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Appalto mal eseguito: quando si prescrive l'azione risarcitoria?

Il committente deve acquisire una conoscenza approfondita e certa del difetto delle opere eseguite dall'appaltatore.
Avv. Marco Borriello 

A seguito dei lavori di ristrutturazione di un fabbricato, non sempre è facile accorgersi che le opere non sono state ben eseguite. Può capitare, infatti, che i danni si manifestino anche dopo molti anni. Oppure può succedere che, in un primo momento, emergano dei lievi difetti per poi trasformarsi in dei vizi assai più gravi.

Ad ogni modo, in questi, come in altri casi, il committente, giustamente, può pretendere il risarcimento dall'impresa appaltatrice.

Come tutti i diritti, però, esso deve essere esercitato tempestivamente. In caso contrario, potrebbe, infatti scattare la prescrizione di un anno, ex art. 1669 c.c. oppure quella quinquennale di cui agli artt. 2043 - 2947 c.c.

Diventa, perciò, essenziale stabilire il termine a partire dal quale il danneggiato potrebbe far valere le proprie ragioni e, in ciò, la giurisprudenza ha fornito il suo contributo. Ne è un ultimo esempio, la recente ordinanza della Cassazione n. 21191 del 5 luglio 2022.

Appalto mal eseguito e prescrizione dell'azione risarcitoria. Il caso concreto.

In un condominio in Perugia, nel 2009, a distanza di molti anni dal completamento di rilevanti lavori di ristrutturazione, si manifestavano dei danni molto ingenti dovuti al fatto che le opere non erano state eseguite a regola d'arte. In particolare, tra i vari pregiudizi, si distaccavano alcune lastre dei rivestimenti esterni delle facciate.

A quel punto, la vicenda si spostava in Tribunale dove, in sede di accertamento tecnico preventivo, emergeva la responsabilità della ditta appaltatrice in aggiunta a quella del direttore dei lavori. Il danno complessivo al fabbricato era, quindi, fissato in circa 232 mila euro.

Il successivo, quanto inevitabile, giudizio ordinario si concludeva con la condanna dell'impresa al pagamento del risarcimento. L'appello, debitamente proposto dalla predetta parte soccombente, non sortiva alcun effetto diverso.

Si finiva, perciò, dinanzi alla Corte di Cassazione dove, il ricorrente, riproponeva le stesse argomentazioni. In particolare, secondo l'impresa, il committente era decaduto da ogni diritto, avendo denunciato i danni successivamente all'anno dalla loro scoperta (2001) e, in ogni caso, aveva agito oltre il quinquennio previsto dall'art. 2947 c.c.

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Gli Ermellini, però, non hanno riscontrato alcuna violazione di legge nella sentenza impugnata, per cui hanno rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Risarcimento verso l'appaltatore: cosa dice la legge?

Nel caso in cui i lavori appaltati non siano stati eseguiti a regola d'arte, anche a distanza di tempo, possono emergere dei vizi di cui l'appaltatore è responsabile.

Se questi dovessero manifestarsi entro i dieci anni dal compimento dell'opera, la responsabilità dell'impresa sarebbe presunta.

A quel punto, il committente avrebbe un anno di tempo dalla scoperta, per denunciare l'accaduto, per poi procedere all'azione legale risarcitoria entro i dodici mesi successivi (art. 1669 c.c.).

Può succedere, però, che il vizio si manifesti dopo undici anni oppure che il committente, scoperto il grave problema, si attivi verso la ditta non proprio tempestivamente. In queste circostanze, cosi come in ipotesi analoghe, si può, comunque procedere verso l'appaltatore invocando la norma di cui all'art. 2043 c.c. (Cass. S.U. n. 2284/2014).

In questo caso, la responsabilità verso l'impresa deve essere provata, ma il tempo per proporre l'azione è molto più elevato (cinque anni) e decorre sempre dal momento in cui il danneggiato acquisisce conoscenza del difetto e delle sue cause.

Appalto mal eseguito: qual è il dies a quo dell'azione risarcitoria?

Per la Cassazione in commento, a conferma delle pronunce precedenti sull'argomento, il committente, scoperto il vizio a seguito di un appalto, deve comunque acquisire una conoscenza approfondita e certa del problema.

Non può, infatti, avventurarsi in un'azione risarcitoria di carattere generico «in tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili ai sensi dell'art. 1669 cod. civ., poiché la disciplina concernente la decadenza e la prescrizione per l'esercizio dell'azione ha lo scopo di non onerare il danneggiato della proposizione di domande generiche a carattere esplorativo, è necessario che la denuncia, per far decorrere il successivo termine prescrizionale, riveli una conoscenza sufficientemente completa del vizio e della responsabilità per lo stesso (Cass. n. 3040 del 2015)».

Ebbene, sempre secondo l'interpretazione della giurisprudenza, il momento a partire dal quale il committente ha piena conoscenza del problema coincide con quello in cui viene depositata la relazione di un C.T.U. «Cass. n. 5311 del 1998 secondo la quale ai fini di una tempestiva contestazione del difetto di costruzione dell'opera ex art. 1669 c.c. il termine previsto ex lege per la relativa denuncia non può che decorrere dalla data del deposito della relazione del C.T.U.»

Solo, perciò, da questa circostanza decorre il termine decadenziale di un anno per agire ex art. 1669 cod. civ. oppure per esperire l'azione di cui all'art. 2043 c.c. «il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo (Cass. n. 1463 del 2008)».

Ecco spiegato perché, nel caso in esame, non è stato possibile concludere per l'intempestività dell'azione risarcitoria.

Sentenza
Scarica Cass. 5 luglio 2022 n. 21191
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