinuncia, da parte del Condominio, alla causa dal medesimo promossa verso la Srl, essendo la Srl parte convenuta in tale giudizio;
  • violazione dell'ordine del giorno: i condòmini attori lamentano che, sempre senza previo inserimento all'ordine del giorno, il condominio discusse e deliberò in Assemblea circa le 'eventuali' spese future che l'avvocato difensore dello stesso avrebbe potuto richiedere e decise di ripartirle sempre adottando la divisione per quinti, ciò che, secondo i condòmini attori, era in contrasto con la previsione di cui all'art. 1123 c.c.

Dalla narrazione del fatto recata dalla sentenza, capiamo anche che i condòmini attori proposero istanza di mediazione prima di avviare direttamente l'impugnativa della delibera summenzionata: tuttavia, si trovarono poi ad impugnare anche la delibera adottata dal Condominio in sede di assemblea straordinaria - dove lo stesso Condominio doveva, tra le altre, deliberare ai sensi dell'art. 71 quater disp. att. c.c., se partecipare o meno alla Mediazione - per altri motivi, tra i quali, nuovamente, l'illegittimità della delibera adottata causata dalla partecipazione al voto della Srl.

La decisione. Il Tribunale, con la sentenza in commento, ha deciso quanto segue:

  • la delibera è viziata ed annullabile in riferimento al luogo di svolgimento della riunione: infatti, l'art 66 disp. att. c.c. è chiaro nell'indicare che la convocazione deve riportare il luogo e l'ora dell'Assemblea.

    Ciò premesso, nel caso concreto, l'Assemblea, convocata per le ore 19,45 presso l'androne condominiale, deliberò, alle ore 20,15, di spostarsi presso un bar distante 50 metri dall'androne, a causa delle difficili condizioni climatiche e della temperatura particolarmente rigida riscontrata presso l'androne.

    Sebbene la maggior parte dei condòmini attori si trovassero presso il bar nel momento in cui l'Assemblea si spostò in tale luogo e sebbene una dei condòmini attori avesse inviato una mail all'Amministratore, alle ore 20,39, chiedendo perché la stessa non avesse reperito nessuno presso l'androne e ricevendo dall'Amministratore, tre minuti dopo e a mezzo mail, la notizia che l'Assemblea si era spostata e dove, deve prevalere il dato formale.

    Infatti, da quanto emerso in giudizio, l'Amministratore non comunicò che l'Assemblea non aveva ancora iniziato a discutere l'ordine del giorno, pertanto, atteso che non sussiste prova del contrario, la condòmina, ricevuta la mail con l'indicazione del diverso luogo di riunione, non poteva immaginare che l'Assemblea non fosse in corso e nemmeno sarebbe stata tenuta ad attendere la risposta dell'Amministratore.

    Pertanto, la delibera è da ritenersi annullabile perché, ai sensi dell'art. 66, 3° comma, disp. att. c.c. citato, la condòmina non aveva potuto partecipare alla discussione, nemmeno potenzialmente;

  • la delibera NON risulta annullabile per il conflitto di interessi della Srl: questo per due ordini di motivi.

    Innanzitutto, richiamando un orientamento consolidato della Cassazione ed una recente pronuncia in merito, si afferma che il condòmino in conflitto di interessi può astenersi, ma non è obbligato a farlo e, per tale motivo, qualora egli decida di non astenersi, i suoi millesimi andranno conteggiati nel quorum deliberativo.

    In secondo luogo, poiché l'orientamento del Giudice di legittimità richiamato fa applicazione 'analogica', in materia condominiale, dell'art. 2373 c.c. che si occupa del conflitto di interessi relativamente al voto del socio della società per azioni, posta altresì l'eliminazione, a cura della riforma societaria di cui al D. Lgs. 06/2003, della distinzione tra quorum costitutivo e deliberativo da cui derivava la distinzione per il conflitto di interessi in entrambi i casi, attualmente il socio - e per estensione il condòmino - può votare anche qualora sia in conflitto di interessi, spetterà poi all'assemblea dei soci - o ai condòmini - impugnare la delibera così votata, qualora rechi un danno alla società - oppure al condominio.

