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Cappotto termico: quando la violazione delle distanze non è automatica

Il proprietario non può negare l'utilizzazione dello spazio aereo sovrastante il suo terrazzo se non dimostra il concreto pregiudizio.
Avv. Mariano Acquaviva - Foro di Salerno 

Un importante provvedimento della Corte di Cassazione (ordinanza nr. 15698 del 23 luglio 2020) ribadisce il principio per cui il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale altezza nello spazio sovrastante che egli non abbia interesse ad escluderle, a meno che non dimostri il pregiudizio che gliene può derivare.

Il principio di diritto è stato affermato in occasione di un contenzioso avente ad oggetto i lavori di realizzazione di un cappotto termico dai quali era derivata, a detta del titolare del terrazzo, un indebito sconfinamento nella sua proprietà. Approfondiamo meglio la questione.

Cappotto termino: la presunta violazione delle distanze

I proprietari di un terrazzo citavano in giudizio il condominio antistante, il quale sarebbe stato reo di aver invaso la loro proprietà privata in occasione dei lavori di realizzazione del cappotto termico esterno.

Per la precisione, gli attori lamentavano che detta opera, pur se realizzata a un metro di altezza dal piano di calpestio per uno spessore di circa dieci centimetri, sarebbe stata causa di un illegittimo sconfinamento.

Il giudice di primo grado rigettava la domanda di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi, escludendo la sussistenza di un interesse dei proprietari a negare l'utilizzazione dello spazio aereo sovrastante il terrazzo.

La Corte d'appello, invece, riformava la sentenza di prime cure condannando il condominio alla rimozione del cappotto termico. Per i giudici di secondo grado, infatti, non è necessaria la dimostrazione di alcun attuale e concreto interesse del proprietario del suolo ad escludere l'attività di terzi nello spazio sovrastante il suolo stesso, dovendosi tener conto anche di future e non individuabili ex ante esigenze di utilizzazione del suolo.

Avverso tale decisione il condominio proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando come il piano di calpestio del terrazzo degli attori rimanesse libero, in quanto il cappotto termico era posto a circa un metro di altezza dal medesimo piano di calpestio.

Il condominio ricorrente sottolineava pure come sulla facciata dell'edificio condominiale corresse in precedenza una tubazione del gas: era perciò onere del proprietario, ex art. 840, comma secondo, cod. civ., dimostrare il concreto pregiudizio subito dalla sporgenza del manufatto.

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Il principio espresso dalla Suprema Corte

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza nr. 15698 del 23 luglio 2020, accoglie il ricorso, consentendo così al condominio di conservare l'opera realizzata.

Secondo l'orientamento consolidato della Suprema Corte, che la Corte d'appello ha disatteso, il proprietario non può opporsi, ai sensi dell'art. 840, comma secondo, cod. civ., ad attività di terzi (quale, ad esempio, l'immissione di sporti) che si svolgano a profondità o altezza tali che egli non abbia interesse ad escluderle e, pertanto, ove ritenga di contestarle, è suo onere dimostrare che dette attività gli arrechino un pregiudizio economicamente apprezzabile, da intendere non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche ed alla normale destinazione, eventualmente anche futura, del fondo, ovvero alla possibile utilizzazione di tale spazio a scopo di sopraelevazione (nello stesso senso, Cass. Sez. 2, 28/02/2018, n. 4664, relativa ad un cornicione sporgente per circa 60 cm. sulla colonna aerea della proprietà confinante; Cass. Sez. 2, 05/06/2012, n. 9047, relativa all'occupazione dello spazio sovrastante un terrazzo ed una tettoia mediante installazione di una caldaia e dei relativi tubi di alimentazione).

Dunque, ha errato la Corte d'appello ad affermare che, a norma dell'art. 840, comma secondo, c.c., l'occupazione, pari a circa 10 cm ed all'altezza di un metro dal piano di calpestio, dello spazio aereo sovrastante un terrazzo, mediante installazione di un cappotto termico sulla facciata dell'adiacente edificio condominiale, esoneri il giudice dal valutare se, ed in che misura, sussista un concreto interesse del proprietario sottostante ad opporsi a tale, pur limitata, invasione della colonna d'aria.

Sottosuolo e spazio sovrastante al suolo: cosa dice la legge?

Un tempo si soleva dire che il diritto di proprietà sul suolo si estende a tutto quello che sta sopra di esso e a tutto quello che sta al di sotto, senza alcuna limitazione. Usque ad sidera, usque ad inferos, cioè dal cielo agli inferi

L'art. 840 del codice civile rispecchia solo in parte questo principio oramai anacronistico. Secondo la succitata disposizione, fatte salve ipotesi speciali, la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino.

Il secondo comma dell'art. 840 c.c., per mitigare la possibile signoria che il proprietario di un fondo possa rivendicare nei confronti di ciò che sta in cielo e sottoterra, stabilisce a chiare lettere che il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle.

Il condominio risponde come custode per la mancata coibentazione

Il principio è chiaro: il proprietario di un fondo non può pensare di escludere tutto ciò che accade sopra o sotto la sua proprietà, a meno che tali attività non gli possano arrecare un danno concreto che egli dovrà debitamente provare.

È ciò che è accaduto nel caso affrontato dalla Suprema Corte. I proprietari della terrazza ritenevano che fosse stata realizzata illegittimamente un'opera (il cappotto termico esterno di dieci centimetri di spessore) al di sopra della loro proprietà (per la precisione, a circa un metro di altezza).

Invocavano pertanto il diritto ad opporsi a tutto ciò che accade al di sopra della proprietà, chiedendo l'eliminazione dello sconfinamento.

Ebbene, è evidente che questa pretesa, secondo il chiaro disposto del secondo comma dell'art. 840 cod. civ., può essere accolta solo se il proprietario dimostra il concreto interesse alla rimozione dell'opera, ovvero il pregiudizio che da essa ne deriverebbe.

Per la precisione, il giudice nomofilattico rammenta come sia preciso onere del proprietario dimostrare che le attività "superiori" (in quanto si svolgono in alto) gli arrechino un pregiudizio economicamente apprezzabile, da intendere non in astratto, ma in concreto.

La posizione della Corte di Cassazione è indiscutibile; se volessimo ammettere il contrario, dovremmo regredire alla concezione medievale secondo cui il proprietario è padrone indiscusso dei cieli e della terra. Ma tale qualifica forse compete ad altri.

Sentenza
Scarica Cass. 23 luglio 2020 n. 15698
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