    È quindi necessario ritenere che la delibera votata dal condòmino in conflitto di interessi sia impugnabile (ed annullabile) solamente qualora il voto del condòmino sia stato determinante (cioè, laddove sottraendo i millesimi del condòmino in conflitto, non si sarebbe raggiunto il quorum deliberativo previsto), qualora il condominio subisca un danno da siffatta delibera, collegato alla soddisfazione di interessi extra - condominiali o personali del condòmino in conflitto.

    Nel caso di specie, i condòmini attori non avevano mai dedotto in ordine al danno o all'interesse confliggente, pertanto lo stesso non era nemmeno divenuto thema decidendum del relativo giudizio;

  • la delibera NON è annullabile per violazione del quorum deliberativo necessario per decidere la partecipazione alla Mediazione: i condòmini attori, tra i motivi di impugnativa della seconda delibera, avevano menzionato la violazione dell'art. 71 quater disp. att. c.c., adducendo che il Condominio avesse votato di non partecipare con la maggioranza di poco più di 300 millesimi, in luogo dei 500 previsti dalla norma.

    Il Giudice, tuttavia, dando atto che il verbale impugnato indicava specificamente i favorevoli (125,44), i contrari (397,36) e gli astenuti (238,32) e che l'art. 71 quater disp. att. c.c. non prevede la maggioranza di cui all'art. 1136, 2° comma, c.c. per la delibera di partecipazione, ma solamente per l'adesione alla proposta, riteneva che il Condominio avesse validamente espresso il proprio parere contrario alla proposta con i soli 397 millesimi contrari.

Il Giudice non ha invece dato risposta - evidentemente, ritenendole assorbite nel ben più grave vizio di annullabilità rilevato rispetto al luogo di riunione - alle lagnanze relative alla violazione dell'ordine del giorno per aver l'Assemblea discusso e deliberato in ordine alle spese legali, presenti e future, dell'Avvocato incaricato della difesa del Condominio, quando tale oggetto non era stato inserito nell'ordine del giorno dell'Assemblea.

In realtà, nella narrazione del fatto, ove il Giudice riporta le difese di entrambe le parti, si legge che « l'intento del condominio era quello di evidenziare che le "intere" richieste economiche che sarebbero state formulate dall'avvocato, per la prestazione professionale resa nella causa tra il Condominio, i 4 condòmini e la Srl, si sarebbero dovute ripartire tra 5 soggetti distinti - ovvero il Condominio nonché i 4 condomini che avevano intentato la causa "in proprio", che come tali rappresentavano distinte parti processuali - e che con la delibera si era inteso solo ribadire di non voler sopportare tutte le spese di causa, ma al contrario esclusivamente quelle spettanti al condominio pro quota (1/5) ».

Ciò ovviamente non toglie che, per discutere e deliberare validamente delle spese legali, l'ordine del giorno avrebbe dovuto contenere un punto ad hoc: ma non solo.

In seguito alla modifica della Legge professionale forense, tramite la Legge n. 247/2012, l'avvocato è tenuto a presentare al proprio assistito un c.d. Preventivo di Massima, a prescindere dalla richiesta in tal senso da parte dell'assistito (inciso eliminato con il D.L. 124/2017), ove l'avvocato deve indicare elementi quali l'oggetto della vicenda sottoposta alla sua attenzione e per la quale viene richiesta la sua assistenza o consulenza, se la vicenda sia giudiziale o stragiudiziale, quale sia la complessità della lite, il valore della medesima, la polizza professionale attivata (che può essere solamente quella prevista e definita, nel contenuto contrattuale tipico, dal D.M. 22 Settembre 2016, in vigore dall'11 Ottobre 2017) ed infine l'esatto compenso che egli stima dovuto per la sua opera.

Questo è quanto stabilito dall'art. 13, 5° comma, della Legge professionale forense: «Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico ed è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l'incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale».

La mancanza della quantificazione del compenso da corrispondere al legale pone lo stesso a rischio, per condotta inadempiente alla Legge professionale ed ai canoni deontologici. Di recente, la Corte di cassazione, (Sez. II, ord. n. 16214/2017) ha infatti statuito che il riconoscimento al legale di un compenso deve risultare da accordo scritto, nonché essere dimostrato in giudizio perché, in difetto, il professionista non avrà alcun diritto a ritenere quanto percepito ed alcuna rilevanza in tal senso assumono i versamenti effettuati dal cliente, "…piuttosto riconducibile all'esigenza di non incorrere nel rischio di pregiudicare l'efficacia della prestazione professionale ".

Conflitto d'interessi e "separazione di posizioni": analisi delle differenze

E sebbene il Consiglio Nazionale Forense abbia tentato di mitigare la norma di cui all'art. 13, 5° comma, della Legge professionale forense, sostenendo in una nota del proprio Centro Studi che non tanto di preventivo debba trattarsi, quanto di quantificazione degli oneri e che la stessa possa essere ricompresa anche nell'atto del conferimento dell'incarico, ugualmente nella fattispecie che stiamo esaminando, laddove sussiste un giudizio avviato ed in corso - ne dà atto il Giudice in sentenza -, sembrerebbe quantomeno irregolare che il Condominio non sappia ancora, a distanza di 3 anni (la causa de qua è del 2016) quanto dovrà raccogliere e corrispondere al proprio legale.

Inoltre, nella materia che qui ci occupa, il combinato disposto delle norme professionali forensi con le norme che regolano la deliberazione sulle spese fa sì che non si possa ritenere valido deliberare di corrispondere una spesa senza procedere al suo riparto, ciò che pare sia accaduto nel caso concreto.

Ancora più irregolare sarebbe la richiesta di somme 'future', posto che, come detto sopra, l'assistito deve sapere, prima che il giudizio sia avviato, quanto spenderà, potendosi avere aumenti, in linea di massima, solamente in punto di spese vive, contributi processuali ed altri emolumenti non concernenti il compenso del professionista.

Non sembra invece reggere la tesi della violazione dell'art. 1123 c.c., atteso che, come motivato dal Condominio convenuto, il Condominio stesso avrebbe corrisposto 1/5 dell'intera somma, deducendosi che il medesimo legale difendesse, nella causa contro la Srl, sia il Condominio che i 4 condòmini attori in proprio, così che è corretto il riparto - si ritiene in base alla tabella A - su tutti i condòmini del solo quinto del compenso del legale, mentre i rimanenti 4/5 sarebbero stati corrisposti dai singoli condòmini assistiti.

Circa il conflitto di interessi: la soddisfazione di «interessi extra - condominiali». La tematica del conflitto di interessi ha sempre comportato un elevato livello di discussione teorica e giurisprudenziale, nonché di litigiosità durante le riunioni assembleari.

Questo perché la posizione del condòmino che si ritrovi a dover/poter votare a proprio favore ed al contempo in modo meno favorevole, quando non addirittura contrario, al resto degli appartenenti al condominio suscita rancori, invidie e smanie di rivalsa.

A livello giuridico, quello di cui dobbiamo qui discutere, la questione è stata posta a partire dall'orientamento espresso dalla Corte di cassazione che ha tentato di calare sulla fattispecie condominiale i paradigmi dettati dal Codice civile per le società.

Nella sempre presente incertezza del nostro ordinamento, che, nei confronti del condominio oscilla costantemente tra ente autonomo ed insieme di singoli, a seconda delle circostanze (e, sia consentito sottolinearlo, delle opportunità), applicare norme dettate per chi è dotato di personalità giuridica sin dalla nascita - le società - è parso quantomeno scomodo.

Tuttavia, come abbiamo visto leggendo la motivazione della sentenza, si tratta di un orientamento forte e destinato a permanere.

In dottrina (v. per tutti TERZAGO - CELESTE - SALCIARINI, "Il Condominio", Giuffrè ed.) si è osservato come sia necessario partire dalla possibilità di votare o meno. Infatti, perché i condòmini sono chiamati ad esprimere il proprio voto in Assemblea? Evidentemente per determinare l'andamento della vita condominiale, quindi per adottare decisioni sull'utilizzo dei beni comuni e sui servizi: è allora immediatamente evidente come un voto che non sia solamente - o tanto - preordinato a soddisfare la (migliore) gestione della cosa comune, ma anche a far ottenere un vantaggio (o evitare un pregiudizio) al singolo condòmino desti perplessità.

Conflitto di interessi e quorum necessari per l'adozione delle delibere condominiali

L'elemento dell' "interesse personale" è presente da tempo in giurisprudenza: qualsiasi autore che si sia cimentato sulla materia del conflitto di interessi cita la sentenza n. 11254 del 14 novembre 1997 della Corte di cassazione, laddove si afferma che sia necessario esaminare, da parte del giudice del merito, la presenza di due interessi contrapposti, l'uno del Condominio, l'altro del condòmino e poi soppesare se la delibera abbia soddisfatto in maniera più importante l'interesse del singolo rispetto a quello della collettività.

Venendo invece all'elemento del 'conteggio' dei voti, recte, del quorum deliberativo, si è sempre sostenuto, in giurisprudenza, che i quorum prospettati dalla legge non fossero derogabili: non solamente dal Regolamento condominiale (v. art. 1138 c.c.), ma anche dall'Assemblea, che altro non è se non espressione di autonomia privata al pari del Regolamento (v. art. 1136 c.c.).

Dalla inderogabilità dei quorum previsti dall'art. 1136 c.c. (o da altre norme che ad esso rinviino, si veda l'art. 71 quater disp. att. c.c. che ad esso rinvia) si fa discendere l'argomento circa la necessaria inclusione dei millesimi di cui sia portatore il condòmino in conflitto di interessi, poiché, al contrario, la loro esclusione dal calcolo determinerebbe ipso iure l'annullabilità della delibera per violazione delle maggioranze previste.

Recentemente, dopo l'arresto a Sezioni Unite del 2005, la Cassazione è tornata a spiegare che:

«In tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi NULLE le delibere dell'assemblea condominiale: (a) prive degli elementi essenziali; (b) aventi oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume); c) con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea o incidenti sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini; d) comunque invalide in relazione all'oggetto.

Vanno invece, qualificate ANNULLABILI le delibere: (a) con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea; b) adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale; c) affette da vizi formali; d) in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea; e) genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione; f) che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.» (Cassaz., Sent. 4 novembre 2016, n. 22452).

Ed ecco che qui la c.d. interpretazione societaria, che si rifaceva all'art. 2373 c.c., influenzava la materia condominiale: infatti, l'art. 2373 c.c., ante riforma del 2006, prevedeva che all'assemblea delle società per azioni fossero legittimati ad esprimere il voto solamente i soci che non fossero portatori di conflitto di interessi.

Come immaginabile, dovendo detrarsi dal totale del capitale sociale rappresentato, le quote dei soci in conflitto, poteva accadere che non si riuscisse a raggiungere una decisione per mancanza delle maggioranze previste - di qui l'opportuna modifica, che ha previsto il ricorso all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 2377 c.c.

Ma questo non si realizza nella materia condominiale, laddove il ricorso al Giudice, tramite l'art. 1105 c.c., per effetto del richiamo di cui all'art. 1139 c.c., permetterebbe di superare l'impasse.

La sentenza in commento richiama un recente provvedimento della Corte di cassazione, l'ordinanza 25 gennaio 2018, n. 1853, laddove essa ha osservato come « in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del "quorum" costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio (così Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131; Cass. Sez. 2, 30/01/2002, n. 1201)».

Altro rilievo da sottolineare: la Cassazione non si esprime mai in termini di impugnativa da parte degli 'altri condòmini' qualora essi non siano d'accordo con la delibera, né tantomeno contro la mancata astensione del condòmino in conflitto.

Infatti, ciò non potrebbe essere perché:

i) il Giudice dell'impugnativa della delibera valuta la legittimità, non il merito della stessa - l'opportunità dell'adozione di quella delibera, i vantaggi che essa reca o meno - e,

ii) il condòmino in conflitto non è obbligato ad astenersi, perché la legge al contrario prevede che anche i suoi millesimi possano essere inclusi nel quorum deliberativo, mentre si ricorre al Giudice, ai sensi dell'art. 1105 c.c., solamente nel caso opposto in cui il condòmino in conflitto si astenga e, facendo così venire meno i suoi millesimi al totale del quorum deliberativo, laddove non sia integrata la maggioranza richiesta per legge, risulterebbe impossibile deliberare, per cui è necessario che l'autorità giudiziaria sopperisca al deficit di rappresentanza.

La sentenza in commento si sofferma, concludendo sul punto del conflitto, su quanto rilevato da altra pronuncia della Cassazione, la n. 19131 del 28 settembre 2015, dove è stato evidenziato che « il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell'interesse condominiale all'utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell'edificio».

La lesività della delibera adottata in conflitto di interessi deve quindi essere evidente: comprendiamo allora come non si debba ritenere illegittima la divergenza di opinioni, o il portare nella discussione interessi contrapposti.

Il campanello d'allarme, insomma, non deve suonare ogni volta che si profilano due interessi contrapposti, per quanto l'uno di origine condominiale e l'altro di natura privata.

L'attenzione va riposta nel prevalere dell'interesse privato - sarebbe preferibile esprimersi in termini di vantaggio finale dell'eventuale delibera 'a favore' - rispetto a quello condominiale, laddove il privato tragga dalla delibera un vantaggio maggiore esclusivo, a discapito e detrimento della rimanente compagine condominiale.

È pertanto opportuno valutare sempre se la delibera che si sta adottando integri tali requisiti, poiché, in difetto, ci si espone all'impugnativa della delibera.

A tal proposito, il Giudice della pronuncia in commento ha valutato carente la difesa dei condòmini attori, in quanto essi, pur adducendo l'esistenza di un conflitto di interessi, non avrebbero dedotto - e quindi dato ingresso nel giudizio alla - né la presenza di uno specifico interesse della Srl contrapposto a quello condominiale, nè il danno che la delibera avrebbe arrecato al Condominio.

Il quorum deliberativo per partecipare alla Mediazione. Non si è d'accordo con quanto deciso dalla pronuncia in commento circa il raggiungimento del quorum deliberativo in ordine alla partecipazione alla Mediazione promossa dai condòmini attori, ai sensi dell'art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. 28/2010 s.m.i.

Partendo però da un presupposto: nella narrazione del fatto, ove il giudice estensore riporta pedissequamente i motivi di impugnativa e i punti dell'ordine del giorno impugnati dai condòmini attori, non è dato leggere in alcun punto «Discussione e delibera in merito alla proposta del Mediatore», punto sul quale invece si attesta il ragionamento logico - deduttivo del Giudice.

Nei punti dell'ordine del giorno menzionati si legge unicamente di come il Condominio fosse stato convocato per decidere se PARTECIPARE o meno alle Mediazioni promosse dagli attori.

Facciamo chiarezza. L'art. 71 quater disp. att. c.c., introdotto con la Legge n. 220/2012 - quindi dopo il D. Lgs. 28/2010 - stabilisce che:

«Al procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice

«La proposta di mediazione deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata

Orbene, con il termine "proposta di mediazione" non si deve intendere il prodotto del negoziato tra le parti istante e chiamata ed i loro avvocati, con l'aiuto del Mediatore, che l'Amministratore condominiale va a sottoporre all'Assemblea onde chiederne l'approvazione, insomma l'ipotesi di accordo.

Detto termine si riferisce alla proposta di cui all'art. 11 del D. Lgs. 28/2010, cioè quel documento, prodotto del Mediatore, laddove la Mediazione disegnata dal legislatore diventa valutativa e smette di essere facilitativa, perché le parti congiuntamente chiedono detto passaggio oppure perché il Mediatore ritiene sia opportuno agire in tal senso - l'art. 11 prevede infatti che «Quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione

La proposta, come noto, può essere predisposta solamente in due casi:

- a giudizio del Mediatore - come visto nell'art. 11 D. Lgs. 28/2010, 1° comma, 2° frase;

- ad istanza congiunta di entrambe le parti - ibidem, 3° frase.

Dato il 'peso' della proposta, il Legislatore del 2012 ha ritenuto opportuno che l'Amministratore passasse tramite l'Assemblea condominiale: infatti, la proposta, che va comunicata per iscritto alle parti, sia che si raggiunga l'accordo (le parti l'accettano) sia in caso di mancato accordo (le parti la rifiutano o non rispondono nei 7 giorni assegnati) deve essere inserita dal Mediatore nel verbale conclusivo, che verrà depositato in giudizio, affinchè il Giudice possa valutare, in sede di liquidazione delle spese, se la propria decisione corrisponda in toto o in parte alla proposta (ai sensi dell'art. 13 D. Lgs. 28/2010).

Ecco allora che non si può confondere un istituto con un altro, la proposta di Mediazione con la proposta di accordo di Mediazione.

Quando le parti riescono a negoziare efficacemente con l'aiuto del Mediatore e si raggiunge un'ipotesi di accordo, nulla cambia se le parti sono persone fisiche o giuridiche o un ente di gestione, quale il Condominio.

La diffidenza nei confronti del nuovo, quale è la Mediazione nel nostro ordinamento, purtroppo ancora oggi a distanza di 9 anni dalla prima applicazione, ci ha portato a concludere apoditticamente che l'Amministratore non possa sottoscrivere accordi di mediazione (non proposte) senza preventivamente ottenere una delibera assembleare e che non possa, parallelamente, nemmeno decidere quando abbandonare il tavolo.

Questo, a parere di chi scrive, significa negare quanto disposto dal medesimo art. 71 quater disp. att. c.c., laddove, al 1° comma, descrive quali siano le vicende del panorama condominiale che debbano preventivamente passare attraverso la fase conciliativa.

Tuttavia, lo stesso art. 71 quater disp. att. c.c. prevede il passaggio assembleare - la delibera - unicamente in due occasioni: per decidere se partecipare o meno alla Mediazione e per decidere se accettare o meno la proposta del Mediatore.

Rammentiamo che il 1° comma dell'art. 71 quater disp. att. c.c., che rinvia all'intero statuto condominiale contemplato dal Codice civile - dall'art. 1117 all'art. 1139 c.c. e dall'art. 61 all'art. 72 disp. att. c.c. - rinvia per ciò solo a norme che prevedono distintamente i poteri dell'Amministratore e quelli dell'Assemblea.

Perché allora gettare tutto nel calderone della preventiva delibera assembleare?

Si auspica che i Giudici elaborino un'interpretazione sulla differenza di materie sottoposte alla Mediazione c.d. 'condominiale' e che ci indichino per quali categorie di materie sia necessaria una delibera e per quali altre l'Amministratore abbia piena legittimazione decisoria.

In virtù di quanto esposto sopra, nel caso che ci occupa, si ritiene che bene abbiano fatto gli attori a sollevare l'annullabilità della delibera adottata dal Condominio, a fronte dell'assenza del quorum deliberativo previsto dall'art. 1136, 2° comma, posto che non di accettazione della proposta del Mediatore si trattava, bensì di partecipazione alla Mediazione - così gli stessi difensori del Condominio come riportati nella sentenza citata.

Il luogo della riunione. Non si è d'accordo nemmeno sul punto della sentenza relativo all'annullamento della delibera per violazione dell'indicazione del luogo di riunione come da ordine del giorno.

Infatti, sempre da quanto è dato leggere, la condòmina che lamentò di non aver trovato nessuno presso l'androne condominiale, ove da ordine del giorno avrebbe dovuto invece trovare l'Assemblea riunita, è arrivata con quasi un'ora di ritardo all'assemblea: ciò si deduce perché la stessa ha inviato richiesta di chiarimenti all'Amministratore alle ore 20,39, mentre l'Assemblea era stata convocata per le 19,45.

Ci si chiede questo: se la condòmina fosse arrivata tardi all'Assemblea presso l'androne condominiale, non avrebbe potuto votare gli eventuali punti dell'ordine del giorno già discussi, pertanto ciò avrebbe forse costituito motivo di impugnativa? Probabilmente no, perché il ritardo è atto intenzionale e le sue conseguenze ricadono su chi lo fa.

E allora perché nel caso di specie la condòmina non è stata ritenuta in ritardo rispetto all'orario di convocazione, ma è stata 'rimessa in termini', per così dire, per poter addirittura vantare una lesione del proprio diritto di partecipazione? Se non si erra, l'art. 66 disp. att. c.c. cita anche «l'ora» dell'Assemblea, non solamente il luogo.

Non solo: secondo il Giudice, per il solo fatto che la condòmina fu costretta a sollecitare un riscontro presso l'Amministratore e che costui le rispose unicamente indicando il luogo ove l'Assemblea si era spostata, senza dirle se l'Assemblea fosse in corso o conclusa e senza che la condòmina lo potesse inferire da altre fonti, il diritto di partecipazione è stato leso e la condòmina avrebbe potuto anche non attendere la risposta dell'Amministratore.

Ma questo argomento prova troppo: come ci insegnano i principi in materia di buona fede contrattuale e per responsabilità, chi subisce un danno ha in ogni caso l'onere di contenerlo, non potendolo aggravare a bella posta, contando sul risarcimento che otterrà dal responsabile.

Nel caso concreto, la condòmina, la quale, argomentando dalle espressioni utilizzate dal Giudice, ha atteso la risposta dell'Amministrazione ed ha pertanto appreso che l'Assemblea era presente a 50 metri dal luogo in cui ella si trovava, appare aver deliberatamente deciso di non partecipare alla stessa Assemblea, anzi, di non recarsi nemmeno a verificare se la stessa fosse ancora in corso (circostanza altamente probabile, dato che chiunque abbia conoscenza ed esperienza diretta delle assemblee condominiali sa che esse non durano un'ora, specialmente quando l'ordine del giorno è corposo come quello della fattispecie in esame).

Tutto ciò contando sulla declaratoria di annullabilità che avrebbe ottenuto per non aver rinvenuto nessuno presso il luogo stabilito.

In conclusione. Dalla sentenza in commento portiamo con noi alcuni insegnamenti e riflessioni finali:

  • è necessario chiarire se, in virtù del disposto dell'art. 71 quater disp. att. c.c., l'Amministratore debba sempre ottenere una delibera di approvazione della ipotesi di accordo nata in Mediazione, o se ciò sia vero unicamente per le materie sottratte alla sua competenza ed affidate all'Assemblea;
  • qualora si presenti al voto un condòmino in conflitto di interessi, è opportuno che l'Assemblea valuti attentamente i tre requisiti ormai enucleati dalla giurisprudenza onde evitare impugnative della delibera viziata per annullabilità, quali 1) le rilevanza del voto (tolti i millesimi del condòmino in conflitto, si raggiunge la maggioranza necessaria per l'approvazione o no?), 2) l'interesse personale del condòmino (è davvero un interesse personale uguale e contrario a quello condominiale o è un maggior uso/godimento/etc. della cosa comune?) ed, infine, 3) il danno che la delibera produrrebbe agli interessi del condominio (come impatterebbe la delibera sui beni ed i servizi comuni?);
  • in caso di variazioni del luogo di convocazione, sarebbe opportuno, imparando dal caso concreto, affiggere un avviso nell'androne condominiale o nel luogo di maggiore visibilità per i condòmini e gli aventi diritto, ove si comunica il luogo della riunione, sebbene, a fronte dell'orientamento espresso dalla sentenza esaminata, nemmeno questo potrebbe essere sufficiente ad escludere l'annullabilità
Sentenza
Scarica Tribunale di Roma, sez. V Civile, n. 5363 del 12 marzo 2019
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